«Così Pechino cancella la città dei Buddha»

Nella capitale del Tibet occupato dai cinesi Nella capitale del Tibet occupato dai cinesi «Così Pechino cancella la città dei Buddha» LA MORTE DI LHASA LE ferite del «genocidio culturale» del Tibet che il Dalai Lama ha denunciato alla recente conferenza sui diritti umani dell'Onu a Vienna sono visibili dappertutto a Lhasa, l'antica capitale che è ormai sottoposta a un processo di veloce distruzione. Un grande supermarket di prodotti cinesi è stato costruito proprio a fianco del circuito sacro dei pellegrini che si snoda intorno al tempio Jokhang, mentre l'antico villaggio ai piedi del Palazzo Potala è stato completamente distrutto. Interi quartieri della città sono stati rasi al suolo dalla autorità che perseguono il progetto di edificare una «moderna città socialista». Martedì scorso, il Dalai Lama ha cercato di partecipare ai lavori della conferenza di Vienna, nonostante i tentativi di boicottaggio cinesi. Ai giornalisti ha dichiarato che non è sufficiente che i governi garantiscano ai loro popoli cibo e case. «Sempre di più ha spiegato - la natura umana ha bisogno di respirare la preziosa aria della libertà». La parte cinese di Lhasa, come può notare chiunque ci ritorni con una certa frequenza, sta crescendo a ritmi accelerati. Dall'87 a oggi è praticamente raddoppiata. Adesso, le squadre di costruzione hanno trasferito i loro cantieri nell'antico centro tibetano che è salito alla ribalta dell'attenzione mondiale in seguito alle frequenti dimostrazioni indipendentiste. Fino agli Anni Cinquanta la città consisteva di due quartieri distinti, separati da bo- schi e paludi: un villaggio nei pressi del Palazzo Potala, chiamato Shoel, e un ammasso di case e di vicoli raccolti intorno ai templi Jokhang e Ramoche. Bisognava attraversare un antico ponte di pietra e legno per trasferirsi da un quartiere all'altro. Il torrente che scorreva nei pressi si prosciugò trent'anni fa, ma il ponte riuscì a sopravvivere. Costruito nel XVII secolo, era conosciuto con il nome di Yutok Sampa, il ponte dal tetto di turchese. La maggior parte delle sue decorazioni - delicate incisioni, pannelli di legno dipinto e mattonelle colorate - erano riuscite a sfidare senza troppi danni le insidie del tempo. Ma a marzo, improvvisamente, ne è stato deciso lo sman- tellamento. Un'altra amara sorpresa è quella che ha colto gli abitanti del villaggio di Shoel, vicino al Palazzo Potala. All'inizio di quest'anno è stato loro annunciato che tutte le case sarebbero state distrutte. Così, sono stati costretti a trasferirsi in nuove abitazioni. Ad aumentare il loro sconcerto è arrivata la notizia che tutta la zona sarà trasformata in un mercato per turisti - con tanto di negozi supermoderni - che rimpiazzerà le antiche costruzioni. La capitale del Tibet fu trasferita a Lhasa nel VII secolo, quando la maggior parte dei tibetani viveva ancora nelle tende. Il tempio Jokhang fu costruito nel 641 e, secondo la tradizione buddhista, tutto intorno fu tracciato un sen¬ tiero in senso orario che diventò noto con il nome di Barkhor. Nei secoli successivi sorse una città fatta di legno, pietra e mattoni di fango e diventò rapidamente il centro culturale e religioso per milioni di tibetani. La pianta complessiva e lo stile dei palazzi rimasero pressoché inalterati fino allo scorso decennio. Ora, invece, sta cambiando tutto. Un grande supermarket cinese è stato costruito lungo il sentiero di Barkhor: è la testimonianza evidente dello stravolgimento a cui è sottoposta l'ultima area dell'architettura classica urbana tibetana. Gli abitanti di Lhasa hanno ben poca voce in capitolo in tema di sviluppo urbano. La maggior parte degli aristocratici e dei proprietari terrieri sono fuggiti trent'anni fa e buona parte delle case è diventata di proprietà stata¬ le. Il grande palazzo che è stato distrutto lo scorso aprile per fare posto a un supermarket si chiamava Surkanh. Era in ottime condizioni. Adesso, il cemento cinese ha preso il posto del solido legname tibetano. Il principio fondamentale dell'architettura tibetana è sempre stato quello di adattare le costruzioni, sia da un punto di vista visivo che pratico, all'ambiente circostante. La scelta dei materiali da costruzione viene fatta in modo da offrire protezione al rigidissimo clima. Le nuove costruzioni, invece, sono composte da sottili pareti di cemento. «Costruire con le caratteristiche locali», come sostengono di voler fare gli urbanisti cinesi, significa nient'altro che dare alle case una mano di vernice, al modo tibetano. Uno studio pubblicato nel novembre del '90 da un team di esperti occidentali sostiene che le nuove costruzioni realizzate dai cinesi a Lhasa sono «cronicamente inadatte alle condizioni locali». Il documento conclude che «non ci sono motivi che giustifichino la decisione di demolire piuttosto che di riparare le costruzioni esistenti». A Lhasa, purtroppo, i cinesi non si preoccupano di preservare gli esempi della tradizione architettonica tibetana. Secondo un progetto cinese che si spinge fino al Duemila, i soli palazzi che non dovrebbero essere demoliti sono il Palazzo Potala e alcuni dei templi principali, ultime e isolate testimonianze che spiccano nel mare di una «moderna città socialista». Andrew Anders Copyright «The Guardian» e per l'Italia «La Stampa» Interi quartieri sono già stati rasi al suolo per edificare «la metropoli dell'era socialista» trqcd Un'immagine di Lhasa e nella foto piccola il Dalai Lama

Persone citate: Andrew Anders, Dalai Lama, La Morte

Luoghi citati: Italia, Lhasa, Pechino, Tibet, Vienna