Mogadiscio foto-choc contro i soldati italiani

TRICOLORE E VIOLENZA Immagini pubblicate su «Epoca» denunciano brutalità dei militari nei confronti di somali Mogadiscio, foto-choc contro i soldati italiani TRICOLORE E VIOLENZA LE foto che pubblichiamo fanno parte di un servizio fotografico che apparirà sul prossimo numero del settimanale «Epoca»: le immagini di questi prigionieri somali incappucciati, legati mani e piedi, trattati come bestie, suscitano indignazione e sgomento. E anche un profondo senso di vergogna perché gli aguzzini, ritratti a loro volta nelle fotografie, sono i nostri giovani soldati di leva mandati in Somalia per collaborare ad una missione di pace. Non sappiamo in che occasione sono state scattate queste foto, non sappiamo che cosa avevano fatto i somali arrestati: di certo sappiamo che i nostri soldati vivono in uno stato di grande tensione, esposti al pericolo delle imboscate, alle fucilate dei cecchini, alle aggressioni notturne di gruppi di banditi che cercano di forzare i posti di blocco lungo le strade o di assalire i depositi di viveri e aiuti umanitari per fare razzia. Tutto questo, però, non giustifica la violenza: nessun essere umano deve essere trattato in maniera così bestiale, specialmente quando, come in questo caso, non è in condizione di nuocere, ridotto all'impotenza, disarmato. Perché allora infliggergli anche l'umiliazione di un simile trattamento? Da una foto non è possibile giudicare, perché l'immagine blocca la realtà di un momento, non quello che è accaduto prima, non la tensione che ha preceduto l'arresto, magari dopo uno scontro a fuoco, forse dopo essere sfuggiti miracolosamente ad un'imboscata e alla morte. I nostri soldati in Somalia stanno svolgendo un lavoro encomiabile e i primi a riconoscerlo sono proprio i somali, persino uno dei «signori della guerra», il generale Aidid che aveva usato toni minacciosi nei nostri confronti quando i primi militari del contingente italiano sono arrivati a Mogadiscio, dopo il sanguinoso scontro a fuoco di sabato con i «caschi blu» pachistani e americani, risolto senza colpo ferire dall'intervento dei nostri soldati, ha detto che il controllo di Mogadiscio dovrebbe essere affidato soltanto agli italiani. Ieri sera abbiamo parlato col capo di Stato Maggiore Italfor a Mogadiscio, ten. col. Augusto Staccioli. «Mi rendo conto che le foto possono suscitare una brutta impressione, ma posso dire con assoluta certezza che nessun militare italiano si è macchiato di brutalità. Nessun prigioniero è stato picchiato o torturato: si figuri, i nostri sono soldati di leva, ragazzi di vent'anni che sono stati in discoteca fino a ieri». Di arresti i nostri militari ne hanno fatti a centinaia. «Gente che ha sparato addosso alle nostre pattuglie, oppure responsabili di gravi delitti, omicidi, stupri, rapine. La gente viene da noi a chiedere aiuto, a denunciare furti, aggressioni di ogni tipo. Questo accade specialmente nei villaggi dell'interno, dove agiscono bande di razziatori armati fino ai denti». I nostri soldati intervengono ogni volta che viene denunciato qualche fatto grave. «Lei dice che le foto mostrano persone legate mani e piedi con delle corde: in mezzo alla savana non si hanno le manette cromate, usiamo quello che abbiamo. Perché li leghiamo? Per prima cosa una volta arrestati dobbiamo metterli in condizione di non nuocere. Leghiamo anche le caviglie per impedirgli di scappare: più volte è accaduto che dei prigioinieri si siano lanciati dai camion, dileguandosi nella boscaglia». Ma perché incappucciati? «I prigionieri vengono portati nei nostri accampamenti e vengono bendati per non far riconoscere la dislocazione delle strutture militari». Tutte le persone arrestate vengono interrogate con l'ausilio di un interprete, i verbali «sono redatti dai nostri carabi¬ nieri che assicurano il pieno rispetto della legge», poi sono consegnati alle autorità giudiziarie somale, «anche quelli che hanno sparato addosso ai nostri soldati: noi non abbiamo tribunali, i responsabili dei delitti, dall'aggressione ai militari stranieri alla rapina, allo stupro, all'omicidio, vengono giudicati dai tribunali somali». Con una nota di rammarico il capo di Stato Maggiore conclude: «Tutto questo ci causerà non pochi guai e scatenerà chissà quali polemiche contro i nostri ragazzi. Eppure qui lavorano tutti duramente, giorno e notte, per aiutare questa gente: abbiamo di fronte banditi disposti a tutto, pronti a spararci addosso senza pensarci due volte. Ma non è mai stato fatto un arresto arbitrario e non è mai stato picchiato un prigioniero. Questo è certo». In quasi sette mesi, i nostri soldati si sono guadagnati la stima e la fi- ducia della popolazione. Ogni giorno le nostre pattuglie percorrono chilometri e chilometri nella savana per raggiungere i villaggi più lontanti e distribuire cibo e generi di conforto. «In quelle occasioni lavoriamo in situazione di pericolo - ricorda il ten. col. Staccioli - perché la folla si stringe intorno ai nostri automezzi, tutti spingono, gridano, c'è sempre il timore che accada il peggio, che si scateni la violenza. In certi casi i nostri soldati sono costretti a tenere a bada la gente minacciandola con i bastoni, così come fanno da sempre i poliziotti somali. Ma di bastonate vere e proprie non se ne danno mai: è quasi un rituale, il bastone alzato è una minaccia che non fa paura, infatti ridono tutti, ma incute un certo timore. E' una dimostrazione di autorità, loro lo sanno e non si spaventano neppure». Francesco Fornati Il capo di Stato Maggiore dell'operazione «Nessuno di noi si è macchiato di atrocità Nessun prigioniero è stato picchiato i nostri sono ragazzi di vent'anni che fino a ieri andavano in discoteca» Nelle foto, due giovani somali immobilizzati e una donna prima legata e incappucciata poi portata «al guinzaglio» da soldati italiani

Persone citate: Aidid, Augusto Staccioli, Staccioli

Luoghi citati: Mogadiscio, Somalia