Borrelli: il decreto serve Non è uno bandiera bianca di Fabio Poletti

mts sw Borrelli: il decreto serve Non è uno bandiera bianca il procuratore di milano A parte nostra non c'è nessuna volontà di resa. Non alziamo bandiera bianca. L'intervento di Di Pietro al congresso dell'Associazione magistrati significa esattamente il contrario: vogliamo andare avanti, giungere al più presto alla condanna dei colpevoli». Francesco Saverio Borrelli, procuratore capo della Repubblica di Milano, replica con serenità alle critiche mosse dai palazzi della politica. La prima: signori giudici, fate i processi e non cercate di cambiare le regole in corsa. Molti hanno pensato che questa volta sia il pool di Mani pulite a suggerire il colpo di spugna perché non riesce ad arrivare al fondo di Tangentopoli. Rischiate davvero di essere vittime del «moloch inquisitorio» che avete messo in piedi in questi 15 mesi? «Guardi, è un timore che nemmeno ci sfiora. Come Procura della Repubblica abbiamo già licenziato circa 110 posizioni processuali, mi riferisco ai casi che sono usciti dalla nostra sfera di competenza. Non ho le carte sotto mano, quindi cito a memoria: i patteggiamenti sono stati una trentina, i riti abbreviati dieci, per tutti gli altri siamo giunti al rinvio a giudizio. Non è poco se si pensa che le persone coinvolte nell'inchiesta saranno ormai certo più di 700. E non dimentichi che eravamo partiti da un nome solo: Mario Chiesa. Non abbiamo nessuna intenzione di fermarci e proprio per questo ribadiamo l'esigenza che si arrivi sollecitamente alla definizione delle pene e delle eventuali sanzioni accessorie per chi ha commesso reati». La seconda accusa: Di Pietro parla troppo. «Assurdo. Non solo il suo intervento rispecchia fedelmente il mio pensiero, ma lui Colombo e Davigo mi avevano prima sottoposto il testo del documento per ottenere il mio placet. Le proposte di Di Pietro erano già affiorate nelle scorse settimane sia in alcune mie dichiarazioni, sia in quelle di altri colleghi del pool. Di Pietro ha soltanto raccolto le esortazioni che provenivano da quelle stesse sponde politiche che adesso lo attaccano». Terza critica: i giudici stanno dilagando, interferiscono nel lavoro del Parlamento. «Ma come? Alcuni esponenti del mondo politico prima vengono da noi per chiedere lumi su come affrontare in sede legislativa il terremoto-tangenti (e le assicuro che le visite non sono state poche) e poi si scandalizzano se tentiamo di indicare una via d'uscita? Le proposte fatte da Di Pietro non rappresentano una novità, sono quelle che abbiamo sempre sostenuto. Forse questa volta l'eco è stata maggiore perché espresse in una occasione pubblica solenne, quale è il congresso dei magistrati». Veniamo, dunque, alla «terza via» indicata da Di Pietro, Colombo e Davigo. Quali obiettivi permetterebbe di raggiungere l'allargamento del patteggiamento? «Ci consentirebbe di sgomberare il terreno in tempi rapidi e di svelare l'intero quadro delle illegalità. Vede, quando ancora si stava mettendo a punto il nuovo codice di procedura penale si era detto che per accelerare i tempi della giustizia sarebbe stato indispensabile far confluire nel riti processuali alternativi l'80 per cento dei reati. Quésto, purtroppo, non è mai accaduto. Noi chiediamo adesso nuovi strumenti legislativi per disintasare il motore della giustizia. Il limite di due anni per il patteggiamento, per esempio, è troppo basso; bisognerebbe alzare il tetto degli anni di condanna per i quali l'imputato vi può ricorrere, estenderlo anche a reati più gravi. Penso per esempio alla bancarotta, il cui processo occupa tempi interminabili». Perché chiedete anche sconti di pena per chi collabora, normativa che finora era limitata ai delitti di terrorismo, mafia e sequestri di persona? «Il diritto premiale ha fornito molti aiuti ai magistrati e alla ricerca della verità. L'imputato o il correo che offre la sua collaborazione, entro un termine di tempo ben preciso e non troppo lungo, merita di essere premiato perché dà un grande contributo alla celerità delle indagini. Ma bisognerà stabilire un termine chiaro, tre, quattro o sei mesi - decida il legislatore - , per impedire che certe rivelazioni vengano custodite nei cassetti e usate come arma di ricatto». Fuori i corrotti dalla politica, ha detto infine Di Pietro. Che cosa significa esattamente? «Si tratta di prevedere una sanzione accessoria, una forma di incompatibilità, per impedire a coloro che si sono macchiati di un delitto contro la pubblica amministrazione di ripresentarsi sull'arengo politico. Per gli imprenditori la legge fallimentare, nei casi di bancarotta, già prevede la condanna all'incapacità di rivestire cariche dirigenziali, ma non possiamo nasconderci che il grosso azionista o il personaggio di riferimento dell'azienda può benissimo continuare a deciderne i destini affidando a "teste di legno" i ruoli di presidente o di amministratore delegato. In questo campo per il legislatore è più difficile intervenire». Dottor Borrelli, ieri sono nate nuove tensioni fra i magistrati di Milano e la procura di Roma. Sembra montare il conflitto di competenza dopo la notizia dell'interrogatorio, nella capitale, del manager della Fiat Umberto Belliazzi, inquisito per la vicenda Intermetro. Perché queste risse? «Guardi, non sono risse. Non drammatizziamo. Sono convinto che alla fine raggiungeremo un accordo soddisfacente con i colleghi delle altre sedi. Lo ha detto anche D'Ambrosio: stiamo cercando di appianare il contrasto senza spargimento di sangue. Mele è un galantuomo, quindi sono ottimista». Eppure lei ha chiesto l'intervento della Cassazione. «Non sono stato così drastico. Ho detto che spesso le trame dei fatti e delle persone sono così complesse e intrecciate tra di loro che la corretta applicazione dei criteri delle competenze per connessione diventa difficile. Si giunge così a inevitabili collisioni fra procure. Vede, quando una persona viene sentita a Roma come testimone e a Milano come indagato, si disorienta, si abbottona e non parla più. Questo va evitato. Ma ieri ho aggiunto anche che confido nella possibilità di arrivare a patti soddisfacenti. Solo se questo non fosse possibile sarebbe auspicabile una sentenza della Cassazione che enunci criteri chiari per tutti. Se la Corte suprema dovesse intervenire non sarebbe la fine del mondo. E' lì apposta». Dario Cresto-Dina «Gli imputati che collaborano con i giudici meritano di essere premiati: a patto che parlino entro un limite di tempo breve» mts sw e ci impegneforzo comune una interpreca. Certo ci ma speriamo tto». milanesi giocarta. Un acrmato lo scorche dai collei Pietro, in cui a divisione dei ma spettavano sulle tangenti i della capitao Intermetro. il resto. E' anrà decidere su one? Si vedrà. ,Un lungo interrogatorio, e Di Vincenzo evita San Vittore e va agli arresti domiciliari. Francesco Saverio Borrelli E da sinistra Giovanni Conso e Gherardo Colombo ci. Quali? Di Pietro indaga- E l'inchiesta «Mani pulite» corre su molti filoni. Carte se¬ giudici di Torino, e il compagno Brenno lo ha ripetuto ieri al pm milanese Tiziana Parenti. Dice l'ex partigiano: «Tangenti al pei? Non so nulla». Fabio Poletti borano di essere parlino po breve» Francesco Saverio Borrelli E da sinistra Giovanni Conso e Gherardo Colombo

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