Clerici mito e fantascienza
La scomparsa d'un artista atipico La scomparsa d'un artista atipico Clerici, mito e fantascienza ROMA. Si sono svolti ieri mattina nella chiesa di San Luca e Martina, ai Fori Imperiali, i funerali di Fabrizio Clerici, il pittore-letterato morto martedì a ottant'anni. Nei giorni scorsi era stato ricoverato in clinica per un attacco di enfisema polmonare. Una delle sue ultime uscite pubbliche era stata a dicembre, all'Accademia di San Luca di cui era presidente, per la presentazione della sua raccolta di scritti sull'arte Di' profilo (ed. Novecento). EABRIZIO Clerici, laureato in architettura, scenografo, grande illustratore, pittore, già presidente dell'Accademia di San Luca, «surrealista intellettuale» secondo la definizione di Federico Zeri, suo grande ammiratore, è stato un personaggio piuttosto atipico e «trasversale» della cultura italiana e internazionale. Su questa sua atipicità di Dali all'italiana, non compromesso dalla volgarità consumistica (come lo fu, moltissimo, l'artista catalano) e imbevuto invece di classicità autentica, hanno concordato generazioni diverse di uomini di cultura e letterati, da Savinio fino a Sciascia, i quali suggerirono entrambi una sua definizione «stendhaliana». E, fra i due estremi, tutto un Gotha letterario e culturale, sempre in bilico fra tradizione classica e eterodossia: Ungaretti e Bacchelli, Praz e Comisso, Carrieri e Buzzati e Sinisgalli, Moravia e Consolo, Bufalino e Malerba. D'altra parte il personaggio, nell'immediato dopoguerra, fu a suo agio anche in una mondanità non ancora involgarita, affannata nella rete elettronica, non ancora «jet». Prezioso disegnatore, uno dei suoi primi oli, Venezia senz'acqua del 1949 - che è anche uno dei primi documenti del suo personalissimo surrealismo, tanto mitico-fantastico quanto fantascientifico - fu dipinto sul terrazzo di Marina Cicogna a Venezia. Una foto del 1950 lo ritrae con Millos e Esmeralda Ruspoli alla prima dellVlrmida di Lulli al Maggio musicale fiorentino, di cui Clerici è scenografo. In questo campo l'artista scomparso ha dato un'impronta assai netta, e anch'essa oggi assai lontana, alle scene italiane degli Anni 50, rivaleggiando con un altro grande scenografo internazionale, Eugène Berman. Clerici fu disegnatore grande, lucidissimo, inquietante proprio per la nitidezza del segno evocante so- Un disegno di F Un disegno di Fa abrizio Clerici gni, incubi e ossessioni, smontaggi e rimontaggi del mito e di intere civiltà dell'arte, da quella minoica fino a Botticelli, dalla Sistina a Bocklin e Klinger. I primi disegni - intorno agli Anni 40, con quella tecnica a punta d'argento tanto amata dal giovane Leonardo e da Diirer, come il giovane architetto sapeva benissimo - evocano come fantasmi memorie familiari in modi affini all'amico e mentore Savinio, ma già mostrano attenzione a quel supremo eterodosso «illuminato» che fu William Hogarth. Cinquant'anni dopo, in quello che è forse il più alto e certo il più affascinante e «intelligente» capovolavoro grafico, le Tavole aggiunte all'Encyclopédìe, il riferimento, anzi l'omaggio a Hogarth, tanto al suo stilo d'incisore quanto al suo cervello, entrambi corrosivi, diventa esplicito. E il risultato è tanto più mirabile se pensiamo che già da anni Clerici lavorava con uno speciale apparecchio ottico a causa della, sua semicecità. Forse una vendetta del Minotauro? Il suo gran quadro d'esordio, il Minotauro accusa pubblicamente sua madre, in un'arena slabbrata in mezzo al deserto - che rivede ma in qualche modo contesta criticamente il modello Dall' riscattandolo attraverso i fantasmi illustri di Piranesi e Magnasco - è un proclama di surrealtà nobilitata, all'italiana. E su questa strada, che affronta con serietà culturale problemi che saranno poi ripresi e volgarizzati dalla moda «citazionista», Clerici ottenne negli Anni 50 e 60 gli alti risultati di Sonno tornano e di Confessione palermitana. Sono belle riletture del barocco da Bernini fino a Serpotta, ma pregne delle inquietudini tipiche dei pittori dell'immaginario a Roma nel secondo 700 (Fùssli ad esempio, e qui certo ha contato l'amicizia con Giuliano Briganti), e caratteristiche di un intellettuale internazionale di cui si è forse perso lo stampo. Marco Rosei
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