Borghesia i volti del fantasma

. Esiste davvero o è un'illusione? Sarà la protagonista del cambiamento? DISCUSSIONE . Esiste davvero o è un'illusione? Sarà la protagonista del cambiamento? Borghesia, i volti del fantasma La classe una e trina, forse rivoluzionaria E' dibattito fra sociologi e economisti SANTA borghesia, salvaci tu. Il voto di domenica ha riportato a galla l'idea, la convinzione, la I speranza, l'illusione - secondo i casi e i punti di vista che nel nostro Paese sia suonata l'ora di una rivoluzione democratica borghese. Il che significa: cambiamento radicale della classe dirigente e nuovi rapporti fra Stato e cittadini. Tradotto in fatti di vita quotidiana: giustizia sociale, diritti civili, equità fiscale, libertà di iniziativa, economia di mercato, servizi efficienti. Il contrario dell'Italia che vessa i cittadini con le incongruenze del 740. Tutto questo è la posta di una partita che gioca la borghesia. Anzi che giocano le «tre borghesie», come ha scritto ieri, in un editoriale sul nostro giornale, Marcello Pera: quella finanziaria e industriale, la piccola borghesia leghista e la borghesia dei professionisti e dei mestieri. Ma le cose stanno davvero così? Dalle urne comunali e dagli spareggi per i sindaci viene avanti una borghesia riformatrice, o si tratta di un'operazione di restauro dei vecchi ceti moderati, che fino a ieri hanno sfruttato evasione fiscale, lavoro nero, leggi speciali, leggine ad hoc, finanziamenti, fiscalizzazioni, e chi più ne ha più ne metta? Che cos'è oggi la borghesia italiana? Come si divide, che facce ha? Qual è la sua vera forza? Può esprimere sul serio un «soggetto rivoluzionario»? «La borghesia italiana ha fatto le rivoluzioni che non doveva fare e non ha fatto quelle che doveva fare - dice l'economista Sergio Ricossa -, nel senso che prima ha appoggiato la rivoluzione fascista, poi non ha impedito il regime democristiano». La borghesia classica - quella proprietaria dei mezzi di produzione - «non ha fatto quanto poteva fare». E' la vecchia questione, se noi italiani abbiamo mai avuto un vera classe borghese: «La grande borghesia in- dustriale italiana ha barattato i favori dalla classe politica con l'ossequio alla stessa». Ma adesso che cosa sta succedendo? Una grande unificazione nel nome della protesta, «fra pezzi di borghesia privata dei privilegi e una classe lavoratrice che si è di fatto imborghesita». L'insegnante «proletarizzato» e l'operaio «tecnologico». E' l'Italia unificata dalla nevrosi del consumismo (tesi dello storico Silvio Lanaro), in cui la molla della rivoluzione è la battaglia contro un comune nemico che si chiama fisco: «Il fisco è il simbolo - dice Ricossa - del nuovo sfruttamento esercitato su questi ceti medi, che vanno dagli operai fino ai professionisti». Ma le rivolte popolari contro le tasse - o la malasanità, o la corruzione - si possono interpretare come progetti politici di cambiamento? «Non scambiamo l'agitarsi per capacità rivoluzionaria - dichiara il sociologo Franco Ferrarotti -. Io vedo soprattutto il finto dinamismo di gente che vuole star seduta più comoda. Il paradosso è che una velleità rivoluzionaria c'è stata semmai nella grandissima borghesia, in un uomo come Adriano' Olivetti. La cui attitudine a pensare in senso sociale non ha nulla in comune con il piccolo borghese che fa la politica del pie di casa, contro Roma ladrona, i terroni e gli immigrati». Senza l'esercito di Bossi, però, chi prendeva a spallate il regime? Un ex azionista come Giorgio Bocca ha detto pubblicamente «grazie, leghisti». E gruppi di borghesia professionale e intellettuale riprendono il gusto della politica. Ma Lega e Castellani - tanto per capirci - non sono per Ferrarotti che due facce della stessa medaglia: «I primi in maniera