ROBOTTI I verbali del delatore

/ verbali ài attore Scoperti a Mosca gli interrogatori del '39: il cognato di Togliatti denuncia i compagni italiani all'Nkvd / verbali ài attore «IL 13 gennaio 1939 Paolo I Robolti, dirigente del club I degli emigrati a Mosca e coI gnato di Togliatti, era nelle Mi carceri dell'Nkvd (poi Kgb) già da 10 mesi. Quel giorno viene chiamato per l'ennesimo interrogatorio (il dossier dell'inchiesta che lo riguarda ne contiene 14). Le domande del giudice istruttore dell'Nkvd mirano a mettere in dubbio la sua ortodossia rivoluzionaria. Robotti si dilunga sulla sua attività di presidente della sezione italiana del club degli emigrati politici a Mosca. Accusato esplicitamente di aver lavorato come trotzkista-bordighista, Robotti nega ogni addebito e afferma: «Nel periodo del mio lavoro come presidente del comitato direttivo degli emigrati politici italiani mi è toccato molte volte smascherare dei trotzkisti nelle riunioni del club degli emigrati politici d'Italia e di questo ho informato la sezione italiana del Komintern, ho fatto pervenire agli organi dell'Nkvd comunicazioni riguardanti persone che si occupavano di propaganda trotzkista e, dopo tali comunicazioni da parte mia, molti trotzkisti bordighisti sono stati arrestati». Il suo dossier - finora inedito era sepolto negli archivi del ministero della Sicurezza (ex Kgb), dove lo abbiamo rintracciato durante altre investigazioni. Ricercatissimo, nei giorni della ormai famosa lettera di Togliatti sugli alpini, sembrava sparito nel nulla, cancellato. I dossier con gli atti processuali dei comunisti italiani vittime delle purghe erano tutti schedati, tranne quello di Robotti. Da qui un piccolo giallo: chi ha fatto sparire la scheda corrispondente al suo dossier? Il clima di delazione e sospetto che saturò gli anni delle repressioni di Stalin dopo l'omicidio di Kirov fece milioni di morti, cancellando un'intera generazione di rivoluzionari; ma soprattutto divise quel mondo, il mondo degli emigrati politici in Unione Sovietica, in due categorie di persone: vittime e vittime-carnefici. Paolo Robotti fu una vittima-carnefice. Vittima perché finì egli stesso nel meccanismo infernale della repressione staliniana; carnefice perché a questa macchina repressiva fornì in quegli anni la sua costante collahorazione. Nel dossier dell'arresto di Paolo Robotti, oltre ai 14 verbali d'interrogatori avvenuti nei 18 mesi di detenzione, ci sono i resoconti degli interrogatori di alcuni testimoni (tra cui tale Vigdorcik, Giovanni Germanetto, dirigente di Soccorso Rosso Internazionale, ed Elena Montagnana, moglie di Robotti), inoltre stralci dei verbali di interrogatori di André, Venanti, Cassinelli, Zingarelli e Lago. Sono proprio questi ultimi che, riconoscendosi colpevoli di attività antisovietica e costituzione di un'organizzazione spionistica fascista, accusano a loro volta Robotti di essere uno dei responsabili di questa organizzazione. Un'accusa evidentemente falsa e paradossale che nasce da un'area geografica ben precisa: Kerc in Crimea, città dove si trovava una consistente colonia italiana, composta in maggioranza da emigrati pugliesi arrivati nella zona alla fine dell'800 e da cui provenivano gli accusatori di Robotti. La colonia era evidentemente considerata «zona a rischio» perché esposta alla propaganda fascista del console d'Italia a Odessa, il quale cercava di convincere i giovani (nati in Russia) a tornare in Italia per il militare. Con la collettivizzazione, a Kerc era stato fondato il kolkoz «Sacco e Vanzetti», sotto il patrocinio della sezione italiana del Club degli emigrati politici di Mosca e quindi di Robotti. Qui venivano inviati anche comunisti di provata fede a insegnare nella scuola locale. A Kerc le sedute di autocritica, «l'epurazione nelle file del partito bolscevico... una manifestazione di controllo dal basso molto efficace» (così descrive le "cistka" Paolo Robotti nel suo libro di memorie «La prova») si rivelarono un'operazione dolorosa e con molti strascichi penosi», come testimonia Giuliano Pajetta in «Russia 1932/1934». Robotti, come presidente del Club, intervenne in più d'una occasione. Una di queste fu nel 1932 proprio per denunciare il suo futuro accusatore, Venanti. Quest'ultimo era accusato da alcuni emigrati di non aver offerto lavo¬ ro ai compagni nella fabbrica dove era dirigente e di aver protetto un «noto bordighista». Ecco cosa risponde Robotti, a questo proposito, nell'interrogatorio del 31 maggio 1939: «Segnalai i sospetti sulla personalità di Venanti al Komintern, al Mopr (Organizzazione Internazionale di Soccorso ai Militanti Rivoluzionari) e alle altre organizzazioni di partito nel 1932 e poi all'Nkvd nel 1934». E poi aggiunge: «Dichiaro che le deposizioni di Venanti sono false, fatte allo scopo di compromettermi e vendicarsi di me». E' proprio nell'autodifesa durante l'inchiesta che Robotti stesso ri- vela, interrogatorio dopo interrogatorio, la sua attività di denuncia. I giudici istruttori, nei primi tredici mesi di detenzione, sottopongono Robotti ad interrogatori su tre