Sos di Caselli: la giustizia non ha mezzi di Vincenzo Tessandori

Sos di Caselli: la giustizia non ha meni Como, denuncia unanime dei magistrati al XII Congresso dell'Associazione. Oggi parla Conso Sos di Caselli: la giustizia non ha meni «Palermo cambia, ma senza strutture non si realizzano programmi» COMO DAL NOSTRO INVIATO Nella procura di Palermo, avamposto contro Cosa Nostra, anzi «Cosa loro», i magistrati si sgomitano a due a due in uffici sovente angusti, affollati poi dai segretari, quand'è il caso dai testimoni, dagli imputati, dagli avvocati. «E' proprio cosi» sospira Giancarlo Caselli, il procuratore dai capelli bianchi e dal sorriso pronto che ha lasciato Torino per il Palazzo dei veleni. «Sì, questo accade alla procura di Palermo, un ufficio al quale tutti riconoscono una certa centralità nei problemi della giustizia e del Paese. Ci è capitato recentemente di sequestrare una massa imponente di carte, versante pubblica amministrazione. E queste carte, letteralmente, non si ha dove risistemarle: non fosse che il "terzo aggiunto" è stato promosso avvocato generale, liberando una stanza, queste carte non avevamo dove metter- le. E son carte delicate, da studiare, catalogare, sviluppare». Caselli parla dal palco del Teatro Sociale di Como, dove si svolge il XXII Congresso dell'Associazione Nazionale Magistrati. Veste di blu, cravatta fantasia, gemelli d'oro, il volto disteso e mentre interviene nessuno fiata. Fa un discorso sulle strutture della giustizia «in passato il nostro ronzino di battaglia». E poi, sottolinea come a Palermo certe cifre siano anche troppo eloquenti: «Esistono 7 giudici per le indagini preliminari per 40 sostituti, ma so che il ministro è intervenuto e cosi anche il Consiglio superiore della magistratura». Una fiammella di speranza, insomma, chissà che prima o poi le cose non cambino e sia possibile dare alla gente ciò che si aspetta: una giustizia ragionevolmente rapida. Ed è proprio su questo punto che sembrano lutti d'accordo, i magistrati, perché i problemi veri non sono quelli proposti dalle tante Tangentopoli quanto piuttosto gli altri, quelli dei processi ordinari. E i numeri che circolano avviliscono: per la giustizia, lo Sta- to spende lo 0,86 per cento del bilancio, lo scorso anno era lo 0,95. «Senza strutture i programmi sono destinati a rimanere irrealizzati o troppo insufficientemente realizzati» aggiunge il procuratore. Poi ricorda quello che disse il generale Dalla Chiesa quando era prefetto a Palermo: «Diamo ai cittadini i diritti, quelli che la mafia dà come favori». E poi, il ricordo della gente carica di rabbia ma anche di speranze perle strade di Palermo, le «100 o 150 mila persone in corteo», tutto un mondo che ha voglia di cam¬ biare ma che ha un gran bisogno di essere aiutato, di ritrovare fiducia. Dice Caselli: «Oggi viviamo una fase di euforia: guardiamocene. Se non riusciremo a garantire gli elementari diritti, inevitabile sarà il riflusso dell'opinione pubblica e difficilmente torneranno i 100 mila». Ma un magistrato, come deve lavorare? «Deve essere a stretto contatto con la società civile. E' importante parlare, confrontarsi, mostrare fiducia, dire no all'arroganza. Sì, l'importante è lavorare insieme e per noi magistrati è la cosa più difficile perché ognuno ha il proprio orgoglio, la propria cultura e le proprie diffidenze. Ma il pool è una cultura, non solo un modulo lavorativo». C'è stato qualcuno, Mino Martinazzoli, che ha auspicato la solitudine del giudice. Risponde Caselli: «Non c'è contraddizione, solitudine sta per essere indipendenti da questo o quel centro di potere». E questo, anche a Paler¬ mo? «Perché, Palermo dovrebbe essere diversa? Anzi!». Un commento sul nuovo decreto Conso, che oggi sarà anche lui qui al congresso? «Ci mancherebbe! Conso è stato mio professore, non mi permetterei mai di suggerire quello che deve o non deve dire» scherza per dribblare l'ostacolo. Ma eccone un altro: un commento sul «decalogo» Di Pietro? «No, al di là dei confini del mio intervento non vado». Ma poi, visto che questa è una giornata normale, sottovoce sospira: «Certo che se quel tal Di Pietro giocasse con la maglia granata e in area producesse quanto produce a Milano, beh!, con la Roma ...» e via, verso Torino per passare la serata allo stadio Delle Alpi per la finale di Coppa Italia, a patire, perché a questo mondo non si può avere tutto e neppure «Pato» Aguilera è Di Pietro. «Bisognerebbe fare un grande sforzo per far funzionare la cosiddetta "ordinaria amministra¬ zione", ma questa giustizia non ha mezzi e questo è il vero problema» rincara Giovanni Palombarini, membro del Consiglio superiore della magistratura, il giudice istruttore del processo «7 aprile». «A Reggio Calabria il presidente del tribunale ha raccontato al Csm che per celebrare i processi penali ha dovuto bloccare due mesi i giudizi civili». A Roma il senatore Francesco Cossiga ha esternato dissenso per l'iniziativa di Di Pietro, «un impiegato dello Stato che esercita anche le funzioni di pubblico ministero». E pronta arriva la risposta dell'Associazione. Franco Ippolito, segretario nazionale, appare sarcastico: «Due anni fa un congresso di magistrati subì incombente l'allora Presidente della Repubblica. Credo che molti di noi abbiano ora riacquistato serenità per non doversi più interessare delle sue esternazioni». Vincenzo Tessandori «E lo Stato ci ha tagliato i fondi rispetto al 1992» Nell'avamposto della guerra alla mafia solo 7 giudici istruttori per 40 sostituti Il procuratore Caselli (accanto) e sopra Palombarini