E un G-7 di nani affondò Gorbaciov di Giulietto Chiesa

Dai verbali emerge che i Sette Grandi non si resero conto della gravità della situazione Dai verbali emerge che i Sette Grandi non si resero conto della gravità della situazione E un G-7 di nani affondò Corbaciov / retroscena del vertice che segnò la fine dell'Urss MOSCA DAL NOSTRO INVIATO L'Occidente non esiste. Questa è la prima considerazione che viene in mente leggendo, con non poco stupore, questi stenogrammi riservati, compilati in base alle registrazioni dei colloqui e di cui abbiamo potuto accertare senz'ombra di dubbio l'autenticità. I Sette Grandi del mondo sembrano pellegrini che si sono incontrati appena il giorno prima e per la prima volta. Chiedono a Gorbaciov chiarimenti certo essenziali. Ma alcuni - Kaifu e Malroney, ad esempio - sembrano non rendersi conto che gli chiedono l'impossibile. Faccia in fretta, corra verso il mercato, vedrà com'è fruttuoso. Il Presidente sovietico si sforza di spiegargli che vorrebbe, ma che è tanto difficile. «Penso che non vogliate il mio fallimento», risponde. E infatti non lo volevano. Ma, pur non volendolo, non sanno cosa fare per evitarlo. Ciascuno, senza dirlo, pensa ai propri problemi. Kohl pensa alla valigia di dollari che non ha, Kaifu alle isole Kurili che spera di ottenere, Bush ai missili che ancora stanno nei silos sovietici. Tutto giusto. Ma questi reggitori del mondo sembrano non rendersi contro neppure che il destino di quest'uomo, cui tributano encomi entusiastici, è nelle loro mani. Sembrano non avvertire che mai, forse, nella storia del mondo, una grande potenza - ma neppure un semplice, piccolo Stato si era trovata in una situazione di così totale dipendenza da loro. Non vedono che il loro ruolo non è quello di giudicare, di ottenere garanzie, ma quello di «governare» in senso stretto. Spaventati dal loro potere, e dalla loro vittoria, si ritraggono. Solo Andreotti e Kohl si spingono fino a dire che l'Occidente ha bisogno del successo di Gorbaciov. Solo Mitterrand percepisce con chiarezza che il compito richiede tempo, che la contraddizione lancinante sta nel fatto che occorre fare in fretta, ma che troppa fretta può combinare un terrificante pasticcio mondiale. Sì, l'Occidente non esisteva già più in quel luglio 1991 in cui, per l'ultima volta, Gorbaciov si presentava sulla scena internazionale come Presidente dell'Urss. Un mese dopo, tornato da Londra a mani vuote, sarebbe scattato il golpe Cinque mesi dopo sarebbe crollata l'Urss. L'uno e l'altro evento resteranno nelle pagine dei libri di storia come la sconfitta del più coraggioso tentativo riformatore di questo secolo. Ma forse si dovrebbe dire che furono piuttosto l'atto di morte dell'Occidente. E colpisce un altro dato: i Sette Grandi hanno paura che l'Urss si frantumi. Invitano Gorbaciov a «tenere duro» contro le spinte centrifughe, qualcuno gli dice che «non si deve privatizzare tut- to d'un colpo», lo mettono in guardia contro passi avventati. L'interlocutore più comprensivo, tanto solidale quanto disincantato, si rivela, alla fine, la signora Thatcher. Ormai uscita di scena. Ma consapevole del rischio che Gorbaciov corre: «Li tenga sotto pressione, li prenda per il collo, non si accontenti di parole». Sì, l'Occidente non esiste, almeno da quando non esiste più l'Oriente. Adesso che a Mosca c'è Eltsin, più riformatore del riformatore che amavano, le ricette dei «Grandi» sono ancora più avventurose che a Londra. Anche a lui dicono di fare in fretta. E lui risponde che è d'accordo: sta facendo più in fretta che può. Ma resta sempre aperta la questione che Gorbaciov poneva a Londra rispondendo alle sollecitazioni dei suoi interlocutori: «Purché la società regga». Giulietto Chiesa

Luoghi citati: Londra, Mosca, Urss