Fogar avrei voluto morire ma ora torno a sperare
Fogar: avrei voluto morire ma ora torno a sperare L'incidente in Russia, l'operazione in Francia, e ora il ricovero a Legnano Fogar: avrei voluto morire ma ora torno a sperare L'ESPLORATORE DI NUOVO A CASA LEGNANO DAL NOSTRO INVIATO La stanza misura quattro metri per cinque. E' in fondo al reparto rianimazione di neurochirurgia, fra lo studio del primario e il corridoio. Il letto, di quelli speciali anti-decubito, sta esattamente nel mezzo. A sinistra, appena dentro la porta, c'è il respiratore, la macchina senza la quale non sarebbe vivo. Più in là il comodino, mentre dall'altra parte della camera c'è un televisore, spesso acceso, soprattutto la sera dal telegiornale in poi. E' il mondo di Ambrogio Fogar. A 51 anni, l'uomo che ha combattuto oceani e ghiaccci, che ha sconfitto anche il nemico più pericoloso, la solitudine, che è sempre riuscito a portare a casa la pelle non può vedere oltre la finestra che dà sul cortile dell'ospedale Civile di Legnano. Non può frequentare che le due sorelle, la compagna, le infermiere che, giorno e notte, fanno la guardia a quella stanza che dal 2 giugno è la più importante fra le 700 del grande palazzo grigio-rosa. Fogar è qui, come dice il primario del reparto, il dottor Piergiacomo Movilia, «Vivo dal collo in su, morto dal collo in giù». Sono passati più di nove mesi da quando, il 12 settembre dell'anno scorso, Ambrogio ebbe un incidente durante la Parigi-Mosca-Pechino: un incidente banalissimo, la Range Rover che s'impenna su un gradino, cappotta, Fogar che prende un paio di botte, ma una quasi mortale, che gli spezza il midollo all'altezza del collo. «Lesione midollare alta, la testa in pratica è isolata dal resto del corpo», spiega il dottor Movilia, che lo visita ogni giorno. L'esploratore, da quel giorno, è paralizzato, tenuto in vita grazie ad una tracheotomia, per mesi la sua vita è rimasta legata a una debole speranza. «Ambrogio? Non ha molta voglia di parlare», spiega ferma e cortese l'infermiera appena dentro la porta della Rianimazione. Lui guarda attraverso la porta aperta della camera, e abbozza un sorriso: è il suo modo di salutare, il solo che gli è rimasto. Non riesce a parlare, ascolta, capisce, e riesce a muovere i muscoli della faccia in cenno di risposta mentre dalla sua bocca esce qualche parola sussurrata. «Ma forse - dice Fogar - fra qualche giorno organizzerò una conferenza stampa. Anzi, diamoci subito un appuntamento: tutti qui fra venti giorni. Per allora forse avrò imparato ad usare lo strumento meccanico che amplifica la voce». Tutti qui per raccontarci dell'incidente? «Beh, di quello Ambrogio ricorda poco - spiega Rita, una delle due sorelle di Fogar che si alterna con Maria Gra- zia per l'assistenza - l'auto che si rovescia, un colpo alla testa, il risveglio sull'elicottero che lo portava a Mosca, l'aereo per Milano, l'ambulanza che lo portava al San Raffaele». Il resto lo racconta il dottor Movilia: «Ambrogio è stato ricoverato poche settimane a Milano, poi a Lugano e infine in un centro per paraplegici specializzato nel Nord della Francia, dove il professor Brulet gli ha applicato due pace maker». L'intervento, tecnicamente, funziona così: a Fogar sono stati inseriti due stimolatori elettrici sottocutanei sui nervi frenici. Questi, con 14 impulsi al minuto, gli consentiranno di respirare autonomamente agendo sulla stimolazione del diaframma dodici volte al minuto: «Qui a Legnano - aggiunge Movilia - stiamo appunto effettuando la terapia di educazione». In questi giorni il paziente riesce a respirare 6-7 ore al giorno senza strumenti, non appena questo arco di tempo si avvicinerà alle 12 ore, i medici dimetteranno Fogar («pensiamo a fine agosto», precisa Movilia), che potrà così tornare a casa sua, a Milano, con la compagna Caterina Szijarto e le figlie Rachele, due anni, e Margherita, 18. Spe¬ ranze di ulteriori miglioramenti clinici? Il primario allarga le braccia e guarda al cielo... «Un miracolo». Ma Fogar, in questo periodo, sta bene. Tanto da cullare un sogno: «Scrivere un libro. Di memorie, oppure un grande racconto, un po' il romanzo della sua vita», confida un amico. Lo spera da quando gli hanno raccontato che l'unico paziente italiano nelle sue condizioni, un ragazzo milanese di 22 anni, ha potuto farlo, dettando ad un amico il testo. «Ambrogio - racconta chi gli sta vicino ogni giorno - solo da pochi mesi ha deciso che vale la pena di continuare. Sì, di vivere, insomma. Perché all'inizio, quando era ricoverato in Francia e Svizzera e i medici hanno dovuto spiegargli che era diventato tetraplegico, la pensava in modo opposto. Diceva di non farcela più, di non volercela fare». Adesso, invece, le cose sembrano cambiate, soprattutto da quando è ricoverato a Legnano. «Gli hanno portato un telefonino cellulare in camera», dice il dottor Enrico Liverta, coordinatore della Rianimazione, «e così ogni tanto gli amici più intimi possono chiamarlo. Lui fatica a rispondere, però sente benissimo». «Vive¬ re è una gioia - manda a dire Fogar - anche perché stando qui dentro ho scoperto quanta gente mi vuole bene». E spiega le telefonate, i telegrammi, i biglietti di chi «avevo perso per strada». Gente che aveva conosciuto quando era un Cb e passava quasi tutte le sere a scambiare opinioni e scherzare con voci sempre nuove, sportivi che dividevano con lui un pezzo di pista del vecchio Giuriati, a Milano, quando ogni sera, per un un'ora, Ambrogio andava a correre. «Adesso l'importante è andare a casa - dice Fogar - rivedere le mie cose, stare con i miei, imparare a comunicare in queste condizioni, insomma poter fare una vita quasi normale». Poi chiude gli occhi, e abbozza un altro sorriso. E' il saluto. «In questi momenti - confida un amico - Ambrogio mi ha detto che scorrono rapidamente le belle immagini di tante imprese. Ogni tanto sogna anche Armaduk, il cane che l'aveva quasi superato in popolarità. Poi, al risveglio, abbandona il passato e progetta il futuro». Forse il libro, quasi certamente la carrozzella speciale che, manovrata solo con il mento, potrebbe consentirgli margini di movimento impensabili nel suo appartamento. Gliel'hanno spiegato i medici che lo aiutano a vivere qui a Legnano: «In America una ragazza c'è riuscita». E' questa la prossima impresa di Ambrogio Fogar. Flavio Corazza E' completamente paralizzato ma riesce a parlare Adesso il sogno è di guarire per poter scrivere un libro La sua prossima impresa sarà muoversi su una carrozzina a rotelle manovrata col mento Qui a fianco Fogar in una spedizione in Groenlandia dell'82 e, a destra, sul Surprise nel 78. Accanto al titolo Ambrogio è con Armaduk, dopo il tentativo di raggiungere il Polo a piedi nell'83. In alto un'immagine di Fogar ricoverato all'ospedale di Legnano [FOTO DA GENTE)
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