Bologna sconfitta dall'indifferenza

Si arrende anche Lucio Dalla: «Ho sempre risposto agli appelli, questa volta non ne posso più» Si arrende anche Lucio Dalla: «Ho sempre risposto agli appelli, questa volta non ne posso più» Bologna sconfitta dall'indifferenza La squadra retrocede in C, ma la città non reagisce REPORTAGE EUTANASIA PASSIONE BOLOGNA DAL NOSTRO INVIATO «Che peccato, da stasera non abbiamo più Salvatore Caccamo». Punto Radio Bologna, restate con noi. «Come faremo senza di lui, senza Gianduja Vettorello, senza gli amici della Gialappa's». Cartacce al vento, nel grande spiazzo vuoto. Com'è strano uno stadio deserto. Un motorino scivolato per terra, vicino al muro, s'alzano i colombi, tutti insieme. Nient'altro. «Da ieri il Bologna non è più in B. Ma come faremo senza la Gialappa's?». Punto Radio, sempre con voi. Al bar Otello, Schiavo mette la mano a pigna. «Ehi mister, quando lo tiri fuori il bianchino?». Un tempo si chiamavano così gli uomini di rispetto, per parlar di calcio. Anche Gigi Maifredi, lo chiamavano mister, e pure il giornalista che passava di qui con la borsa a tracolla e la penna che spuntava dal taschino. «Che cosa ci racconti mister?», gli dicevano schiacciando l'occhiolino. E lui raccontava le confessioni di Maifredi parlando con mezza bocca, come un cospiratore. Erano tutti mister, anche Corioni, il padrone della squadra di calcio, che arrivava al Baglioni con il suo Mercedes blu targato Brescia mentre i ragazzi in livrea si scappellavano: «Tutto bene, mister?». Non era nemmeno troppo tempo fa. Oggi, c'è sempre una radio accesa e qualcuno che urla nella via, c'è la signora affacciata al terzo piano e c'è tanta gente che passa di fretta. Mamma Rita, però, sembra addormentarsi, e non importa se fuori vanno le voci e dentro Schiavo chiede il bianchino, non importa se lo speaker di Nettuno Onda Libera martella i timpani e chiama a raccolta «tutti i cuccioli e i cucciolini della città». Il Bologna Football Club se ne va in serie C, ma mamma Rita s'è stancata di pensarci ancora. «Non piangete bambini», urla lo speaker. E chi piange? Chissà in quale altra parte d'Italia potremmo vedere tanta indifferenza, tanto distacco, tanta lontananza. Se il calcio qui non fa più bene, ora non fa nemmeno più male. Persino Lucio Dalla, uno degli ultimi supertifosi, s'è stufato: «Sono venuto tante volte, ci ho sempre messo il cuore, ho risposto a tutti gli appelli che hanno fatto per salvare il Bologna, appena chiamavano a raccolta io c'ero. Adesso non ne posso proprio più, dopo questa volta, basta. Io lascio. E voi pure, fate come me, lasciatemi in pace». Chissà perché, Bologna sembra tutta in queste parole. Un'isola nell'Italia che impazzisce, che rincorre i miliardi dei calciatori, mentre quelli che stanno peggio perdono pure il lavoro, nelle fabbriche e nelle città. Sembra incredibile, ma parliamo di calcio senza passione. Lo stadio s'è svuotato, per le strade c'è un traffico da giorno da fiera. Bruno Salviotti sta come una quercia al sole. Lui e nessun altro. Anche a Casteldebole, oggi non c'è nessuno, vicino al campo verde dove s'allenano i calciatori. Un'altra scena da abbandono. Qualche uccellino sul prato, il ronzìo della televisione che s'allunga nel silenzio. Solo il custode, il vecchio Bruno Salviotti, che non se ne va mai via anche cascasse il mondo, e Paolo Ferrari, il fotografo, che si gratta la barba bianca e tiene il cannone in mano, mentre cerca un obbiettivo qualsiasi, un volto della disfatta, un'immagine da ricordare. Ma non c'è più niente da ricordare. Romano Fogli ha i capelli tutti bianchi, e dei suoi tempi quando giocava assieme a Bulgarelli e Pascutti (uno scudetto, l'ultimo della serie, nel '64) gli è rimasto solo il cuore. La memoria non serve, come si fa a dargli torto, «ora proprio non serve. Dobbiamo pensare al presente. E se loro mi vogliono, io resto, vado in C con loro». Al bar Otello, via Orefici, vicino a piazza Maggiore, Schiavo ha giocato l'ultima schedina della stagione e gli è andata male. «Mister, il Manchino, boia d'n mond lèder!». Di mister ormai è rimasto soltanto il giovanotto dietro il banco con la mano attaccata alla macchina del caffè. Fate presto, se potete. Mamma Rita adesso s'è addormentata sul tavolino, con il Carlino spalancato sotto il naso: «Il Bologna delle foibe cade in