«Spagnoli, ho capilo il messaggio» di Mimmo Candito

Lo sconfìtto Aznar si congratula con il rivale per la vittoria «che tutti dobbiamo accettare» Lo sconfìtto Aznar si congratula con il rivale per la vittoria «che tutti dobbiamo accettare» «Spagnoli, ho capilo il messaggio» Gonzalez: il voto mi chiede un cambiamento, l'avrete MADRID DAL NOSTRO INVIATO Approdata con ritardo alla storia dell'Europa contemporanea, per il lungo sonno insulare che le impose un vecchio generale ossessionato dal giudizio di Dio, questa Spagna che domenica ha votato ancora una volta per un governo socialista ha mostrato di sapersi già affacciare, oggi, con orgogliosa autonomia sulla linea più esposta della grave crisi che traversa le società postindustriali, là dove i governi e i sistemi politici del continente stanno ricercando tra forti inquietudini le scelte di un futuro diverso. Qui a Madrid hanno vinto i socialisti, domenica, anche a sorpresa, con 159 seggi di un Parlamento che ne ha 350; e hanno battuto da lontano i conservatori, che restano a 141 seggi. In un'Europa dove l'ondata lunga della restaurazione ha travolto in un paio d'anni tutte le esperienze di un progetto riformista, perfino quelle, consolidate, della lunga tradizione scandinava, l'ultima bandiera del socialismo ha dunque trovato qui, l'altro ieri, un inaspettato bastione; si ricompone il processo della dialettica politica, disturbando la pericolosa solitudine di un manovratore che pareva senza più concorrenti. Ne guadagnarne tutti. Certo, a guadagnarne di più è la stessa Spagna. La sola probabilità di un cambio di governo, con il passaggio del potere ora alla destra, aveva già provocato un irrigidimento della dialettica sociale, preparando tempi di intolleranze all'ombra ancora del fantasma di Franco. E quando, poco prima della mezzanotte dell'altro ieri, un alternarsi folle di scrutini e di proiezioni tirava al massimo l'incertezza del risultato e l'attesa del trionfo sperato, segni ripetuti che qualcuno stava perdendo i nervi viaggiavano fuori e dentro della sede del Partido Popular; è stato allora che, con un gesto di forte valore politico, che gli ha dato forse per la prima volta quella statura di uomo di Stato che sempre finora gli era mancata, Aznar si è presentato in tv e, grigio ma non disfatto, sereno anche se visibilmente segnato, ha detto con voce ferma: «Sehores, il psoe ha avuto più voti e più seggi. Ho già cercato Gonzalez al telefono, per complimentarmi di questa vittoria. Che tutti dob biamo accettare». Quel «tutti» lo ha pronunciato con una netta accentuazione, era l'impegno di un dovere collettivo al rispetto del gioco democratico; l'ombra di Franco si perdeva nella notte. Ma quell'ombra aveva certamente pesato sulle scelte del voto di domenica: una partecipazione quasi record (il 78 per cento, circa 10 punti in più dell'89) ha mostrato che il lungo tamtam di Gonzalez sul pericolo di un ritorno della destra al potere è riuscito a riawicinare al voto molti di quanti si erano detti critici verso la gestione socialista. Il psoe ha aumentato così i suffragi di quasi un milione. Però più che la paura del passato, che comunque c'era, e più che il richiamo a non disperdere il voto, a decidere a favore del voto psoe è stata sicuramente la forza e la figura di Gonzalez, il suo carisma, la credibilità del suo protagonismo alla guida del Paese da più di un decennio. Non ci sono uomini politici, al mondo, soprattutto uomini di appena 50 anni d'età, che possano vantare il successo dell'appoggio popolare per quattro legislature successive; il leader spagnolo ne esce con una dimensione storica di sicuro livello europeo, che finisce per appannare, forse, nel profilo di una individualità forte, di un quasi-Caudillo, il valore politico della vittoria «socialista». Ma le strategie di Gonzalez hanno nella tradizione socialista un riferimento storico, più che la ripetizione di un modello politico o anche di un assunto ideologico; e il «socialfelipismo» del quale lo accusano molti suoi avversari è poi il compendio di questa prassi singolare, dove la concretezza si unisce alle politiche solidali, il decisionismo a uno spiccato senso pragmatico. Il Socialfelipismo poi era anche una delle componenti che più avevano pesato nella crisi di credibilità dell'ultimo governo, marcando il distacco sempre più netto tra un potere che occupava ogni angolo dello Stato e la società che se ne mostrava sempre più insofferente. Gonzalez ha colto, nella notte di domenica, il valore intero del voto che gli era stato dato, e la penalizzazione della perdita della maggioranza assoluta. Si è presentato in tv solo per dire: «Voglio che tutti i cittadini spagnoli sappiano che ho sentito bene il loro messaggio: che loro vogliono il cambio nel cambio. Ne hanno il mio impegno totale». Si chiudeva una pagina lunga undici anni: ma si apriva anche un ciclo storico. Mai la Spagna democratica ha avuto governi di alleanza, e oggi un'alleanza è necessaria per avere la maggioranza delle Cortes; il psoe può scegliere tra una coalizione di governo o un patto parlamentare: alla luce del buon risultato di quasi 160 seggi, è probabile che Gonzalez tenti un governo minoritario (ripetendo l'esperienza che fece anche Suarez), ed è probabile che lo faccia con i nazionalisti catalani e, forse, baschi. In ogni caso, il dovere della coalizione rivitalizza il Parlamento e mette fine all'occupazione felipista dello Stato: la società, la politica, il potere giudiziario, ritrovano forza e ruolo, nella nuova Spagna di domenica 6 giugno. E ci sarà molto da fare. C'è anche il problema della ristrutturazione del partito socialista, a livello politico, ma soprattutto c'è il problema di un patto sociale, per bloccare la tragedia di 2950 disoccupati in più ogni giorno (son già più di 3 milioni). La vittoria socialista ieri ha fatto precipitare la Borsa di Madrid: la destra, domenica, aveva perduto, non ci sono più dubbi. Mimmo Candito I sostenitori festeggiano Gonzalez dopo la vittoria alle elezioni di domenica II premier ha dichiarato di avere «recepito il messaggio» del popolo spagnolo [FOTO REUTER]

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