IL CARNEFICE CHE DIVENTA VITTIMA di Barbara Spinelli

INVIA DALLA PRIMA PAGII IL CARNEFICE CHE DIVENTA VITTIMA partecipato volontariamente al genocidio degli ebrei, sorpassando in zelo gli stessi occupanti tedeschi. Paul Touvier, lungamente protetto ed ora in attesa di processo, era un miliziano convinto antisemita, si è macchiato di grandi delitti, ma fu un esecutore, un manovale del crimine. Maurice Papon, segretario generale della prefettura a Bordeaux, aveva compiti delittuosi ma limitati geograficamente: la giustizia continua a risparmiare anche lui. Ben diversa la figura di Bousquet, che del crimine era ii massimo regista. Nella sua qualità di capo della polizia di Vichy organizzava in proprio la Soluzione Finale su scala nazionale, proponeva i suoi piani negoziandoli direttamente con i capi nazisti, ed era tuttaltro che una rotella. Lui stesso ci teneva a non apparire come tale, durante l'occupazione: se am¬ massava un numero così grande di ebrei per spedirli ad Auschwitz, se lì andava a scovare in tutti i recessi, in tutti i rifugi, e non solo in territorio occupato ma anche in zona cosiddetta libera, era per dimostrare che la Francia non si faceva mettere i piedi sul collo dall'occupante, che la sua polizia e la sua amministrazione restavano «sovrane», roccaforti intangibili di indipendenza, e che agivano per conto proprio, non dello straniero. E' quello che rende il crimine di Bousquet più nero, più insopportabile da pensare, e paradossalmente più normale. E' la fierezza del servizio, sentita con gelida passione, che rende il crimine assoluto. Negli anni in cui comandava la polizia, fra l'aprile 1942 e il dicembre 1943, Bousquet ha mandato nei campi di sterminio 60 mila ebrei - francesi e non - molto più di quel che reclamavano i tedeschi. I 3952 bambini deportati nella retata del Velodromo d'inverno, a Parigi, nessuna autorità nazista glieli aveva chiesti. Gli ebrei scovati nella «Francia libera» e deportati - nessun Paese d'Europa ne ha presi tanti, in zona non occupata - avrebbero potuto essere risparmiati, in nome della sovranità formale garantita dall'occupante. Ma non era la sovranità della Francia, quella che stava a cuore a Bousquet. La sua unica patria, di cui difendeva a denti stretti la sovranità era la Polizia, era la sacralizzata «administration». Alle sue parole, dette nel febbraio scorso, si può probabilmente credere: Bousquet non era antisemita, non agiva per convinzione, era «solo un ottimo poliziotto». Per questo non fu neppure minimamente sfiorato dalla tragedia, e solo in parte Bousquet somiglia a quei personaggi francesi che nei romanzi servono i Grandi Corpi dello Stato fino a insanguinarsi le mani. Il poliziotto Javert, nei «Miserabili» di Victor Hugo, incarna il dovere e neppure sa cosa sia, l'umanità. Ma poi qualcosa si rompe dentro la sua anima e alla fine Javert si getterà nella Senna. Non così Bousquet, che fu e restò un funzionario impeccabile del delitto, un Javert ridotto a macchina. Un automa non prova vergogna. Esegue meccanicamente, il male che fa diventa banalità. Ma anche la Francia stenta a conoscere l'ora della vergogna, e solo negli ultimi quindici anni ha cominciato a svegliarsi. Altrimenti non si capirebbe la lentezza nell'istruire i processi delle responsabilità francesi nel genocidio - quasi mezzo secolo è passato e ancora nessun giudizio - altrimenti non si capirebbero le amnistie, le omertà, le convocazioni mille volte rinviate, e le protezioni così vaste, così tenaci, offerte ai responsabili di Vichy. Con fatica si è giunti al processo di Klaus Barbie, qualche anno fa. Ma il processo a Vichy e alla Francia fascista, per crimine contro l'umanità, ancora non ha avuto luogo e chissà se avrà mai luogo. Barbie è tedesco, il diavolo resta fuori casa, e finché è pos¬ sibile non vedere il diavolo che alberga dentro le mura meglio così. Meglio proiettare molti film anche se veri su Vichy che istruire regolari processi, con le vittime ormai anziane che raccontano quel che hanno sofferto e stancano le platee. Meglio la pellicola colorata e scattante che la realtà nera, monotona. Meglio i dibattiti fra storici che la voce, sempre più flebile, di chi ha patito i campi. E poi si trattava di salvare i grandi corpi dello Stato, e l'immagine dell'amministrazione, e la reputazione infine della Francia unanimemente resistente, uscita vincitrice dalla seconda guerra mondiale. Così pensò De Gaulle alla Liberazione, e Bousquet continuò la sua ascesa, divenne grande finanziere, e per oltre quarantanni restò quel che pretendeva di essere: grand commis, gran servitore dello Stato, fino a quando Serge Klarsfeld, in nome dei morti di Auschwitz, esibì le prove dei suoi delitti. Anche Mitterrand fece di tutto per evitare il processo. Quando Klarsfeld sporse denuncia contro Bousquet, nell'89, il Presidente fece sapere che era meglio soprassedere, «per non turbare la pace civile». E più tardi, nel '92, disse che la Repubblica francese non era identificabile con Vichy. Che non c'era continuità, fra lo Stato di Pétain e lo Stato rinato alla Liberazione. «Forse la Francia è responsabile anche se non colpevole - confidò Mitterrand a un collaboratore - ma non è ancora il momento di dirlo pubblicamente». Così Bousquet ha finito col non dover rispondere delle proprie azioni. Solo negli ultimi mesi ha cominciato ad allarmarsi, soprattutto quando è stato deciso di deferire Touvier alla giustizia. Ma per tanto tempo è stato protetto, e poi risparmiato. Bousquet non si nascondeva, il suo indirizzo lo conoscevano tutti. Se avessero bussato i giudici prima dell'omicidio, alla porta dell'appartamento di rue Raphael, Bousquet oggi vivrebbe, e non ci sarebbe stato il doppio crimine: contro.il poliziotto di Vichy, e contro la giustizia. Barbara Spinelli