momenti della sua vita precedenti il trasferimento in Urss: 1) il periodo del suo lavoro a Genova alla Sovtorgflot (Flotta Commerciale Sovietica) nel 1926-1927 con l'arresto della polizia fascista, i due mesi di detenzione e il licenziamento dal lavoro; 2) la partecipazione nel 1928 all'omicidio della spia fascista Quaglia, a Parigi; 3) i dissensi nel 1931 con la dirigenza del pei, che lo accusa di indisciplina e di mancanza di autocontrollo e lo reputa di conseguenza inadatto a svolgere lavoro clandestino in Italia. Le domande dei giudici riguardo il primo punto sono su quei «due soli» mesi di detenzione (interrogatori del 14, 15, 16 giugno 1939). A dissipare i dubbi dei giudici c'è nel dossier la testimonianza di Ercoli (Palmiro Togliatti) il quale afferma che la scarcerazione del cognato e la commutazione della pena di 4 anni di confino in sorveglianza speciale, furono il risultato degli attivi sforzi della moglie di Robotti, Elena, che era riuscita ad appellarsi ad un articolo della legge fascista, sulla base delle precarie condizioni di salute del marito (Robotti aveva sofferto di tubercolosi). Interrogato sugli altri due episodi Robotti risponde in modo esplicito: riconosce d'aver ricevuto dal CC l'ordine di effettuare l'catto terroristico» contro Quaglia, «traditore e delatore» e di averne affidato l'esecuzione ad un terzo compagno. In un successivo interrogatorio del 15 aprile 1939 Robotti elenca, su richiesta del giudice istruttore, i membri della sezione italiana del club degli emigrati politici, precisando, ad ogni nome, gli arrestati. Analizza poi i «crimini» che molti di essi avrebbero commesso: dalla propaganda antisovietica ad una troppo esile lotta al trotzkismo e al bordighismo. L'elenco è lungo, citiamo i nomi più conosciuti: Siciliano, ovvero Luigi Calligaris, arrestato nel 1936 e scomparso a Nagajevo, in Estremo Oriente; Merini, ovvero Ezio Biondini, arrestato nel 1934, condannato ai lavori forzati a Taset e ucciso da un detenuto; Aldo Gorelli, detto Torre, arrestato nel 1937, condannato a morte il 14 marzo 1938; Alfredo Bonciani, detto Grandi, una «pagina nera della storia del pei»: Grandi fu infatti eliminato da tre compagni di partito: Giovanni Bertoni, Luigi Capanni e un genovese conosciuto come Pera, che lo uccisero a coltellate in una stanza dell'Hotel Majak (Gianni Corbi nel suo libro «Togliatti e Mosca», ricostruendo la vicenda, ricorda che Grandi si rivolse per aiuto all'ambasciata d'Italia e proprio all'ambasciata si era «rudemente lamentato dei dirigenti del pei, in particolare di Togliatti e di Robotti»); Tina Parodi protagonista di una «concitata riunione al Club degli emigrati - come racconta Dante Corneli - riunione che si trasformò in un vero e proprio processo: da una parte lei, l'accusata, dall'altra Robotti, giudice severissimo...». Tina Parodi fu arrestata dall'Nkvd e condannata a 8 anni di lavori forzati. Questi - ribadisce Robotti - sono tra coloro che hanno manifestato malumore, critica o semplicemente perplessità nei confronti della politica socio-economica sovietica. Per altri, come Francesco Misiano, Renato Cerquctti, Visconti, Sensi, Silva, l'accusa è quella di non essersi espressi in modo netto ed inequivocabile contro i «deviazionisti». Sarà proprio il suo eccesso di zelo, la sua eccessiva durezza a por¬ tarlo all'arresto del 1938. Tra le accuse del dossier si legge: «Si rilevano in tutti i periodi della sua attività lagnanze per la sua rozzezza». A confermare ciò e a lasciare qualche traccia di veleno è Giovanni Germanetto che, interrogato dai giudici, dichiara: «Mi è noto che Robotti è di carattere molto rozzo, duro e di conseguenza non ha capacità di trovare un punto di contatto con le masse. Il comitato presieduto da Robotti ha però scoperto tra gli emigrati italiani elementi controrivoluzionari come Siciliano, Merini, Torre..., bisogna comunque dire che la rozza intransigenza del suo carattere ha influito sul lavoro del gruppo italiano perché, in generale, Robotti non era in grado di ascoltare fino in fondo un discorso e interrompeva sempre a metà. Questa sua incapacità di accostarsi da compagno a compagno ha costretto molti a trattenersi dall'esprimersi liberamente nelle riunioni». E ancora - sempre accluso al dossier - un certificato di servizio della fabbrica Kalibr, dove lavorava Robotti al momento dell'arresto, in cui si dice che «un trasferimento interno di Robotti ha l'immediata conseguenza di un migboramento nel reparto da lui lasciato». Il 2 settembre del 1939 la pratica viene archiviata con la scarcerazione di Robotti, assolto dall'accusa di «attività provocatoria e spionaggio». La nota del Comitato Esecutivo del Comintem, che si avvale della testimonianza di Togliatti, garantisce che «Robotti non si è mai risparmiato nella sua attività a favore del comunismo sovietico». Con il rischio di cancellare il patrimonio di democrazia e tolleranza che portava in sé l'emigrazione italiana antifascista in Urss. Didi Gnocchi Da sinistra Togliatti e Pajetta Sopra, Robotti e il suo fascicolo istruttorio In basso una pagina del verbale