Il Melville di Terrasanta di Masolino D'amico

Poema dell'autore di Moby Dick Poema dell'autore di Moby Dick Il Melville di Terrasanta numerosissimi spettatori del simpatico Moby Dick teatrale e ora anche televisivo di Vittorio Gassman potrebbero essersi fatti un'idea molto riduttiva del romanzo di Herman Melville, data la semplificazione e direi addirittura la giovializzazione operata dall'adattatore. Nella versione di Gassman il tormentato Ishmael, che nell'originale si imbarca perché oppresso dal taedium vitae, è diventato un ragazzetto alla ricerca dell'avventura; il torvo e monomaniaco Achab, un simpatico pirataccio erede di John Silver e tutta l'impresa, una gran partita di pesca dai risvolti fiabeschi. L'occasione per rimettere un po' le cose a posto riflettendo, invece, sulla straordinaria complessità di Melville la dà oggi l'uscita di brani di Clarel, curata da Elémire Zolla per la Piccola Biblioteca Adelphi: ripensamento e ampliamento di un volumetto Einaudi di anni fa, al quale secondo i suoi princìpi la nuova casa editrice non fa accenno veruno. E' probabile che la maggior parte dei lettori, anche di buona cultura media, non sappia nulla di Clarel, e si capisce: questo immenso poema (diciottomila versi in centocinquanta canti) passò completamente inosservato quando uscì nel 1876, e dovette aspettare poco meno di un secolo prima di vedersi riproporre in un'edizione attendibile. Del resto quando lo compose Melville era rassegnato all'insuccesso, i suoi tentativi di affrancarsi dalla prima, precoce fama di autore di storie sui mari del Sud derivate dalla propria esperienza essendo tutti miseramente falliti. Moby Dick, il capolavoro (1851), aveva suscitato poco più di una certa curiosità; ma i nuovi, ambiziosi ed estremamente eterogenei romanzi come Pierre e L'uomo di fiducia, gli inquietanti racconti come Benito Cereno e Bartleby, erano rimasti praticamente ignorati; e il suo canto del cigno, il superbo Billy Budd, sarebbe rimasto addirittura inedito fino al 1924. Il tempo, nonché, come argomenta Zolla, la moderna familiarità con il Male, avrebbero reso Melville attuale nel nostro secolo; ma è improbabile, né lo stesso Zolla si fa troppe illusioni in proposito, che il recupero possa essere esteso fino a Clarel, concepito dopo un viaggio in Terrasanta e eseguito durante anni di lavoro matto e disperatissimo, negli intervalli consentitigli dal grigio impiego alla dogana di New York, dove lo scrittore si era volontariamente rinchiuso. Clarel mette in scena un giovane americano che, come il protagonista del futuro Lord Beaconsfield, percorre lentamente i luoghi dove nacque il Cristiane¬ simo alla ricerca della fede, e che alla fine riparte sostanzialmente senza averla trovata. Durante il pellegrinaggio incontra una serie di personaggi assai singolari, con i quali ha degli scambi, tutti emblematici di qualche tendenza. C'è per esempio Nehemiah, vecchio americano che auspica il ritorno degli Ebrei nel loro Paese storico; c'è Celio, giovane romano gobbo e scettico come Leopardi; c'è la giovane ebrea Ruth, figlia di un contadino americano fattosi giudeo e in lotta con gli Arabi, che finiranno per ammazzarlo... Che Melville ormai scrivesse per sé si vede già dalla forma scelta, quella moribonda del poema epico in versi, qui tetrametri giambici, brevi e cantilenanti, con rime talvolta alternate ma quasi sempre baciate; si vede poi anche dalla rinuncia a qualunque lenocinlo di storia, o parvenza di azione. Il suo è un dibattito di idee movimentato da qualche austera descrizione di paesaggio, e come Zolla lealmente osserva, è quasi impossibile riuscire a sintonizzarsi sulla sua lunghezza d'onda durante una prima lettura; non per niente i primi critici rinunciarono del tutto a capire. In compenso, a scavarci dentro con pazienza, da Clarel emerge una impressionante serie di profezie sul futuro dell'umanità. Melville, che aveva a suo tempo lucidamente annunciato l'inevitabilità della Guerra Civile americana, prevede qui il sionismo, il comunismo, e perfino il dualismo di questo con la Chiesa Cattolica. Prevede anche l'incapacità della scienza quanto a fornire risposte definitive agli interrogativi umani, e anticipando i moderni sospetti sulla fondatezza della teoria di Newton saluta nella condanna di Galileo l'ultimo disperato gesto di autodifesa della cultura antica rispettosa della divinità e del mito. Precorrendo, anche, certe nostre amare prese di coscienza, Melville indica poi il ritorno alla Natura come unico rimedio contro la rovinosa illusione del progresso... I canti tradotti da Zolla, con l'originale a fronte, sono illustrativi della ricchezza di questo singolarissimo compendio di ideologie perdenti rivisitate da un punto di vista gnostico, e immergervisi sia pure brevemente come consentito da questa antologia è una esperienza curiosa. Non è privo di fascino, inoltre, il sentire ogni tanto una eco del vecchio Melville narratore; come nell'episodio, che forse più di tutti sopravvive nella memoria, del vecchio marinaio che reduce da molti naufragi e non trovando più chi gli affidi un comando, si consola con la religione. Masolino d'Amico

Luoghi citati: Galileo, New York