I MORALISTI GIOCANO «A ZONA»

Esce il diario della giornalista ebrea che conobbe il Fuhrer da vicino: capricci, barzellette, mondanità della Berlino nazista Esce il diario della giornalista ebrea che conobbe il Fuhrer da vicino: capricci, barzellette, mondanità della Berlino nazista FERMATA I MORALISTI GIOCANO «A ZONA» Qui a fianco Hermann Gòring: nel diario di Bella Fromm è descritto come vistoso e arrogante. In basso Hitler durante un discorso BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La prima volta in società, per Adolf Hitler appena nominato Cancelliere, è devastante: «Le code del frac gli erano d'impiccio, continuava a toccarsi con la mano dove di solito batte il cinturone militare, ma non trovava quel comodo appoggio e allora diventava sempre più nervoso: prendeva il fazzoletto, lo gualciva, si vedeva che aveva una paura maledetta del debutto sul parquet diplomatico». A casa del feldmaresciallo Paul von Hindenburg, ultimo presidente della Repubblica di Weimar, quella sera del febbraio 1933 c'erano 400 ospiti di rango: il corpo diplomatico al completo, banchieri, uomini della finanza e intellettuali, ma tre soli ebrei. La moglie dell'ambasciatore italiano Elisabeth Cerniti, quella del rappresentante sovietico Maria Tschintschuk e Bella Fromm, la star del giornalismo mondano coccolata dai potenti, negli anni della «Kaiserzeit», e invitata d'obbligo ai ricevimenti della «società ufficiale» sospesa fra Weimar e il Reich. «Hitler non immaginava che non fossi ariana. Doveva avere il raffreddore, perché tutta Berlino dice che lui sente l'odore di un ebreo a dieci chilometri di distanza», annotò più tardi Bella, uscita da una famiglia dell'alta borghesia di Norimberga che la portò, giovanissima, a contatto con i circoli più influenti. Il suo «Diario» sulla società berlinese e l'agonia della Repubblica - Hitler mi baciò la mano, pubblicato solo ora in Germania - sarebbe continuato fino al 4 settembre '38, due mesi prima della «Notte dei cristalli» e vigilia del suo esilio volontario negli Stati Uniti, dove morirà nel '72. Frau Bella l'avrebbe scritto con «l'altra penna»: quella che non poteva usare per gli articoli mondani pubblicati sulla Vossische Zeitung e la BZ. Ogni giorno, o quasi, fino a quando si rese conto che «la civiltà così come noi la conosciamo, in Germania è una vernice che può essere grattata via con facilità, appena si danno gli ordini giusti e compare l'idolo giusto». Restare a Berlino, allora, avrebbe significato la fine. Ma la sera del 10 febbraio 1933, Hitler era Cancelliere da pochi giorni appena e si muoveva ancora con DISPACCI DALLA CINA il VERSO DONGHUANG j fermo nella notte il treno della Cina del Nord. I venti vagoni verdi, quasi tutti senza luci, formano una vasta curva alle 4 del mattino. La scena è un punto nel deserto. Sapremo poi che si chiama ShanTzo. Ma la lama di luna che filtra dallo strato basso di nubi non ci consente di vedere nulla. Ci vuole un'ora, due ore, per abituarsi al buio e vedere un villaggio di case basse d'argilla. Anche di giorno, dal treno in corsa è difficile distinguere le poche case al primo colpo d'occhio. Sono villaggi di terra colore della terra. Qui, nella notte, bisogna aspettare l'alba per distinguere contro il cielo appena appena lattiginoso montagne tagliate a spigolo, dure e nude, ai bordi estremi del deserto. Probabilmente tutti dormono nei venti vagoni che nella posizione di curva sembrano un accampamento. Non si fanno sentire neppure i ferrovieri né i macchinisti, come se qualcosa di certo, una prudenza rozza, fra spettatori «solleciti o guardinghi». Il Fuhrer pareva tenere particolarmente al suo «battesimo sociale»: ma «si sentiva osservato» e il disagio si esprimeva in atteggiamenti goffi, nervosi. Intorno a lui, in quella quasi profetica serata («Hitler aveva presentato il suo governo senza nominare il responsabile per la giustizia») si muovevano personaggi grandi e piccoli, gli stessi che appaiono e scompaiono, con una regolarità ritmata, nelle pagine del «Diario». Frau Hyalmar per esempio, la moglie del presidente della Reichsbank, che espone con orgoglio sul petto poderoso una svastica di rubini e diamanti. Accanto a figure minime, nelle pagine del «Diario» scorrono protagonisti come «der Doktor», il futuro ministro della propaganda Joseph Gobbels, incontrato