«Nel pci sapevano tutto»
L'ex dirigente comunista interrogato dai giudici torinesi che vogliono sentire Greganti e Pollini L'ex dirigente comunista interrogato dai giudici torinesi che vogliono sentire Greganti e Pollini «Nel pei sapevano tutto» Quagliotti: «Niente di clandestino» TORINO. I conti all'estero, il meccanismo dei finanziamenti: nel pei c'era la massima trasparenza e tutti sapevano quello che avveniva. Ha parlato per tre ore e mezzo Giancarlo Quagliotti, ex dirigente pei coinvolto nella vicenda tangenti che decapitò la giunta Novelli, oggi accusato di concorso in concussione per una mazzetta di 260 milioni pagata da una società del gruppo Fiat. Al procuratore aggiunto Marcello Maddalena e al pm Giuseppe Ferrando ha raccontato che nel pei non esisteva una struttura parallela e tantomeno occulta per raccogliere fondi: tutto avveniva alla luce del sole. Le risposte di Quagliotti smentiscono le dichiarazioni rese proprio a Torino dal sostituto procuratore di «Mani pulite» Tiziana Parenti, titolare dell'indagine milanese sulle tangenti rosse. Il magistrato aveva parlato di cellule molto compartimentate, non in contatto fra loro, che ricordavano l'organizzazione leninista. «Come le Br?», le chiese un cronista. «In un certo senso», rispose il magistrato. Poi smentì. Ieri Quagliotti avrebbe affermato che il vertice del partito era a conoscenza dei ruoli e dei compiti di tutti i suoi funzionari: «Non c'era proprio niente di clandestino». Per chiarire la portata di queste dichiarazioni i magistrati torinesi sentiranno al più presto Renato Pollini, ex amministratore nazionale di Botteghe Oscure, in carcere a Milano. E sarà sentito dai magistrati anche Primo Greganti, il «compagno G», titolare di vari conti svizzeri, tra cui quello denominato Gabbietta che lo aveva portato in carcere a San Vittore per tre mesi. Quagliotti è tornato in procura, due settimane dopo il primo interrogatorio, per fornire spiegazioni più convincenti sulla complicata operazione del versamento della tangente di 260 milioni pagata per l'appalto del terzo lotto del depuratore PoSangone (56 miliardi). Allora disse: «De Francisco, il prede¬ cessore di Greganti a Torino, mi chiese un favore. "Puoi aprire un conto in Svizzera?". Non potevo dirgli di no. Tra vecchi compagni si usava così, non ho pensato di domandargli che soldi fossero. Ricordo che lui spiegò soltanto: "Ho un contributo da versare"». Quagliotti aprì il conto «Idea» in una banca di Lugano e su quello confluì il denaro della tangente versata da Enzo Papi, ex amministratore Cogefar Impresit. A chiamare in causa Quagliotti era stato pochi giorni prima Greganti: «Andai con lui a Lugano a ritirare il denaro e ne trasferii una parte sul mio conto Sorgente. Più avanti por¬ tai il denaro in diverse rate in Italia e lo consegnai a De Francisco». La storia di questa tangente nasce e finisce con questo ultimo dirigente comunista, morto povero nel settembre '92, che non può né smentire né confermare. Secondo il racconto di Quagliotti, De Francisco e Greganti agivano per conto del partito: «Per questo, quando mi chiesero di dar loro una mano, non mi feci tante domande. Immaginai che si trattasse di un contributo al pei. Allora quelle forme di finanziamento non erano rare». Sembra che nell'interrogatorio di ieri Quagliotti abbia aggiunto altri particolari sui vari passaggi del denaro. Aveva già chiarito di aver trattenuto una parte di quei 250 milioni sul suo conto e di aver consegnato poi a Greganti, in Italia, la somma equivalente. Quali possibili scenari aprono ora le dichiarazioni di Quagliotti? Smonteranno il teorema della Parenti sulla struttura parallela di finanziamento comunista? E in quel caso quali ruoli potrebbero assurriere in questa vicenda i dirigenti dell'ex pei? Ammesso che ci fossero degli illeciti nell'amministrazione di Botteghe Oscure. Questo è tutto da provare. Nino Pietropinto Da sinistra nelle foto: Primo Greganti al quale era intestato il conto «Gabbietta» in Svizzera e Giancarlo Quagliotti
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