Milanesi tornate a Manzoni

Gianfranco Vigorelli compie 80 anni: le passioni di un grande testimone Gianfranco Vigorelli compie 80 anni: le passioni di un grande testimone Milanesi, tornate a Manzoni «I suoi libri, la mia vita» ~^w\ MILANO I L critico letterario GianI franco Vigorelli lunedì I compie 80 anni: un pro_*J tagonista, una memoria storica. Profumato, bella cravatta, mostra a passi velocissimi e con soste estatiche il suo orgoglio massimo: la biblioteca. «I libri di una vita. Quattromila sono esclusivamente di e su Manzoni». Perché tanto amore? «La casa di Lucia a Olate, il paese dei Promessi Sposi, era di proprietà di mia nonna materna. A due passi c'era il castello di don Rodrigo, e sotto Lecco vicino a Pescarenico c'era il Caleotto, la casa dove viveva lui, Manzoni. Ci andavo da bambino. E dopo la laurea divenni preside del liceo Manzoni a Lecco. Fecero poi una scuoletta nella casa dove nacque il Manzoni a Milano, in via San Damiano, e pure lì divenni preside. Non basta. Durante la guerra finii in Svizzera, in un campo di fuoriusciti: un giorno venne un giudice federale, seppe che ero io 2 Vigorelli che aveva pubblicato un saggio per un'edizione della Colonna infame e pagò i cinquemila franchi per liberarmi, mi mandò a prendere in macchina e mi ospitò a casa sua. "Non so come ringraziarla", gli dissi. "Ringrazi Manzoni", disse lui. E da dieci anni sono presidente di Casa Manzoni». Qui ci sono 30 mila libri. Quale lettura le ha dato più turbamento? «Sette volte di seguito ho letto La montagna incantata di Thomas Mann. Avrò avuto 17 anni. "Da questa festa della morte si leverà un giorno l'amore": le ultime parole del romanzo erano la chiave che m'induceva a non disperare della vita. Pur stagionato con i miei 80 anni, sento che comincio adesso a vivere, anche perché ammetto che potrei morire da un momento all'altro. Ho sempre avuto il senso della morte, ma senza angoscia. Forse per la mia lontana educazione cristiana». Ha contato molto per lei quest'educazione? «L'ho sempre vissuta da dissidente. Da ragazzo mi sentivo modernista, fogazzariano: gli stessi padri, gesuiti del Leone XIII capivano le mie inquietudini. Ho scritto un'introduzione a Teilhard de Chardin. Ho sempre avuto bisogno di un po' di eresia, che è il sale della fede». Attorno a noi si vedono solo libri di scrittori stranieri. E gli italiani? «Sono di sotto, in una specie di scantinato. Se escludo il tramortente, lo stupendo, l'esaltante Dante, l'umanesimo scolastico della letteratura italiana mi ha sempre dato un certo fastidio. Salvo la linea manzoniana, lombarda». Centinaia di libri di e su Stendhal sono alle sue spalle. Un altro grande amore? «Ha capito l'Italia, e questo mi ha esaltato. Si definiva milanese. L'essere milanese non è un fatto geografico, ma una categoria morale. Io sento queste radici. Un giorno ho letto questa frase del vecchio notaio e senatore Verri, il padre dei quattro fratelli Verri: Insubri sumus, non Latini. Siamo Insubri: cioè Galli, Celti, Goti. Quando Manzoni fu nominato senatore, per accettare pose una sola condizione: di non andare mai a Roma. "Non vorrei essere esposto alle tentazioni di Lutero", disse». Vigorelli, lei è filoleghista? «Capisco in pieno le ragioni che hanno determinato il fenomeno leghista. Le ravviso nella tradizione che abbiamo alle spalle: Maria Teresa e il Lombardo-Veneto sono simboli superati dalla realtà, ma in un momento di crisi sono i simboli che tornano per mutare le cose. In