C». Non è rimasto più niente delle parole, delle leggende, delle glorie passate. Da via Orefici è sparita la targa intitolata a Gigi Maifredi, l'ultimo eroe del Bologna. Ma guardate che fine ha fatto, anche gli eroi diventano patetici quando cadono dal piedistallo. E pensare che questa passione è l'unica cosa che cambia. Perché è tutto uguale, attorno a noi, le solite osterie, le chiese, la passeggiata turistica, il partito di via Barberia, le torri della Lega che dovevano simboleggiare la città nuova, il futuro che arrivava nel nome della solidarietà. Forse questo è il grande sonno, come dice Marco Leonelli, direttore del Carlino: «Il grande sonno del pei ha addormentato tutto. Vivi e lascia vivere, e così va Bologna, nel bene e nel male. L'ultima cosa che hanno fatto è la tangenziale, dal '60 non si fa più niente. Si dorme tutti, può dormire anche la squadra di calcio». Come no. Dormirà in serie C, e non piangerà nessuno. D'altro canto, già prima, allo stadio (rifatto a nuovo per i Mondiali: quanti miliardi?) ci andavano in milleduecento, sì e no. Vastese-Castel di Sangro forse faceva più gente. Normale, dice Eraldo Pecci, ex Toro, ex Bologna. E anche lui ci scherza su: «Normale con questa squadra. Hanno fatto un miracolo a retrocedere. Complimenti. Era un'impresa impossibile, ce l'hanno fatta». Così, attorno alla squadra di calcio che va in disgrazia c'è la coda alla porta, ma per uscire. Da Stefanini, il presidente della Federcoop, che cancella ogni dubbio: «Qualche anno fa, è vero, ci fu un interessamento delle Cooperative per rilevare il Bologna. Ma il tentativo saltò. Oggi, l'impresa è impossibile, perché la crisi pesa su tutto e poi qui non c'è chiarezza». A Guido Alberto Guidi, il presidente dell'Associazione industriali dell'Emilia Romagna: «Con tutta la buona volontà, scusatemi ma non riesco a ritenere questo un problema. Credo davvero che ci siano problemi ben più gravi in questo momento. Del calcio, ce ne possiamo occu¬ pare al massimo dieci minuti, sabato pomeriggio, tra le 6 e le 7. La serie C non mi tocca né come persona né come associazione». Così va. Tanto che oggi la società è nelle mani di don Pasquale Casillo, pirotecnico signore del grano, creatore del Foggia miracolo di Zeman, e padrone pure del Bologna che se ne scende in C. E quando le cose andavano un po' meglio c'era Corioni, che è bresciano e che è tornato da queste parti sabato per la sfida salvezza con l'Udinese al Dall'Ara. Il Brescia ha perso e Corioni ha sbottato: «Bologna porta proprio sfiga...». Non credeteci. La verità è che Bologna alla gente del calcio deve sembrare un posto da marziani, come se la Svizzera fosse in mezzo all'Italia. Una città senza passione, con la squadra del cuore lasciata ai padroni che vengono da fuori. E' mai possibile, nel tempio del pallone? Eppure, alla fine, l'unico che sembra mostrare qualche interesse per le sorti del Bologna Football Club è Giuseppe Gazzoni Frascara (Idrolitina, Dietor), ex presidente dell'Unione Industriali. Si può comprarlo, dice, perché dispiace troppo vedere in che burrone sia precipitato: «Le forze ci sono: io preferirei fare parte di una cordata, avere accanto dei partner. Se non si può, al limite lo farei anche da solo. Ma bisogna che don Pasquale si decida a dire se e a quali condizioni intende vendere». In fondo, nemmeno Gazzoni Frascara sembra metterci troppa passione. Normale. Bruno Salviotti chiude il cancello mentre le nuvole portano via il sole. Il Bologna resta solo, nel sonno. «Così finiscono le leggende», hanno scritto sui muri. Senza troppo rumore, un giorno di giugno. Mentre Andrea Mingardi accende i riflettori per la sua trasmissione in tv: «Non è vero che non ci tocca, che non ci interessa. Ci stiamo male anche noi. Ma è una cosa strana. Sofisticata. E' come se togliessero un museo da Parigi. Senza distruggerlo. Come se lo spostassero solo altrove. Capito? Ci hanno tolto il calcio. Beh, che peccato». Pierangelo Sa pegno Le vecchie glorie hanno abdicato «Grande sonno dagli Anni 60» A fianco il cantante Lucio Dalla, tifoso deluso dal Bologna A destra Gigi Maifredi, allenatore degli ultimi splendori calcistici di Bologna Una veduta di Piazza Maggiore, luogo centrale della città. Neppure qui si sono formati crocicchi per commentare una retrocessione che sembra non aver ferito Bologna