«Figlia mia, perdonami se non sono più con te»

«Figlia mia, perdonami se non sono più con le» «Figlia mia, perdonami se non sono più con le» WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Mia cara Camera». L'undicesimo e ultimo capitolo dell'autobiografia di Arthur Ashe è scritto in forma di lettera. E' indirizzata alla figlioletta di sei anni, che vi potrà trovare, cresciuta, la testimonianza dell'amore di un padre che si scusa per averla lasciata troppo presto, assieme a un testamento spirituale scritto nella veste di raccomandazioni per la vita. Fu proprio parlando di lei, di Camera, che Ashe dovette interrompere, non riuscendo a controllare la lacrime, la lettura della dichiarazione con cui, nell'aprile del '92, rivelò in una conferenza-stampa trasmessa dalla televisione di avere l'Aids. Temeva che la sua «piccola Camera» dovesse soffrire le conseguenze di quella rivelazione. «Quando leggerai per la prima volta questa mia lettera comincia Ashe - io non sarò probabilmente più in grado di discutere con te quello che ho scritto... Tu sarai sicuramente triste per il fatto che io me ne sia andato e, per un momento, mi ricorderai chiaramente. Allora io esisterò solo come un ricordo che ha già cominciato a scolorire nella tua mente». «Ti scrivo questa lettera nella speranza che il tuo ricordo di me non svanisca mai completamente. Vorrei rimanere parte della tua vita, Camera, per tutto il tempo che vivrai». E' il 20 gennaio del '93, quando Ashe scrive. Lo stesso giorno William Jefferson Clinton giura come quarantaduesimo presidente degli Stati Uniti e Ashe, ormai a tre settimane dalla morte che sente vicina, segue la cerimonia alla televisione, ascoltando la poetessa di colore Maya Angelou leggere una poesia composta per l'occasione, una poesia che parla di «una roccia, un fiume, un albero». Arthur ricorda a Camera che il fiume da attraversare è la morte, mentre la sua acqua che scorre e cambia sempre è la vita. «Il fiume è dunque la vita e la morte». Il fiume promette il cambiamento. «Molte cose cambieranno, Camera». Altre rimarranno immutate. Cos'è, infatti, l'albero se non la famiglia come presente e co¬ me storia? Arthur Ashe ricorda la sua famiglia, undici generazioni di neri americani afflitte prima dallo schiavismo e poi dal segregazionismo. «Camera, per il colore della tua pelle e per il fatto di essere una donna, la tua credibilità e la tua competenza verranno sempre messe in questione, non importa quanto ricca e ben educata tu possa essere». «Ma lascia che ti dica una cosa, Camera: razzismo e sessismo non dovranno mai diventare una scusa per non fare il meglio che puoi. Razzismo e sessismo forse esisteranno sempre, ma tu dovrai sempre cercare di sollevarti al di sopra di entrambi». Ci saranno «demagoghi di destra» che predicheranno «la necessità di riprendersi indietro il Paese da gente come te e me». Ma ci saranno anche «demagoghi neri, favoriti dalle povere condizioni in cui molti afroamericani sono ancora costretti a vivere, che cercheranno di costruire le loro miserabili piccole carriere fomentando artificialmente scismi sempre più profondi tra le persone di buona volontà all'interno delle minoranze». «Quanto più puoi, Camera -raccomanda papà Arthur - cerca di vedere innanzitutto la gente come esseri umani e individui socializzati nelle loro rivendicazioni culturali». Ashe raccomanda alla figlia l'amore per la famiglia, per l'arte e lo sport; la moderazione, il rispetto, la fede in Dio, come moltissimi altri padri. E la saluta con queste parole: «Non essere arrabbiata con me se non sarò lì di persona, vivo e in buona salute, quando avrai bisogno di me. Non vorrei altro che stare con te per sempre. Ma non essere dispiaciuta per me perché me ne sono andato. Quando eravamo insieme, ti ho amato profondamente e mi hai dato una tale felicità che mai potrò ripagarti. Camera, quando il tuo cuore soffrirà e ti sentirai stanca della vita, quando inciamperai e cadrai senza sapere se sarai capace di rialzarti, pensa a me. Sarò lì a guardarti e a sorriderti, e a rallegrarti», [p. p.] Nell'ultimo capitolo lettera-testamento «Razzismo e sessismo non devono fermarci» La piccola Camera durante i funerali del padre che le ha dedicato nel suo libro postumo una letteratestamento lunga undici pagine

Persone citate: Arthur Ashe, Ashe, Maya Angelou, William Jefferson Clinton

Luoghi citati: Stati Uniti, Washington