Tortora 10 anni di rimorsi

Tortora, 10 anni di rimorsi Incollava milioni di persone al video, morì vittima dell'infamia Tortora, 10 anni di rimorsi Nel giugno '83 l'arresto del presentatore UN MITO TV BRUCIATO DAI PENTITI GMILANO LI occhi e le manette. Il giubbotto aperto, i due carabinieri, il nero alle spalle, come buio di un pozzo. Ricordate gli occhi? Fissi, smemorati, inconsapevoli. E' così che ci rimarrà nella memoria Enzo Tortora, condannato per sempre a quella foto, quell'istante del 17 giugno 1983, mentre lui, il personaggio televisivo più famoso d'Italia, precipitava nel clamore assordante del proprio arresto. Sono passati dieci anni da allora. Tre glieli ha mangiati il carcere e l'infamia. Due il riscatto. E una manciata di mesi la malattia. E' stato un divo della leggerezza televisiva, un mostro da maxi-retata, la vittima di un teorema, poi il simbolo della giustizia ingiusta. La sofferenza finale - quella sua voce stentata, fatta di lontananza che Giuliano Ferrara registrò poche ore prima della fine: «Lotterò sino a che avrò respiro» - ha chiuso il suo destino senza scampo, 18 maggio 1988, funerali di piazza, poi la cremazione e nell'urna, per sua volontà, una copia della «Colonna infame», estremo omaggio a tutti gli untori, vittime di calunnia, maldicenza, casualità del male. La morte ha preso Tortora due volte. La prima lasciandolo sdoppiato a guardarsi riflesso sui giornali e in tv e nelle foto e nei commenti e nelle amicizie dileguate e nel labirinto delle accuse arrivate di notte, stanza 496 dell'Hotel Plaza di Roma, ore 4,15, poche righe sull'ordine di cattura firmato dalla procura della Repubblicadi Napoli: «Associazione a delinquere di stampo camorristico». E' la notte della grande retata, 856 ordini di cattura contro la famiglia di Raffaele Cutolo, la Nco, Nuova camorra organizzata, ma tra tutti e tutto spicca il suo nome Tortora Enzo, nato a Genova il 30 novembre 1928, \auera in legge, giornalista, autore e presentatore televisivo, l'uomo che con il suo «Portobello», ogni venerdì sera, inchioda 28 milioni di italiani davanti alla televisione. Non importa che le accuse siano immense, ma sorrette solo dalla parola di due pentiti, Pasquale Barra «o' animale», killer delle carceri e Giovanni Pandico, omicida, che una sentenza definirà «schizofrenico». Non importa se in un mese almeno 80 arrestati verranno scarcerati per omonimia: Quello che frana contro Tortora, contro l'imputato che accende tutti i riflettori sull'inchiesta, si allarga, tracima. Da due, i pentiti diventano undici, si aggiungono i labili a caccia di pubblicità, i calunniatori come quel pittore Giuseppe Margutti, untuoso di modi e di parola, che giurò: «Ho visto Tortora comprare droga nel camerino» e malavitosi a caccia di una cella migliore come Gianni Melluso. Da affiliato alla camorra, Tortora diventa cocainomane, amico di Turatello, truffatore, spacciatore, anzi «cinico spacciatore di morte». I due giudici che conducono l'inchiesta, Lucio Di Pietro e Felice Di Persia, dicono di «avere riscontri di ferro, prove certe». Impressiona, rileggendo oggi le cronache di allora, l'alternarsi di tragedia e di grottesco in questo precipizio dì storia italiana. Tortora, il detenuto, che dal carcere di Regina Coeli scrive: «La mia è un'agonia indicibile, sono innocente». E negli stessi giorni, sotto al sole, uno dei magistrati, che passeggia e dice: «L'accusa a Tortora anche di spaccio di sostanze stupefacenti ha reso più completo il quadro: la sola imputazione di associazione per delinquere, appariva, per la verità, un po' debole, faceva un po' acqua». Tortora, il detenuto, che scrive: «Fui trascinato per strada in catene, come un animale: diveni tai per quella tv alla quale qual¬ cosa ho pur dato l'emblema stesso, il "carosello" vivente della camorra». E i due magistrati Di Pietro e Di Persia, che dicono: «Ci rendiamo conto che il personaggio fa discutere, ma per noi Tortora è un imputato come gli altri». No, Tortora non era un imputato come gli altri. La sua celebrità aveva innescato un gioco senza via d'uscita: riconoscerlo estraneo, innocente, frutto di un errore, finì per diventare impossibile, si sarebbe rischiato non solo il ridicole, non solo il tragico, ma l'intera fondatezza dell'inchiesta. Più si sgretolavano gli indizi, più i pentimenti si facevano contraddittori, incredibili, fantasiosi, più la macchina giudiziaria si ancorava alla colpevolezza di Tortora. Nell'agen¬ da di Giuseppe Puca, soldato di camorra, fu trovato un cognome. «Tortora» dissero gli inquirenti. E invece era «Tortona». Banalità, un sassolino appena, ma anche su quello fu data battaglia e solo in Appello fu riconosciuta la certezza dell'errore. Strano destino, per un uomo destinato alla spettacolo, quella frattura drammatica che ha finito per annerirne ogni lucentezza biografica, banalizzare il prima, enfatizzare il dopo. Era nato sul palcoscenico di Genova, compagnia Baistrocchi, roba da avanspettacolo. Poi la Rai, esordio al «Musichiere», anno 1958, in coppia con Silvio Noto. La celebrità arriva con «Telematch» e «Campanile Sera», fine Anni Cinquanta, quando la tv scopre l'Italia e gli italiani imparano a ri¬ conoscersi dentro alla scatola magica innescando quel