rozza, gli altri con enfasi tecnocratica, vogliono tutti non cambiare ma razionalizzare. Sistemarsi meglio. D'altronde i non garantiti, gli emarginati non hanno capacità per rovesciare l'esistente. Il soggetto rivoluzionario oggi non c'è o è in sonnolenza». Ma una nuova borghesia, anzi una neo-borghesia, esiste, soltanto che per individuarla bisogna cambiare interpretazione: «Nella visione marxiana, la borghesia è la classe che detiene il capitale e i mezzi di produzione - spiega l'economista Mario Deagho -, ma l'avvento dell'elettronica ha prodotto una nuova borghesia la quale possiede e vende capitale umano». Vale a dire che possiede e vende le proprie competenze e l'autonomia professionale: è l'artigia¬ no con la fabbrichetta computerizzata, è il professionista nuovo stile, che davanti al 740 diventano scemi e dicono: basta, bisogna fare politica». «Questa è una vera forza rivoluzionaria, in senso marxiano, perché si oppone alle classi che continuano a detenere il potere. Si oppone alla borghesia che aveva in mano le decisioni pubbliche, che non era veramente amica del mercato e che ha fatto un uso vessante del suo potere». Politicamente in chi si esprime? «Ha trovato una espressione efficace, anche se rozza, nella Lega. Non tutta la nuova borghesia è Lega, né tutta la Lega è nuova borghesia. Si tratta di ceti sociali privi di cultura politica, in gran parte. Ammetto che non c'è un vero progetto, ma aspettiamo e vedremo». La borghesia rivoluzionaria è in realtà una di quelle questioni dietro le quali vengono a galla tutti i nodi dei processi e delle trasformazioni in atto in una società-Paese. I politologi e gli storici oxfordiani dicevano in un recente seminario sugli affari italiani: «Sì, è una situazione rivoluzionaria. E' come nella Russia del ' 17». Il problema è in quale punto del tessuto sociale si cela l'innesco dell'esplosione. Bossi come Bakunin? Schegge di borghesia politicamente colta e impegnata ci sono sempre state. Ma è la grande massa degli «estremisti del centro» che possiede la forza per cam- biare le cose. Il problema è se sul Carroccio, mutatis mutandis, si troverà mai un Adriano Olivetti. Forse sì, forse no. Questo è il quiz. Ecco cosa racconta il sociologo Franco Ferraresi, vice rettore dell'Università di Torino, ma lumbard di razza. «Io sono appassionato di vela. Sul Lago di Garda, nel porticciolo di Desenzano, che non è Portofino né St-Tropez, ci sono almeno centocinquanta barche, fra cui una decina di due alberi. Una ricchezza sprecata, in cui si specchia una folla di macellai, tabaccai, dentisti, non è l'High Coast americana, è la borghesia lombarda affluente. La quale, come sappiamo, è al novanta per cento leghista». «Allora io sfido i leghisti, sfido Bossi e Formentini, a usare la ricchezza e l'imprenditorialità, se c'è, di questa borghesia per costruire un grande ospedale, sostenuto al novanta per cento da filantropia privata, dove i ricchi paghino tariffe anche molto salate e in compenso un senegalese sia operato a prezzo onesto. Se una borghesia vuole affermare la sua leadership deve farci vedere, oggi, di saper fare cose di questo genere. Altrimenti il "fasso tutto mi" dei leghisti è solo egoismo e demagogia». Capito Bossi? Chissà, magari l'ospedale lo fa sul serio. Alberto Papuzzi Franco Ferrarotti: finto dinamismo Mario Deaglio: non è solo Lega. Franco Ferraresi: ricchezze sprecate Ff Da sinistra Mario Deaglio e Sergio Ricossa Il leader della Lega Umberto Bossi. A sinistra architetti riuniti intorno alla tavola imbandita, un'immagine della borghesia Anni 60 Nell'immagine grande, una manifestazione leghista A lato Franco Ferraresi, vicerettore a Torino, in basso il sociologo Franco Ferrarotti

Luoghi citati: Desenzano, Italia, Portofino, Roma, Russia, Torino