Ma il sindaco dice: «Non retrocede la città»

La rabbia degli intellettuali-tifosi soprattutto contro Vittorio Cecchi Gori La rabbia degli intellettuali-tifosi soprattutto contro Vittorio Cecchi Gori Serie B, nuova ferita per Firenze Ma il sindaco dice: «Non retrocede la città» MI IL GIORNO DOPO LA CADUTA DEI VIOLA FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO Là dove hanno messo la bomba, a due passi dagli Uffizi, i carabinieri bloccano i turisti e i volontari lavorano in un caldo infernale. Certo, sarà difficile rimarginare la ferita e per quell'ordigno assassino Firenze si è commossa, ma per la Fiorentina miliardaria, scivolata in modo maldestro in serie B, nessuno appare seriamente turbato, neppure gli assidui del Bar Marisa, che è un po' il cuore del tifo viola, attaccato com'è allo stadio. Qualche scaramuccia, domenica sera, a partita finita e dunque a caldo, anzi, a temperatura rovente, ma il buonsenso ha fatto presto a prevalere. Insomma, non l'hanno presa così male, o forse l'hanno semplicemente presa nel modo giusto: in fondo, non è una tragedia, neppure calcistica, che una squadra finisca in un campionato di seconda categoria. Ce ne sono altre squadre toscane in B: la Lucchese, che ha un passato remoto glorioso, e il Pisa, che vanta un dignitoso passato prossimo. No, la gente, che mercoledì scorso aveva superato il suo innato pudore ed era scesa in strada con le fiaccole per dire no alla mafia, no al terrorismo, ha ritenuto inutile e di pessimo gusto le sceneggiate pallonare. Non uno striscione, non un drappo viola, sui muri nessuna nuova protesta, nulla di nulla. «Mi rifiuto categoricamente di condividere le sorti della città con la Fiorentina», scandisce Giorgio Morales, socialista, sindaco dal 1989. Già, dev'essere una tentazione molto forte far tutt'uno fra Firenze e la sua squadra. Così Morales ha deciso un secco e sentito comunicato stampa: «La retrocessione della Fiorentina in serie B è un fatto di indubbia gravità, anche al di là dell'aspetto sportivo. Ma va detto con mol ta chiarezza che in serie B ci va una squadra di calcio, non la città». E questa Fiorentina con i suoi atteggiamenti, quelli dei dirigenti, soprattutto, deve aver provocato al signor sinda co qualche preoccupazione «C'è anche un'altra cosa da dire, purtroppo la Fiorentina quest'anno si è resa antipatica in tutta Italia e molti hanno gioito per la retrocessione. In vece, la gara di solidarietà internazionale e nazionale per Firenze, dopo la tragedia vera che l'ha colpita, ha confermato il grande amore di tutto il mondo e di tutta Italia per la nostra città». Il sindaco interpreta un po' il pensiero collettivo: di certi atteggiamenti proprio non se ne poteva più. «Insomma, la Fiorentina deve rendersi degna di Firenze. E' una que stione di stile e di qualità che riguarda i giocatori, la società e una parte dei tifosi». Più chiari di così... Sindaco, ma questa città è stata capitale europea della cultura, poi ha ospitato i Mon diali nel suo stadio costosissi mo sul quale si indaga: che co- sa rimane di tutto ciò? «Ma no, queste sono banalità, sono titoli sui giornali senza importanza, etichette. Anche Atene, anche Glasgow sono state capitali. Che cosa vuol dire? Niente. Firenze capitale della cultura lo è stata realmente nel Rinascimento, all'inizio del Novecento e negli Anni Trenta. No, otto anni fa era un festival». I ragazzi corrono sui motorini nei viali attorno allo stadio e giurano che torneranno sugli spalti. «Eh sì, un regalo ce lo ha fatto la serie B: almeno non si giocherà con la Juventus», esclama Franco, che un ragazzo non lo è più, ma ultra certamente, e sbandiera il suo abbonamento «millesimato»: «Dal 1939 non ho perso una partita». Ma no, sono gli altri, gli intellettuali che se la prendono più calda. Ognuno ha il suo personalissimo responsabile del disastro e c'è un nome che gira e gira e gira, come una palla, ma che pochi pronunciano. Sì, il padre della sconfitta ha un nome inadeguato: Vittorio. Di cognome fa Cecchi Gori, dicono tutti, ma quello lo divide col padre, Mario, e per il vecchio santone del cinema soltanto buone parole, comprensione, solidarietà. In fondo, se le merita, lui. L'ultima creatura di Sergio Staino, disegnatore satirico e regista, è una vignetta curiosa. «La sto disegnando proprio in questo momento. C'è Bobo che quasi piange e dice alla sua compagna: "Voglio che anche nel calcio ci siano le elezioni dirette del presidente e dell'allenatore"». Ma che cosa succede a Firenze? «Succede che si tirano le somme dal punto di vista della gestione culturale della città. Ed è una strana città, questa, che tutti ci invidiano mentre noi siamo i più indifferenti e parlo sia come gruppo dirigente sia come opposizione. Speriamo che questi due fatti, uno grave, l'altro meno, sia chiaro, servano per ripartire. Eppoi non sono soltanto questi i nodi tremendi di Firenze, ce n'è un altro, la scomparsa di Ernesto Balducci». Insomma, che cosa succede a Firenze? Lo scrittore Giorgio Saviane, autore di Eutanasia di un amore, sospira e dice: «Certo il calcio è importante, si riflette nella città». Poi aggiunge: «Firenze non