per la prima volta quando era soltanto un «deputato nazista assetato di potere». Verso «quel nano che per arrivare al podio del Reichstag ha zoppicato in A RICHIESTA A lato Leni Riefenstahl, la regista prediletta del Fuhrer. A sinistra Joseph Gobbels riceve un mazzo di fiori da una ragazza rucchiere disoccupato che a Cesare»). A una serata musicale dal conte Rudolf von Bassewitz, il 26 febbraio '33, fa scalpore una storia uscita sui giornali del mattino: Hanussen in trance ha profetizzato «un crimine sanguinoso compiuto dai comunisti», ha visto «delle fiamme iUuminare il mondo». Ventiquattr'ore dopo sarebbe andato a fuoco il Reichstag. Poche ore dopo, il nazismo avrebbe trovato il colpevole ufficiale vaticinato da Hanussen: il comunista Marinus van der Lubbe, un olandese seminfermo di mente che permetterà a Hitler di giustificare le leggi eccezionali. Ma fra tante apparizioni, il punto di confronto è il Fuhrer, «sempre attento a dare alla gente un'alta dose della sua presenza divina». Quando Bella lo incontra la seconda volta - il 30 marzo '33, a casa di von Papen - tutto è rappresentato secondo una regia sapiente: «Improvvisamente la sala si riempie di uomini delle SS, entrati chissà da dove. Sembra di essere su un palcoscenico: poi le porte laterali si aprono, tutti fanno silenzio, Hitler entra e rimane immobile. Ha un frac di buon taglio: evidentemente, man mano che si rafforza il suo potere migliorano i suoi sarti. Ma la testa sembra non appartenere al corpo, è goffa». Neanche quella sera il Fuhrer fa a Bella «un'impressione dignitosa»: «Non sapeva che cosa fare delle mani, prendeva il fazzoletto o si lisciava i capelli unti, se U toglieva dalla fronte, si inchinava ai nobili presenti. Davanti all'informe contessa Louise von Sachsen Meiningen si è quasi inginocchiato». Quella sera, mentre l'orchestra suona ì'Horst Wessel Lied, Bella saluta col braccio alzato, anche se da poco gli ebrei erano stati «privati del "privilegio" di dire "Heil"». Ha appena ascoltato una storia che pare una tragica premonizione: l'amica Margarete le ha raccontato della figlia Hilda, tornata gravida dal campo di lavoro della gioventù nazista. La ragazza, sedicenne, non vuole abortire: «Sono orgogliosa di regalare un figlio al Fuhrer, se sarà un maschio spero morirà per lui e la sua grandezza», grida alla madre. E a Bella: «Sono una sposa del Fuhrer, non mi dia mai più del tu». «Impicciato dalle code del frac, non sapeva dove mettere le mani, mostrava una paura maledetta» IN ordine alfabetico: Piero Angela, Enzo Biagi, Paolo Frajese, Bruno Vespa, Walter Zenga. Chi è l'intruso? La risposta viene immediata, poiché almeno due dati di fatto separano il calciatore dagli altri: l'età e il facto di non appartenere all'Ordine dei giornalisti. Ma l'intruso non è Zenga, e anzi non c'è intruso. Secondo una indagine della Young & Rubicam, quelli elencati sono i cinque eroi che totalizzano il maggior gradimento presso un gruppo sociologico denominato «maggioranza di mezzo». Il conformismo italiano si rivolge a Rai 1 e alla difesa a uomo. Catenacci. Una sorpresa anche maggiore si ha scorrendo l'hit parade dei prediletti dal segmento dei «giovani anticonformisti». Comprende i nomi di Francesco De Gregori, Antonio Di Pietro, Luciano Ligabue, Carlo Maria Martini, Bartolomeo Sorge. Due cantanti, due religiosi e un magistrato. Nei loro distinti campi, con diversa efficacia e uguale tenacia, si sono distinti per averci fatto capire quanto noi non ci siamo conformati alle regole ideali della vita civile, o a quelle scritte del codice penale. A occhio, passeranno alla storia più da moralisti e moralizzatori che da anticonformisti: e lo diciamo ben contenti che l'epiteto di «moralista!» non sia più avvertito come insulto. Ma le categorie sociologiche citate intendono raggruppare non tanto cittadini quanto consumatori, e i protagonisti del sondaggio sono solo gli ideali testimonial di prodotti e campagne diversamente mirate. Vorrà dire, allora, che nella figura ragionevolmente spaccona di Walter Zenga si consuma l'idea che una «maggioranza di mezzo» ha dell'uomo di successo. E che nello spirito della pubblicità, anima del commercio, il moralismo professionale di eminenti prelati, cantautori e pubblici ministeri è un segno di anticonformismo. Un'accattivante bizzarria, come giocare a zona.