Stravinskij e Dylan Thomas, sogno di un'opera sull'atomica

Stravinskij e Dylan Thomas, sogno di un'opera sull'atomica I retroscena di un progetto sfumato per la morte del poeta gallese: li rivela Robert Craft collaboratore del maestro Stravinskij e Dylan Thomas, sogno di un'opera sull'atomica Adamo ed Eva sopravvissuti all'olocausto nucleare imparano di nuovo ad amare SLONDRA TRAVINSKIJ si torse le mani e scoppiò in pianto. Terreo in volto, si trascinò 1 in camera sua. Ne uscì con gli occhi gonfi, incapace di articolare parola. «Reagì in questo modo alla notizia che Dylan Thomas era morto», ricorda Robert Craft, direttore d'orchestra americano e testimone del progetto che quarant'anni fa legò compositore e poeta: un'opera sul post-olocausto nucleare. La scomparsa precoce di Thomas mandò in fumo le più belle speranze di Stravinskij. Per il visionario lirico gallese, già consunto dall'alcol, l'autore della Sagra della primavera nutriva un affetto paterno. «Voleva proteggerlo: sperava di salvarlo, credo - commenta Craft, che ha ricostruito la storia del capolavoro mancato per la Bbc -. Per quest'uomo provava una gran tenerezza». Il colpo di fulmine tra i due geni era avvenuto al Coppley Plaza Hotel di Boston, il 22 maggio 1953. Nervoso e sobrio per l'occasione, Dylan Thomas giunse da Cambridge, dove teneva un ciclo di letture. L'aveva invitato Stravinskij, in cerca di un artista che sapesse dare parole fiammeggianti alla sua musica. Il compositore, reduce dalla seconda, disastrosa esecuzione della Carriera di un libertino, si fece trovare a letto. Anche lui era sulle spine: «Mi martellava con le sue ansietà - rievoca Craft -: sarebbe andato in porto il progetto? Chi avrebbe rotto il ghiaccio?». Un robusto whisky sciolse gli impacci e la parlantina di Thomas. Il poeta propose: «Voglio cantare un uomo e una donna che reinventano l'amore e la lingua in un mondo distrutto dalla bomba». Gli Adamo e Eva post-nucleari fulminarono il compositore, che invitò sui due piedi Dylan Thomas in California: «Venga a stare da me a Hollywood», gli disse. Il poeta ri¬ spose che l'avrebbe preso in parola e vuotò il sacco dei propri problemi personali: la moglie pazza, le ragnatele nel portafoglio e la gotta. In materia di musica e di melodramma non era ferratissimo: «Mi piace Puccini», disse con fervore. Il Maestro gli diede corda: «Anche a me replicò - ma prima di tutto dobbiamo amare Mozart». A corto di argomenti, l'autore di Ritratto dell'artista da cucciolo recitò al Maestro una poesia di-Yeats, che considerava il più grande dopo Shakespeare. «La sua voce era più sommessa di quella che conoscevamo dalle sue letture pubbliche - ricorda Craft -. Un po' tremula, pensosa». Con la promessa di mettersi subito a lavorare sul libretto, Thomas si congedò. «Resterò a New York ancora per qualche tempo - annunciò a Stravinskij -. In Inghilterra adesso non ci torno, la regina sta per essere incoronata e io voglio starmene alla larga». Aveva già dato fuoco all'immaginazione, ma ancora non sapeva se fare dei protagonisti due sopravvissuti al disastro atomico o se dar loro la cittadinanza di extraterrestri sbarcati sul nostro pianeta deserto. In ogni caso la coppia avrebbe restituito un nome alle cose e creato una nuova cosmogonia. In quei giorni, fumando una sigaretta dopo l'altra, Dylan Thomas era un vulcano di intuizioni. Progettava di trasformare l'albero della conoscenza in un albero della lingua. Ogni foglia sarebbe stata una lettera dell'alfabeto. Non ci sarebbe stato posto per le astrazioni: le parole avrebbero dovuto designare soltanto oggetti concreti e persone. Anche Stravinskij ardeva: d'impazienza. Il poeta, eccitato anche dalla prospettiva pecuniaria, scrisse alla moglie: «Verrò a prenderti, andremo a Los Angeles. Il libretto è così semplice che sarò in grado di scriverlo là, sul posto. Ho già 500 sterline di anticipo; poi ci pagheranno il viaggio in prima classe e a lavoro concluso ne riceverò altre 500. Stavolta funzionerà: con quei soldi, ce ne andre¬ mo a passare l'inverno a Maiorca». Dylan Thomas, tornato in Europa, informò per lettera il suo committente sui progressi del libretto: «Ho già molte idee, alcune chiare, altre più confuse, e non vedo l'ora di parlarne con Lei a Hollywood». In attesa del suo arrivo, il compositore incominciò a buttare la casa per aria. «Gli Stravinskij diedero prova di grande generosità - ricorda Robert Craft -. Avevano una piccola dacia con una sola camera da letto, ma fecero costruire un'altra stanza appositamente per Thomas. Sapevano che era povero e volevano dargli l'opportunità di concentrarsi senza dover andare tanto in giro». Il poeta riprese la penna per confermare: ((Arriverò a New York il 16 ottobre e ci resterò fino alla fine del mese. Vorrei quindi venire direttamente in California per la nostra opera: che emozione dire "nostra"». Ma il fisico del poeta stava andando in pezzi. Negli Stati Uniti Thomas arrivò malconcio e con cinque giorni di ritardo. Un'iniezione di morfina somministratagli da un medico avventato gli causò una fatale insufficienza respiratoria. «Stravinskij era in ansia: non aveva più ricevuto notizie - ricorda con dolcezza Craft -. Fui io ad aprire il telegramma funesto, a casa sua. Il testo era confuso, parlava di un poeta gallese e di morte. Non sapevo come dirlo a Igor». Quella penosa ambasciata preferì farla alla moglie del compositore. «Lei riferì la disgrazia al marito con i preamboli rituali che usano i russi nel dover dare una brutta notizia». Stravinskij ne fu devastato. L'alchimia di quelle due grandi anime andò distrutta. Ma un frutto postumo lo diede. Affidando una lirica di Thomas a un tenore e a un quartetto d'archi, il Maestro rese omaggio all'uomo che nello spazio di un incontro aveva amato come un figlio. La intitolò In memoria di Dylan Thomas. Maria Chiara Bonazzi «Ho molte idee e non vedo l'ora di parlarne a Hollywood» Sopra, Igor Stravinskij A destra, il poeta Dylan Thomas