CUCCHI: VIAGGIO DI UN POETA NELLA MUTA DIGNITÀ DELLE ROVINE
CUCCHI: VIÀGGIO DI UN POETA NELLA MUTA DIGNITÀ DELLE ROVINE CUCCHI: VIÀGGIO DI UN POETA NELLA MUTA DIGNITÀ DELLE ROVINE Cairo, che richiama più da vicino il primo e penultimo Cucchi. Non a caso essa è preceduta da una sezione più liricamente epigrafica e dichiarativa, che dà il titolo al libro intero: «Qui parlo per me / senza schermo o figura / e mi basta com'ero: / questa sola radice coperta di terra». Siamo nel quartiere milanese dell'infanzia, ai margini di tutto. E l'io poetico si muove en flànant nella «muta dignità delle rovine». Il poeta diventa un «viaggiatore... curioso» delle cose e compie gesti dettagliati, riflettendo sui suoi passi randagi. Il passato affiora dal presente di una memoria che sprofonda nella melma del rimosso, figura che sta sotto a figura in un processo di scavo in cerca di approdo. Ci deve pur essere una verità e il poeta la cerca a una frontiera dalle molte intersezioni: tra sonno e risveglio, tra alto e basso, tra memoria e oblio, tra inerzia (oblomoviana) e mobi¬ (ma al di fuori del sacro), a partire da un incipit che è già coscienza: «Sono ridotto a una cornice/eppure mi attraversano sentimenti bellissimi». Le prime parole sono queste. E le ultime? Eccole: «Pensa a una tinozza di piume e di calore, / tira su il bavero e riflette / su queste transizioni». Come a dire dalla prima alla terza persona, passando attraverso i molteplici «trasbordi» della realtà e del testo: le tante voci parlanti e le figure entro cui l'io poetico e l'io obbiettivato nel distacco grammaticale operano una franta tessitura d'echi e di specchi. Un percorsoossimoro, dove il distacco coincide col ritorno. E proprio in questa direzione espressa, diventa emblematica la sezione perfettamente centrale del libro (La luce del distacco, appunto), che rielabora un testo già scritto per uno spettacolo teatrale, intitolato Nel tempo che non è più e che non è ancora, e uscito da Crocetti tre anni fa. A parlare è una donna prigioniera, attraverso cui passa la figura di Giovanna d'Arco. Nelle illuminazioni della mente e nel delirio delle sue trame ispirate, la donna interpreta 1'«estasi del distacco» come metamorfosi e immedesimazione. Proclamando che la verità è «orizzontale», essa riconduce ai primi versi dell'«uomo che giace» e che si acquatta: dell'essere «già speculare al fondo / immobile di silenzio e radici». Affondare, sprofondare, mirare al fondo (o alla fonte), è un'intera famiglia di sensi che slittano l'uno nell'altro. Per transizioni e approssimazioni, per corrispondenze e spostamenti minimi, il viaggio verso l'estraneo risulta essere deliberatamente un ritorno. Proprio come quello figurato nell'ultima stazione del libro, Al lità, tra animalità e miracolo. Qual è dunque la fonte a cui abbeverare la propria ricerca di identità? In un'atmosfera spesso sognosa, alimentata dai cortocircuiti di una «attimità» fol- gorata, la metamorfosi tende ai arbagli di un vero rasoterra e comune, strappato alla «sottostoria» degli altri e di sé. Il racconto del viaggio può, tuttavia, spezzarsi in luci scarne e improvvise, che sembrano correre a tratti sotto il segno di un Saba, di un Penna e, salvo le rime, di un Caproni assai familiare: «Infine venga al sole sgominando / tra due attimi altissimi. /1 miei volti abolisca, / luce nella luce». Giovanni Testo Maurizio Cucchi Poesia della fonte Mondadori pp. 89, L 22.000
Persone citate: Crocetti, Giovanna D'arco, Giovanni Testo, Maurizio Cucchi
Luoghi citati: Cairo
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