trarrà giova¬ mento per questa retrocessione calcistica. E questo perché il gioco è meraviglioso, anche se la tragedia è più importante, non ci son dubbi. Andare in serie B significa un declassamento e per il tifo forse potrà essere pericoloso, che so, potrà essere differente, diventare più cattivo». Questa è una città che è sempre stata un crocevia del mondo, Saviane lo ripete, ma aggiunge: «E' un momento terribile, soprattutto la bomba è stata una cosa terrificante, io abito a cento metri da dove è scoppiata, è stato uno sconvol- gimento e questo colpire Firenze è una cosa incomprensibile, stupida da parte di chi lo ha fatto. Perfino i tedeschi avevano rispettato i monumenti. Invece questi, i terroristi, quella bomba sotto gli Uffizi, la torre del Pulci, l'Accademia dei Georgofili, tutto distrutto. C'è da provar vergogna, ma la vergogna, i terroristi, non sanno neppure che cosa sia». Allo stadio, a soffrire, c'era anche Marco Masini, ex tamburino della curva Fiesole, cantante ormai affermato. Dice: «Mi è crollato il mondo addosso». E quel che stupisce è che non finga. Ma è poi così grave una squadra retrocessa? Aurelio Bardelli, 45 anni, è il titolare del Caffè Giacosa. Va allo stadio da sempre. Dice che questo fattaccio «parte da lontano, i Pontello, il caso Baggio, l'antipatia nei nostri confronti, sì, è con questa cosa che ci siamo fregati, siam passati da un errore all'altro». Ma la città? «La città è un'altra cosa, Firenze è Firenze, non ha bisogno della Fiorentina, certo se la squadra andasse in Europa sarebbe meglio, per l'immagine, ma questa città non è come Perugia e Vicenza, loro, forse, avevano bisogno di qualcosa che le reclamizzasse, in un certo senso». Fra i fiorentini doc che hanno sofferto, soffrono e, certo, soffriranno per la squadra viola, Indro Montanelli ha un suo posto privilegiato: c'è chi lo ricorda ancora, tifoso rissoso e duro, durante un FiorentinaInter Anni Sessanta. Gli era accanto Enrico Mattei, allora direttore de La Nazione che a metà partita si alzò dopo aver protestato: «Con questo signore non voglio più aver niente a che fare». «Può darsi, non ricordo ma può darsi benissimo», dice Montanelli. E sulla Fiorentina si è fatto intervistare dal suo Giornale che oggi pubblica un Montanelli a favore di corrente. Domanda chiave? Perché la Fiorentina è retrocessa? «Perché è rimasta vittima di se stessa, delle coglionate fatte. A questo bisogna aggiungere la grande scalogna che l'ha colpita ed il comportamento di alcune squadre, come il Milan e la Roma, che nelle ultime giornate è stato addirittura indecente. E ora ci si deve mettere a caccia dello iellatore: ce ne deve essere uno che va snidato e bruciato vivo come Savonarola, in piazza della Signoria». Solidarietà per Mario Cecchi Goii, naturalmente, e silenzio sul rampollo, naturalmente. Ma Montanelli abita a Milano, queste cose può dirle e, forse, si diverte, come Franco Zeffirelli, il regista, che ha casa a Roma e tuona: «Questa cosa della retrocessione servirà a curare un po' dall'orgoglio questa città, insomma la B sarà un po' come un purgatorio». E ancora aleggia il nome del Vittorio-sconfitto. «Io mi sono ritirato dall'ambiente dal mese di gennaio, c'era qualcosa che era stato fatto e mi aveva dato fastidio». Fu quello il momento dell'esonero dell'allenatore Gigi Radice e della presa del potere, una specie di golpe bianco, proprio di Vittorio. I Cecchi Gori sono usciti dallo stadio, l'altra sera, nascosti in un furgone della polizia: avevano suggerito la trovata per comprensive ragioni di. prudenza. Anche se nessuno dimentica che la famiglia, in questa società che sembra un pozzo senza fine, ci ha messo qualcosa come 107 miliardi. Oggi i Cecchi Gori sono a Roma, imbronciati ma decisi a non mollare, garantiscono. Se Firenze non piange, altrove ridono. Ah, il gusto dello sberleffo, così profondo, coin volgente, pieno, appagante. Su un viadotto che attraversa la «bretella» fra la Versilia e Lucca, qualcuno ha steso uno striscione scritto in nero: «Buon viaggio in B». Tutto dedicato ai fiorentini, anche a quelli che avevano lasciato lo stadio per un fine settimana al mare. Allora, gran gioia: pare che ci si diverta così. A Prato, per esempio, gran feudo conteso fra viola e juventini, i simpatizzanti della «Signora» si sono riuniti attorno a tavole imbandite ed hanno solennizzato con champagne a fiumi, sembra. E gran caroselli di auto sui lungarni, quelli meno famosi ma non meno nobili di Pisa. E' proprio vero: felicità è anche veder cadere i rivali. Forse per questo Montanelli ruggisce la sua speranza: «Che pisani e lucchesi abbiano la stessa jella della Fiorentina e finiscano in serie C ». A Lucca e Pisa, naturalmente, fanno gli scongiuri. Vincenzo Tessandori Staino: «Elezioni dirette di presidente e allenatore» Feste e sberleffi dai supporters «rivali» A sinistra e sopra, due momenti degli scontri [sestinij A destra il cantautore fiorentino Marco Masini A sinistra il sindaco socialista della città di Firenze Giorgio Morales eletto primo cittadino nel 1989 A fianco lo scrittore Giorgio Saviane. In alto a sinistra, feriti negli scontri del dopo-partita