Occhetto contro Novelli «Il futuro non è più lui» di Alberto Papuzzi

«La sinistra deve guardare al centro non ai vecchi fondamentalismi» Occhetto contro Novelli «Il futuro non è più lui» TRA TORINO E MILANO ROMA A Achille Occhetto, se vivesse a Torino, dove è nato, domenica prossima, nel segreto dell'urna, voterebbe davvero per Valentino Castellani, il professore cattolico candidato del pds, e della borghesia laica, o si lascerebbe attrarre da Diego Novelli, l'ex che ritorna alla testa del vecchio popolo comunista? La sensazione dei torinesi è che Occhetto non si sia speso molto per Castellani. Lui, al volo, l'ha definita «una minchiata». Ma anche il filosofo Gianni Vattimo ha scritto, sulla Stampa, di vedere in Occhetto una diffidenza per Castellani. Nel suo ufficio alle Botteghe Oscure il capo della Quercia allarga le braccia come per dire: il «caso Torino» svisceriamolo fino in fondo e non se ne parli più. Allora, on. Occhetto, che cos'è per lei Castellani: un problema, un ripiego, una via obbligata? «La candidatura Castellani è la quintessenza della politica che ho cercato di mettere in campo con il pds. L'Italia ha bisogno di una sinistra che sappia guardare al centro, non dei nuovi fondamentalismi di una vecchia sinistra». Vattimo avrebbe torto quando dice che lei, in realtà, non ama l'operazione Castellani perché è tentato dal sogno di una grande sinistra col 51%? «Conoscendo Vattimo come un commentatore attento e acuto, questa volta mi ha lasciato stupefatto. E' ovvio che puntiamo al 51 per cento, ma sulla base dei programmi, per cui non escludo affatto di avere avversari a sinistra, anche se non li ricerco. In questo senso, Castellani è un candidato tipico della politica che io ho impostato in lungo e in largo per l'Italia». La candidatura Novelli, l'abbraccio con la Rete, sono stati in discussione o no? «Dovunque abbiamo proposto intese a tutto campo. Se non ci siamo riusciti non è stato per volontà nostra. E' una falsità quella di Novelli che volessimo discriminare Rifondazione». Come mai a Torino vi trovate con un blocco di alleanze opposto a quello costruito a Milano? «Non è una nostra scelta: noi non abbiamo tenuto due linee opposte. I nostri gruppi dirigenti sono partiti con l'ipotesi di massima estensione delle alleanze a Torino come a Milano. Il mestiere del pds è quello di cercare il massimo delle alleanze compatibile con un progetto riformatore: chi non ci sta non ci sta, ma se ne assume la responsabilità. Noi non facciamo discriminazioni aprioristiche. Questo errore non lo vogliamo commettere più». Se l'intesa fosse stata possibile, il pds a Torino avrebbe potuto presentarsi sotto la bandiera di Novelli? «No. La nostra valutazione è stata che in una città in crisi e in trasformazione, quale è Torino, è giunto il momento di guardare in avanti piuttosto che puntare sull'autodifesa della tradizione della giunte rosse, benché siano un patrimonio che rivendichiamo. Bisognava cioè passare il testimone e allargare lo schieramento». Chi è Novelli? Come ne spiega il successo? Che cos'è il Novellismo? «Novelli è l'uomo che in una fase difficile è riuscito a farsi popolo e in questo ha dato vita a un'esperienza importante. Ma oggi Torino vive una crisi strutturale che richiede un progetto di sviluppo. Basta sentire qualsiasi confronto fra Novelli e Castellani per capire che la visione di tale sviluppo c'è in Castellani, non in Novelli. Non lo dico per polemica: : ' . .■ nelle grandi città c'è bisogno di nuove competenze e non di politici tradizionali, che si affidino magari a funzioni taumaturgiche e un po' oracolari. E poi Novelli dovrebbe rendersi conto che è necessario un ricambio anche nel ceto politico dirigente». Però è un uomo che gode di un reale consenso popolare: ha conquistato il 36 per cento dei voti, il 12 per cento in più delle sue liste. «Il fatto è cine Novelli ha svolto una campagna elettorale semplicistica: ha usato la sua popolarità per spiegare che la tradizione operaia della città stava con lui, ed è arrivato a dire che i padroni stavano dall'altra parte. Questo è inaccettabile. Noi non l'abbiamo mai attaccato e lui non può andare a dire agli operai che noi con Castellani facciamo la scelta dei padroni e della massoneria». Novelli dice che solo lui è la sinistra, mentre Castellani cerca i voti dei moderati. «Castellani è una sinistra che si rivolge alle forze di un centro in rotta. Con le debite proporzioni, se non lo facesse, sarebbe come se gli antifascisti dopo la Liberazione non avessero parlato agli uomini del regime per convertirli alla democrazia. Perciò io dico che i discorsi di Novelli rischiano di essere non solo settari ma anche irresponsabili». Le brucia il sorpasso di Rifondazione sul pds sia a Torino sia a Milano? «Esiste per noi una questione settentrionale, che è legata alla crisi dei tradizionali punti alti dello sviluppo. Comunque, nel voto circoscrizionale il risultato è stato diverso». Ma scegliere Castellani non significava di per sé rinunciare a Rifondazione? «E' vero. Lo sapevo. Ma questo non sta nella natura delle cose, riguarda delle responsabilità che ognuno si assume. Io per esempio posso avere anche delle riserve nei confronti di Nando Dalla Chiesa, avrei potuto presentare, se fosse dipeso da me, un candidato diverso, più consono alla realtà di Milano, ma Rifondazione e Rete avrebbero avuto ragione di rimproverarmi. Dunque, ho stretto un'alleanza e ne ho accettate le soluzioni». In che misura Torino è un modello nazionale per la politica del pds? Lo è più Torino, con Castellani, o più Milano, con Dalla Chiesa? «Ripeto che Torino è il modello di una sinistra che sa parlare al centro e che sottrae consensi alla Lega. Ed è rassicurante che a Torino la borghesia riformatrice, con tutti i limiti che ciascuno di noi può avere, scelga questa nostra ipotesi, a differenza di quella borghesia milanese che è stata colta da furori leghisti. Da questo punto di vista, fra Torino e Milano è preferibile, per me, come esempio di politica nazionale, il modello torinese». Accetta quindi di avere a sinistra un ingombrante pezzo di popolo comunista? «Ciascuno faccia la sua parte. Il pds non deve, in ogni caso, delegare a Rifondazione i suoi rapporti col mondo del lavoro, come vorrebbero certi cattivi consiglieri. Deve portare il mondo del lavoro dentro il nostro progetto riformatore, altrimenti resta un progetto dimezzato». Se vince Novelli, come da pronostici, che succede a Torino? «La vittoria di Novelli è una difesa di valori anche giusti dentro un orizzonte di depressione, come se Torino fosse Detroit. Mi ricorderebbe certe disperate vittorie dei minatori inglesi che si trasformavano in sconfitte». Alberto Papuzzi «La sinistra deve guardare al centro non ai vecchi fondamentalismi» «Su Dalla Chiesa posso anche avere delle riserve ma rispetto quell'alleanza»