gioco di specchi e consuetudini serali che toglierà differenze ai dialetti, alla cultura, ai paesaggi, dai campanili fioriti della Val Gardena, a quelli arabeggianti della Conca d'Oro. Tortora diventa popolare, Tanti Mike, uno che sta sulla ribalta con meno impacci e più pertinenza grammaticale. Un freddo, dicono. Ma capace di enfasi, bei modi, baciamano alle signore, sorrisi persino troppo smaglianti. Esce di scena d'improvviso, colpevole di avere consentito a Alighiero Noscese di divertirsi con la caricatura di Amintore Fanfani. Sconta tre anni di «confino» a Lugano, televisione Svizzera. Torna, riconquista il pubblico con la «Domenica sporti¬ va», anno 1969, che trasforma in chiacchiera antiretorica, intrattenimento, gioco. Sale in cima ai gradimenti, poi scivola di nuovo. In una intervista dice: «La Rai è un jet colossale pilotato da un gruppo di boy scout. Giocano coi comandi, non sanno dove andare». Questa volta si arrabbia Ettore Bernabei, signore de della tv, capo incontrastato di ogni ingranaggio, di ogni carriera. E la condanna è più pesante: 8 anni di buio, a faticare su e giù per l'Italia, cronista di carta stampata, pochi soldi, pochi amici, fino all'avvento delle tv locali «Antenna 3», «Telealtoniilanese», dove Tortora approda, da ex famoso, a vendersi la faccia. Risale. Lo richiamano in Rai nel 1977 e di nuovo Tortora si gioca la sua grande occasione. Inventa «Portobello», nuova chiave di volta che riapre quel che resta dell'Italia provinciale, il suo universo di non integrati, stravaganti eccentrici. E' un teatrino dove approda l'inventore del gelato che non sgocciola e il geometra che vuole radere al suolo il colle del Turchino per liberare dalla nebbia la valle Padana. Dove si incontrano cuori solitari e amici d'infanzia separati per sempre della vita. Tortora realizza incantesimi, offre rose rosse alle signore, appassiona i bambini con il pappagallo che non parla. Quel fatidico 17 giugno 1983 Tortora si sarebbe svegliato, sbarbato e vestito per andare fino in viale Mazzini a firmare il contratto per la nuova edizione del suo teatrino, la settima. Invece l'alba porta le manette, poi il cellulare, poi l'interrogatorio al Comando della Legione e alle 11,15, con il sole pieno, alla fucilazione pubblica di fotografi e telecamere. Poi il carcere. Al primo colloquio confida alla sorella Anna: «Sono molto concentrato su me stesso. Sto facendo una gigantesca ricostruzione della mia vita, sto fissando date, volti, situazioni. Faccio chilometri percorrendo in lungo e in largo la stanza dell'infermeria, non dedico molto tempo agli altri. E gli altri rispettano il mio silenzio». Ancora: «Sto scoprendo una umanità nuova, sconosciuta». Quella che conosce (invece) gli ha voltato le spalle. Anche qui trapela il grottesco. Valerio Zanone, il liberale, va a trovarlo in carcere e gli dice di «avere pazienza». Pippo Baudo in tv: «Oggi è il 30 novembre e nel pieno rispetto della magistratura vorrei fare gli auguri di buon compleanno a Tortora». I pentiti intanto aggiungono: «Tortora spacciava cocaina in tutto il Milanese, nonché a Bergamo». Passerà sette mesi in carcere, quasi sempre in infermeria, quasi sempre malato. Poi il collasso e gli arresti domiciliari, 18 gennaio 1984, quando i carabinieri lo portano in catene fino al quarto piano di via Piatti e lo liberano solo davanti alle due figlie Silvia e Gaia. Da qui in avanti solo battaglie, processuali, politiche. Pannella lo candida alle Europee del 20 luglio '84. Viene eletto con 500 mila preferenze. Il tribunale di Napoli prosegue a inghiottire sassi e a spianare la strada verso la condanna che arriva pesantissima il 17 settembre del 1985: 10 anni e sei mesi. Si dimette dal parlamento europeo, si consegna in piazza Duomo ai carabinieri. Poi la macchina inquisitoria si dissolve con la stessa rapidità con cui lo aveva accerchiato. «Assolto per non aver commesso 11 fatto» reciterà il presidente della corte d'Appello di Napoli l'anno dopo. Di quegli 846 arrestati nella «maxi-retatate» ne verranno condannati 191. Dirà Tortora: ((Assolto sì. Ma quello che si è scatenato intorno a questa storia non può essere riparato né da una né da 100 sentenze. Ho pagato un prezzo che nessuno mi potrà mai risarcire». Con ostinazione vuole tornare al suo lavoro. In polemica con Pannella lascia la presidenza del partito radicale, firma il contratto con Raidue per una nuova edizione di «Portobello». La sua battuta d'esordio è diventata celebre: «Dov'eravamo rimasti...?». La trasmissione non poteva più funzionare e non funzionò. Lui confidò alla figlia: «Dovevo farla. Sono uscito dalla tv in manette, dovevo tornarci senza, altrimenti la gente non avrebbe capito». E' stato il suo ultimo prezzo da pagare, poer restituirsi l'orgoglio che gli avevano tolto. Uno degli ultimi giorni di vita disse: «Lo so. Sarò per sempre un detenuto». Pino Corrias Negli ultimi istanti di vita con un filo di voce disse «Lotterò fino a che avrò respiro» Per i pentiti Barra e Pandico era affiliato alla Camorra Ma era tutta una congiura Qui accanto, Enzo Tortora il giorno del suo arresto A sinistra, il presentatore alla finestra di casa a Milano con le figlie Gaia e Silvia A sinistra Enzo Tortora giovanissimo Sotto, Pannella