«Sì al nuovo senza avventure»

I giovani industriali: un manifesto per uscire dalla crisi, contro la gerontocrazia I giovani industriali: un manifesto per uscire dalla crisi, contro la gerontocrazia «Sì al nuovo, senza avventure» Assente Bossi, tiepidi con Formentini «Riforme urgenti per la governabilità» SANTA MARGHERITA DAL NOSTRO INVIATO «E io, con Galileo, vi dico: eppur si muove». Luigi Abete, presidente della Confindustria, sfodera il testimonial-Galileo per chiudere, con un guizzo d'ottimismo, il suo discorso davanti ai 1300 giovani industriali che affollano la sala del loro convegno annuale di Santa Margherita Ligure. I produttori in erba scattano in un applauso da spellarsi quando per invocare il «nuovo», il cambiamento, la «svolta» che dà il titolo al convegno stesso il loro presidente va a pescare la vittima dell'incredulo Bellarmino. Ma è quell'avverbio, «eppur», che lascia un segno spiacevole. Come, «eppur»? Dov'è finita la Confindustria apartitica e agovernativa di appena quindici giorni fa? Non c'è più soltanto da brindare al nuovo che avanza? Forse non più, non più così indiscriminatamente: ed è questo, in fondo, il segnale di fumo che da Santa Margherita Ligure i giovani industriali lasciano spuntare e aleggiare giù, lungo il Tirreno, fino al Palazzo romano. Un segnale confermato, rafforzato, dai trenta secondi di applausi attribuiti ad Abete, a Mario Segni, a Walter Veltroni e dalla cautela, quasi la freddezza - l'applauso è durato sì e no cinque secondi per Marco Formentini, il probabile sindaco di Milano, luogotenente di Umberto Bossi. Non c'è che dire, l'assenza annunciata da Bossi all'ultima ora, l'invio del luogotenente Formentini a trasparenti scopi propagandistici e le goffe giustificazioni dello scambio di persone (un improrogabile impegno paterno del leader al capezzale di un figlio operato d'appendicite) bastavano da soli a maldisporre i giovani imprenditori. Fumagalli, tanto stirato e inamidato quanto Bossi è sbracato, l'aveva detto: «Se non viene, Bossi sbaglia». Ma di base c'è dell'altro: gli industriali, vecchi e giovani, la svolta la vogliono, e presto, ma non a qualunque condizione e soprattutto niente avventure. Perciò la Lega - come negarlo - va rispettata perché è ormai una forza di massa, ma non è detto che sia pronta per prendere parte al governo, non senza condizioni. E la riforma elettorale? E' questa l'altra vera sorpresa del giorno: che arrivi presto, che arrivi invoca Fumagalli concludendo entro luglio, magari firmata dal governo se le Camere non ce la faranno; però Abete ammonisce: non basta che questa riforma regali autentica «rappresentatività» all'elettorato, occorre anche che garantisca governabilità al Paese. E la governabilità si ottiene soltanto col doppio turno, non col turno unico. Pochi minuti prima, a Mario Segni che aveva bocciato la proposta-Mattarella appena varata dalla commissione Affari costituzionali della Ca¬ mera (turno unico con doppia scheda), il popolo dei giovani produttori aveva tributato un caldo applauso. E un altro invito alla prudenza: prima di votare, la riforma va fatta, perché «è il paracadute che impedirà al nuovo di sfracellarsi a terra». Saranno anche tutti «agovernativi», saranno anche «apartitici», ma insomma questi industriali non vogliono firmare cambiali in bianco a nessuno. «La svolta di cui abbiamo parlato in questo nostro convegno, svolta di uomini, idee, percorsi a confronto, si fa con i fatti - conclude Fumagalli, liberando i suoi ospiti dal caldo appiccicoso della gremita sala congressi - non si fa con le parole». E per questo, rimpalla Abete, i politici, quelli nuovi innanzitutto, devono esser chiari: questi Bot, li si vuol tassare o no? questo federalismo è sostenuto da un progetto vero o è soltanto una formuletta? le privatizzazioni, vogliamo farle a chiacchiere o sul serio? Formentini, buon per lui, è fuori sala, davanti a qualche telecamera, e suda per le luci. Stesse dentro, con tanta diffidenza attorno, probabilmente suderebbe lo stesso. E in fondo neanche gli industriali sono asciutti: da una parte le delicate schermaglie interne al loro variegato microcosmo; dall'altra l'incertezza oggettiva, la crisi di tante aziende. Come uscirne? Neanche per loro la ricetta è chiara. E tra Abete, che fila in perfetta armonia con Segni, e il «lumbard» Vito Gnutti, armaiolo di Brescia, che si avvinghia in abbraccio da sodale a Formentini appena lo vede spuntare nel foyer, be' si stenta a credere che il dialogo possa essere fluido. Abete ha tanti dietro di sé, ma anche Gnutti ne ha. Piace molto, a tutti, il «manifesto» che Fumagalli ha messo insieme con i giovani commercialisti, i giovani avvocati, i giovani commercianti e i giovani magistrati per dare le lìnee-guida del cambiamento: 35 cartelle irte di cifre e proposte, dettagliatissime - una sorta di «programma di governo» - contro la «gerontocrazia», per la moralizzazione, per le privatizzazioni, contro i trasformismi: «E' un ottimo documento - concede Abete - del tutto condivisibile nelle sue linee essenziali». Bravo Fumagalli, sarà famoso. E aleggia, su tutto, una presenza immateriale, un convitato di pietra: si chiama, appunto, Di Pietro, è il giudice che l'anno scorso strappò applausi da grande liberatore. Quest'anno, certo, se ci fosse, lo applaudirebbero ancora: ma più che per gli ultimi arresti, per questo suo recente invito a trovare presto una nuova legge che permetta di chiudere rapidamente la storia infinita di Tangentopoli. Sergio Luciano Il leader referendario Mario Segni ieri al convegno dei giovani industriali a Santa Margherita Ligure

Luoghi citati: Brescia, Milano, Santa Margherita Ligure