L'epopea risorgimentale

L'epopea risorgimentale L'epopea risorgimentale Polonia martire dei popoli slavi Ieri l'università polacca di Torun ha conferito la laurea «honoris causa» in Storia a Giovanni Spadolini, presidente del Senato. Pubblichiamo parte della sua prolusione, dedicata ai Risorgimenti italiano e polacco, una comune lotta per la liberta. IT EGLI anni fra d 1830 e il 1 1848 la Polonia fu, per • l'opinione pubblica euro1 pea, insieme al Belgio, al^ ■ I l'Irlanda e all'Italia, uno dei modelli più suggestivi di resistenza e di costante e strenua rivendicazione dell'identità nazionale. La sfortunata e tragica insurrezione del novembre 1830 generò il mito del popolo martire, che si sacrifica a nome e per conto di tutti i popoli oppressi. Gli emigrati polacchi, a cominciare da Adam Mickiewicz, contribuirono potentemente alla formazione e alla divulgazione di quel mito. Le maggiori opere dei poeti romantici polacchi vennero pubblicate in Francia: fu proprio nella Francia degli Anni 30, la cui cultura politica ispirava tutte le correnti liberali e democratiche europee, che si sviluppò l'ideale forma della Polonia, connessa ad una prospettiva politica palingenetica. Di una palingenesi rivoluzionaria che alimenta e nutre il mito dell'imminente '48, in Francia e in tutta Europa. Già nel 1831, prima ancora che l'insurrezione polacca fosse stroncata dall'intervento militare russo, era sorto a Parigi un Comitato franco-polacco, figlio delle speranze e delle illusioni orleaniste. In questo appoggio alla causa polacca si trovarono unite tutte le correnti di quella inquieta Parigi, dalle tendenze democratiche avanzate fino ai limiti dell'utopia a quelle cattolico-liberali o cattolico-democratiche che facevano capo a Lamennais e al suo giornale allora nel massimo del suo fulgore, «L'Avenir». Su questo giornale il primo appello a favore della Polonia esce nel gennaio del '31. Nel maggio si parla ancora della Polonia come di un popolo che soffre per tutti gli altri, che riassume le sofferenze degli altri e che simboleggia i bisogni di tutti gli altri popoli d'Europa. E' il germe della visione del popolo martire, testimone del calvario che si impone per abbattere ['ancien regime. Qualche anno più tardi, in un corso di lezioni tenuto al «Collège de France», Adam Mickiewicz auspicava che la Francia, liberatrice dei popoli attraverso il genio di Napoleone, tornasse a compiere un'opera di rinnovamento politico e religioso dell'Europa. In quest'opera l'avrebbero aiutata i «barbari» slavi, in primo luogo i polacchi: questi ultimi avrebbero potuto sostituirsi alla Francia stessa, qualora la nazione erede dello spirito della rivoluzione fosse rimasta sorda all'appello divino e si fosse chiusa nell'egoismo dei popoli che non sanno di «appartenere all'umanità». In un libro pubblicato a Parigi nel 1832, Libro della nazione e dei pellegrini polacchi, Mickiewicz profetizzava la resurrezione della Polonia. Il filo è sempre lo stesso, il lievito è quello del messianesimo patriottico e rivoluzionario: il popolo polacco, risorgendo, avrebbe portato alla liberazione di tutti i popoli e alla cessazione di ogni conflitto fra le nazioni. L'opera di Mickiewicz piacque tanto a un cattolico come Montalembert, quanto a un democratico radicale come Giuseppe Giuseppe Mazz i Mazzini. Il grande poeta polacco, nelle diverse fasi del suo pensiero, esercitò un'influenza politica che contribuì in modo potente a minare l'ordine europeo creato dal Congresso di Vienna e consolidatosi nei primi anni della Restaurazione. Il suo insegnamento al Collège de France apparve ben presto sovversivo, e venne interrotto nel 1844. Durante la rivoluzione del '48, i contrasti, nell'ambito dell'emigrazione polacca, fra democratici e conservatori, finirono col coinvolgere gli stessi ambienti politici dei Paesi che li ospitavano. A Roma - nel momento più alto del Risorgimento - si battevano ancora in difesa della Repubblica romana alcuni dei polacchi accorsi col Mickiewicz a Milano nelle giornate del '48. Il legame fra i due Risorgimenti quello italiano e quello polacco sarebbe stato ribadito, nella tragica insurrezione del 1863, dal sacrificio del garibaldino Francesco Nullo, che appoggiò gli insorti alla testa di una legione di volontari e cadde in uno scontro con le truppe russe. Ma la Polonia, negli anni centrali e decisivi del Risorgimento italiano, era diventata un simbolo, e come tale veniva evocata dai più diversi settori dello schieramento politico e secondo esigenze ideologiche talvolta contrastanti. Molti patrioti italiani collegavano la libertà del loro Paese con quella della nazione polacca. Lo stesso Cavour, in un articolo sul Risorgimento del 23 marzo '48, scriveva che soltanto partendo dall'Italia liberata e con la cooperazione della Germania si sarebbe potuto muovere un esercito in favore del «risorgimento della Polonia». In entrambi i Paesi la lotta per il riscatto nazionale e la conquista della libertà assunse un tono di alta religiosità civile, particolarmente nei giovani che si erano nutriti della nuova spiritualità romantica e si contrapponevano al vecchio mondo settecentesco, col suo cosmopolitismo scettico e bonario, lontano dal nuovo ideale dei popoli affratellati nel culto della comune umanità. Un ideale lontano dai nazionalismi e dagli imperialismi dei primi decenni del nostro secolo, quando l'idea di nazione si è separata da quella di libertà e di umanità, trasformandosi in strumento di prevaricazione nei confronti degli altri popoli. In Mazzini e in Mickiewicz il concetto di nazione assume un aspetto etico-religioso. Il «Dio e popolo» si contrappone allo scetticismo e all'egoismo dei gruppi moderati nell'Europa della Restaurazione. «La culla dello spirito slavo diceva Mickiewicz al Collège de France - non può non trovarsi fra il popolo che, fra quelli slavi, ha sofferto di più; che è stato più in contatto con l'Europa; che all'Europa deve di più. Voi siete questo popolo. Siatene convinti. Siate le guide del pensiero slavo, di cui i vostri poeti sono stati i profeti. Là sta la vostra salvezza e la nostra». Giovanni Spadolini Giuseppe Mazzini