E' morto Beretta signore dei fucili di Zeni

Brescia, aveva 87 anni, era l'ultimo discendente dei grandi fabbricanti di armi Brescia, aveva 87 anni, era l'ultimo discendente dei grandi fabbricanti di armi E' morto Beretta signore dei fucili MELANO. Lui, i fucili, i suoi fucili, li chiamava «schioppi». In bresciano, come li chiamavano suo padre, suo nonno, suo bisnonno e via, indietro nel tempo, generazione dopo generazione, fino al 1526, prima data certa di un Beretta fabbricante di armi che a quei tempi non erano gli «schioppi» ma «azzarini», una via di mezzo tra acciarini e archibugi. Sempre lì, nel cuore della Valtrompia, da Brescia venti chilometri verso Nord, all'imbocco di una valle piena di forni e ciminiere. Ed è lì, in quella villa simile a un castellotto confinante con la fabbrica, lì a Gardone Valtrompia, che se ne è andato l'ultimo dei Beretta. Una morte improvvisa, quella di Giuseppe Beretta detto Pino. Anche se a 87 anni, diceva agli amici, «di improvviso non c'è nulla». E invece all'improvviso una città che sull'industria ha costruito glorie e onori si è ritrovata orfana. «Orfana di un padre nobile», sussurra l'altro bresciano celebre, l'ex presidente della Confindustria Luigi Lucchini. Gli altri padri nobili hanno lasciato da tempo ai figli dei figli: i Folonari, quelli del primo vino con il tappo a corona, i Wùhrer, quelli della birra che adesso è dei francesi della Danone. Lui, senza figli, ha lasciato l'eredità di un piccolo impero valutato alcune centinaia di miliardi, fabbriche in Italia, in Belgio, in Ameri- ca, partecipazioni finanziarie in mezzo mondo, al nipote Ugo Gussalli Beretta. Brescia perde l'imprenditore dal nome più blasonato ma anche dall'influenza più forte: così oggi dicono tutti. Perché era lui, senza ombra di dubbio, che nell'Associazione degli industriali come nel Credito agrario, la banca laica concorrente del cattolicissimo San Paolo di Brescia, contava come nessun altro nel momento delle decisioni. Liberale. E un po' massone. In una città tutta bianca, liberale stava per liberal, per laico, per statalista con una forte carica sociale che, diceva, «i Beretta si portano nei cromosomi». E per spiegare le sue parole gli bastava ricordare gli sforzi del padre o del nonno che attorno alla fabbrica d'armi, a Gardone, avevano voluto case operaie, l'ospedale, l'asilo e la scuola per i bimbi, il ricovero per gli anziani. Classico stile paternalistico, accusava il sindacato. E lui, secco: «Ai miei operai va bene così». E zitto su tutto il resto, compresa la fondazione per la ricerca contro il tumore del seno voluta dopo la morte della prima moglie. Secco, a volte duro, sempre schietto. Figurarsi lui, un Beretta, membro autorevole del club francese degli Henokiens che è il club che riunisce le tredici famiglie industriali più antiche d'Europa, intimorito di fronte al colosso americano General Motors? Niente affatto. Quelli della Gm avevano avuto la brillante idea, dopo lo sbarco in America della Beretta nel 1985 quando la pistola prodotta a Gardone diventò la pistola dell'esercito americano, di chiamare l'ultima vettura «Beretta». Non l'avessero mai fatto: «Sono lusingato scrisse Giuseppe - ma guai a voi se non ritirate quel nome». Geloso del nome. E arrabbiatissimo contro chiunque sparas se a zero contro uno dei modi di usare i suoi «schioppi»: abbasso la caccia, chi non ricorda quella scritta di Adriano Celentano in tv? Lui, furibondo: «Un'azione ignobile, quella di Celentano, ma come approfitta della tv di Stato per dar contro a 2 milioni di cacciatori?». Peccato, Celentano come cantante gli piaceva. Un po' come tutta la musica: classica soprattutto, lui presidente dei loggionisti del Teatro grande, amico del pianista Arturo Benedetti Michelangeli. E adesso i loggionisti piangono. Come quelli del Brescia calcio che avevano avuto in suo fratello Carlino (nel 1953 e '54 commissario tecnico della Nazionale) uno dei presidenti. Quando il Brescia giocava in casa, lui al Mompiano c'era sempre, c'era anche al 2 a 0 di Brescia-Sampdoria, la partita della quasi salvezza, domenica scorsa. Lo spareggio Brescia-Udinese voleva vederselo in tv, guai a mancare: «Cerchiamo di stare in A, ragazzi, già in tante cose siamo in B». Armando Zeni Giuseppe Beretta con uno dei suoi fucili

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