«Così voglio svegliare Milano» di Valeria Sacchi

«Così voglio svegliare Milano» «Così voglio svegliare Milano» «1radical-chic?Mai visto gente meno colta» PARLA PHILIPPE OAVERIO ■MILANO 0 non rappresento la Milano snob, ma la Milano competente. Penso non ci sia altro da aggiungere. Se non che è tipico del populismo confondere competenza e carriera con snobismo». Così rimanda la palla a Nando Dalla Chiesa, che lo ha tacciato di essere «snob e conformista», Philippe Daverio, anni 44, gallerista, gilet e farfallino, tonda faccia da bambino irriverente, amore spinto per il paradosso. Assessore alla cultura della prossima giunta di Milano, se il voto confermerà primo cittadino il leghista Mario Formentini. Sbalordito o euforico? «Euforico no, preoccupatissimo; è una cosa molto difficile, richiede un consenso quasi garibaldino. Ma, ecco, sono molto eccitato». Che effetto fa questa nomina? «E' capitata quattro giorni fa. Improvvisamente. Formentini non lo conoscevo, Mario Spagnol ha fatto il mio nome». Non teme gli attacchi degli amici, come quelli diretti contro Giorgio Bocca? «Me li aspetto. Ma so come rispondere. Diciamoci la verità. Il radicai chic milanese è una straordinaria eccezione. Nel mondo. E' il solo che passerà indenne e senza lasciar traccia di sé attraverso il secolo. Non lascerà una biblioteca, non un quadro. Non ci sarà fondazione a ricordarlo. E' un genere con una particolarità antropologica unica in Occidente». I burini sono loro, i radicai chic, non le truppe del Bossi... «Lascio giudicare agli altri. Dico solo: esistono poche borghesie meno colte. Mi sono trovato meglio nel Middlewest. Precisiamo: non è così tutta la borghesia di Milano, ma sono così i radicai chic di Milano Centro». Rianimare Milano. Partendo da schemi alla Nicolini? «Devo spiegare perché ho accettato. Perché credo che riorganizzare la cultura a Milano sia il collante principale. Un collante che coinvolge l'urbanistica, il rapporto con le periferie, con i comuni limitrofi. Milano ha un milione e seicentomila abitanti, è piccola rispetto alle top-city. Ma serve un'area di 12 milioni di abitanti. In questa visione, le periferie non sono più classiche periferie, ma sacche di sottosviluppo e di povertà a macchia di leopardo. Ecco che allora, un progetto di queste dimensioni... è oggi il progetto europeo più stimolante che ci sia...». Nel senso che a Milano bisogna ripartire da zero? «Esatto, la città dorme dal '68. Dalla occupazione della Triennale. Alla fine di quell'anno cessa il rapporto tra città e strutture pubbliche. Ricorda le uova alla prima della Scala? Una serie di stupidaggini, una dopo l'altra. Cessa la Triennale, si spengono i teatri, si ideologizza anche Brera, con Russoli e il progetto Citterio. Tutto si ideologizza, e tutto decade». Le sue prime mosse? «Bisogna rifare il tessuto connettivo, non quattro grandi exploit. Il rischio è di fare una scelta ideologica, centri assistenziali in periferia, o velleitaria, tipo due o tre se¬ gnali megagalattici». E invece? «Si deve partire da tre livelli. Il primo, è un lavoro da donna delle pulizie. Un esempio: rimettere in funzione il servizio fotocopie della Sorniani e del Castello, aggiornare le acquisizioni, rifare i programmini dei piccoli musei. Mi piacerebbe che, tornando dalle vacanze, i milanesi avessero l'impressione che qualcuno ha passato lo strac- ciò della polvere. Il secondo livello è quello degli interventi che ricreano simpatia con la città. Mostre che non costino molto, ma siano intelligenti, e non è detto che bisogna farle in centro. Alcuni interventi musicali che diano il segno che la città vuole tenere il suo centro, ma anche articolarsi». Siamo alla terza fase, al top... «Al top. Qui dovrebbero arrivare tre idee del secolo nuovo. Non de¬ menze, ma grandi servizi che non esistono. In un certo senso, siccome non esistono è più semplice. Un sistema musica, teatro e arti visive, senza dimenticare che il museo non è solo quella cosa dove stanno appesi i quadri. Anche il cimitero Monumentale è un museo, anche l'Ansaldo...». Un sistema per usare la città. «Sì; e con parecchi vantaggi: ricreare percorsi di simpatia tra cittadino e luoghi, che costa molto meno che fare le faraonate tipo Opera Bastille. E poi un altro mio panino: mettere in moto una macchina di formazione dei giovani. Vorrei dei giovani che facciano volontariato nell'assessorato alla Cultura». Con quali prospettive? «Con la prospettiva di formarsi per andare poi a lavorare in altre città o paesi, ma con un'esperienza pratica in mano. L'idea non è mia, l'ho visto fare da dei miei amici a Berlino. E in questa esperienza vorrei anche coinvolgere gli anziani. Personalmente, vorrei una segreteria di anziani. Perché, secondo me, oggi il sessantenne è il migliore degli impiegati». Valeria Sacchi Il candidato assessore leghista alla Cultura «Non rappresento gli snob ma i competenti» Il gallerista Philippe Daverio, sostenitore di Formentini