Le pantegane della memoria di Alvise Zorzi
l'archivio di Venezia in rovina l'archivio di Venezia in rovina Le pantegane della memoria | ni ISGRAZIATI! Bruciano la Il memoria del popolo!, ; I gridò il grande storico JuI IIles Michelet quando sepI " 1 pe che la Comune di Parigi aveva appiccato il fuoco all'Hotel de Ville, che conteneva gli archivi della città. Gli amministratori comunali di Venezia, bianchi e rossi, non hanno appiccato fuoco al ricchissimo Archivio Storico del Comune, che ospita i documenti di quasi duecento anni di vita del Municipio veneziano, le carte di una vicenda sociale e urbanistica travagliatissima e interessantissima. L'hanno semplicemente lasciato andare in malora. Qualche giorno fa, un caso fortuito ha bloccato i ladri che stavano portando via mappali, registri, documenti, disegni. Si pensa da anni a un impianto antifurto e antincendio, ma l'amministrazione non è riuscita a trovare i pochi milioni necessari a realizzarlo. Mentre l'Archivio di Stato, sistemato da Francesco I, imperatore d'Austria, nell'immenso convento dei Frari, è stato dotato, grazie all'impegno dei suoi dirigenti e ai finanziamenti statali, di impianti di sicurezza e di strumenti di lavoro moderni ed efficienti, quello del Comune è sempre stato trattato da Cenerentola. E' sistemato alla bell'e meglio nell'antico monastero di Santa Maria della Celestia, soppresso dal governo napoleonico, che lo adibì a caserma dopo averne fatto demolire la chiesa secentesca. Dimesso dalle forze armate) il nobile edificio del convento è stato lasciato cadere nel più vergognoso degrado: l'elegante cortile palladiano è stato definito recentemente «un cesso pubblico», dove i cani randagi scorraz- Daniele Manin zano tra feci e immondizie. Da una decina d'anni, sfrattati e altri poveracci hanno occupato abusivamente un piano dell'edificio, aggravandone le condizioni; ma già nel 1975 o poco prima lo storico inglese Paul Ginsborg, che aveva frequentato assiduamente l'Archivio del Comune per preparare un suo importante volume su Daniele Manin e la rivoluzione veneziana del 1848-'49, vi si era trovato a convivere con le «pantegane», grossi e ripugnanti topi anfibi di non comuni dimensioni. Sul tentativo di furto, facilitato dal fatto che le porte d'accesso allo stabile non vengono chiuse con lucchetti e catene in seguito alla presenza dei diseredati che ne occupano un piano, sono state fatte varie ipotesi. Ma il direttore, Sergio Barizza, inclina a pensare a un furto su commissione: assieme a carte di scarso valore, i ladri avevano messo da parte svariati preziosi disegni di Gian Antonio Selva, l'architetto del Teatro La Fenice, coinvolto in molti progetti importanti al tempo del Regno Italico di Napoleone, e altri pregevoli disegni ottocenteschi di Lodovico Cadorin, esposti in varie mostre e in parte riprodotti nel volume di Giandomenico Romanelli su Venezia Ottocento. Adesso che l'Amministrazione comunale è stata sciolta, speriamo nel commissario prefettizio. Rimane però la vergogna degli assessori alla Cultura che si sono succeduti e che, pronti a foraggiare iniziative inutili e men che modeste, hanno trascurato un elemento così importante del patrimonio storico-artistico di loro immediata e diretta competenza. Alvise Zorzi Daniele Manin
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