questa battaglia mia, sento rifluire il sangue dei Beccaria e dei Verri... Non conosco né Bossi né Formentini. Sono però amico ed estimatore di Miglio: alla Cattolica, io ero assistente di Filologia romanza e lui professore a Scienze politiche». L'altro giorno lo scrittore siciliano Vincenzo Consolo ha dichiarato che se a Milano vince la Lega, lui fa le valigie e se ne va. Che cosa gli risponde? «"Prendi le tue valigie e vai - gli dico -. Ci fai molto piacere". Stupido! Mi piace la Sicilia e leggo Sciascia, ma andare laggiù per me è come andare all'estero. Senza offesa di italianità». Secondo lei, perché in genere gli intellettuali pensano male della Lega? «Per impreparazione. Tutto questo sinistrismo di parata e di moda! Alla mia età gli errori li perdono; quello che mi dà fastidio è la protervia. Loro non hanno mai sbagliato, a sentire il pds. Sono puri, sono anime belle. Non posso vedere il pds. Creai nel '58 la Comunità europea degli scrittori perché mi sembrava assurdo che gh scrittori delle due Europe non si parlassero. Ho dato il premio di poesia ad Anna Achmatova e sono andato da Krusciov per farla venire un mese in Italia. Ho difeso Pasternak e i dissidenti. Quando liberarono Tibor Déry, il più grande scrittore ungherese, un maestro del romanzo contemporaneo, feci una tavola rotonda nel '63 a Leningrado: "E' una sfida!", mi aggredirono i russi. Queste sfide e queste battaglie le ho fatte io, non loro, i comunisti». Lei era molto vicino a Martinazzoli. Lo è ancora? «Resto amico di Martinazzoli. E' uomo di cultura ed è onesto». Torniamo alla letteratura. Chi preferisce tra gli scrittori d'oggi? «Il poeta Bertolucci». Fra i narratori? «Sono pochini, i manzoniani. L'unico è Sciascia: lo leggo sempre con inquieto piacere. Dei viventi, Tomizza». Lei è da più di vent'anni nella giuria del Campiello e di altri premi. Che bilancio ne fa? «Ogni anno perdo sempre più en¬ tusiasmo. Non sono più felice di scegliere. Mi sento vicino a Bo e al suo lamento-denuncia: oggi c'è una letteratura di basso intrattenimento, di falsi problemi. Un libro oggi è un prodotto». Lei passa per uomo di potere nella repubblica delle lettere. Accetta questa fama? «Non esiste questo potere. Qualcosa però ho fatto. Portai io II male oscuro di Berto al vecchio Angelo Rizzoli. E di una cosa mi vanto: ho contribuito a sprovincializzare la nostra cultura con la Comunità europea degli scrittori». Che consiglio dà a un giovane autore ? «Legga libri che non sono di moda e faccia un piccolo tentativo di ricostituire la società letteraria, che non esiste più». Non ha mai avuto la tentazione di non fare solo il critico e di scrivere un romanzo? «Ho tentato in anni lontani, ma ho capito che non ho felicità, non ho abbandono narrativo. Sto però finendo ora un libro dal passo narrativo: i miei incontri, le mie letture. Si intitola Un giro in battello. Tutta la mia vita è come un giro sul mio lago di Como, dove è nata la narrativa: Manzoni, Stendhal, Nievo... Per la mia tomba scrivo questa epigrafe: "Giancarlo Vigorelli, lombardo". Oggi la lombardità è dispersa, sotterranea. Vorrei che tornasse alla luce». Claudio Aftarocca «Sulla mia tomba I voglio scrivere j solo "lombardo": è una categoria dispersa, sotterranea» «Non conosco Bossi né Formentini, ma stimo Miglio. Consolo se ne andrà se vince la Lega? Faccia pure, ma sbaglia» Sotto, Alessandro Manzoni, a sinistra Bossi, «Capisco in pieno le ragioni che hanno determinato il fenomeno leghista» dice Vigorelli