Nel deserto del Gobi cantiamo in coro motivi d'amore di Furio Colombo

Nel deserto del Gobi cantiamo in coro motivi d'amore Nel deserto del Gobi cantiamo in coro motivi d'amore Festa di compleanno con Eco e Le Goff su venti vagoni diventati un villaggio LANZHOU < mulo bianco, di forma conica, alto mezzo metro, circondato da sassi dipinti di bianco disposti in circolo con un sasso anche al culmine del cono. Abituandomi al buio, ne vedo altri, qualche volta con un rametto invece del sasso in cima. La forma fa venire in mente qualche funzione contadina, come un piccolo deposito, un segnale di riferimento, o un oggetto propiziatorio di tradizione ignota. Sono tombe, mi dicono la mattina dopo Wang e Liu, due dei professori che ci accompagnano da Canton verso la Via della Seta. Abituato alla nuova forma della sepoltura, d'ora in poi ne vedo a centinaia nel deserto, forse a migliaia. Piccoli cumuli conici sparsi un po' a caso, come frutti della natura in prossimità dei villaggi e qualche volta, misteriosamente, isolati, lontanissimi. Impossibile decifrare il senso di quella solitudine estrema. I nostri accompagnatori si limitano a indicare. Un viaggio di trenta ore tra¬ sforma il treno in un villaggio. Un bambino scampanellando corre in bicicletta lungo il corridoio del nostro vagone. Ieri sera ci sono venuti a dire che una delle ragazze del gruppo universitario cinese che ci accompagna compiva gli anni, ventinove. Umberto Eco ha fabbricato le candeline impastando cerini. Poi tutti insieme (con Jacques Le Goff, con Paolo Fabbri, con Wang, che ha studiato a Bologna e conosce qualche aria italiana) abbiamo formato un coro: canzoni popolari francesi e italiane, d'amore e di guerra, di lavoro e di nostalgia, dal principio del secolo ai giorni nostri. Posso assicurare che abbiamo cercato di farlo con qualche dignità, cercando di dare un'idea decente della tradizione polifonica occidentale. Portando il tè e il thermos dell'acqua calda, sono arrivate nel nostro vagone famiglie e bambini, si siedono in terra un po' dappertutto per godersi il nostro strano spettacolo. Il senso di rispetto degli adulti (o forse la nostra comitiva che continua a discutere sul rapporto fra confucianesimo, taoismo, e gesuiti, fra occidentalizzazione, marxismo e rivoluzione. La discussione si alterna a ^terminabili ore di fronte ad abbondanti ciotole di riso bollito e verdura che sono il nutrimento di base e comunque il solo cibo disponibile. Diventa chiara per noi la nuova passione dei nostri accompagnatori cinesi per un internazionalismo non più ideologico ma basato sulla conoscenza reciproca, sul ritrovamento del passato, sul confronto delle tradizioni, sull'intensificazione degli scambi culturali di tipo scientifico e specialistico. Ogni volta che a una delle tavole si fa un posto libero qualcun altro del treno viene a sedersi prima timidamente, poi portando anche i bambini e gli accompagnatori fino a occupare quasi tutto lo spazio. Noi, imperterriti, continuiamo le nostre conversazioni. Passeggeri affacciati al finestrino di una carrozza di immutabile ci trattenesse. Nel villaggio di creta qui accanto si muovono piccole figure, uno con una lampada in mano, credo un lumino a petrolio sospeso a una corda. Le figure non si avvicinano, non parlano tra loro. Mi sembra di intravedere i tradizionali abiti dei contadini poveri della Cina prerivoluzionaria, le casacche corte di tela e i calzoni neri che lasciano scoperto il polpaccio. Ma sto vestendo le ombre. Siamo nei pressi di un villaggio di case basse, sperduto nel deserto del Gobi. All'alba qualcuno dei ferrovieri scende a sgranchirsi le gambe. Veniamo a sapere che il vento, qualche ora prima, ha accumulato fango sui biliari, uno o due chilometri più avanti. Ci vogliono cinque ore per liberare i binari. Mi incuriosisce un piccolo cu- qualità del nostro modo di cantare) richiede che ti guardino seri, attenti, senza sorridere. I bambini invece battevano le mani, ridevano a gola spiegata, guardavano i «nasi lunghi» impegnati sul treno a dare spettacolo. Il treno della Cina del Nord avanza lentamente sulle sue larghe rotaie a scartamento sovietico con i suoi vagoni pesanti e un po' sporchi ma molto comodi, che sono l'unica via per rifare all'indietro il cammino dell'Occi¬ dente verso l'Oriente. Per un viaggio così lungo c'è un vagone ristorante. Ma il suono di queste parole - vagone ristorante - può indurre un viaggiatore inesperto in errore. Considerate la lunghezza del viaggio e quella del treno. Si tratta di una mensa popolare con infiniti turni. A tavole di ferro, sempre con la stessa tovaglia di plastica che deve aver fatto ben altri viaggi, si siedono soldati m trasferta, famiglie in viaggio, con vecchi e bambini, la Furio Colombo

Persone citate: Eco, Jacques Le Goff, Le Goff, Paolo Fabbri, Umberto Eco

Luoghi citati: Bologna, Canton, Cina