Diego, la ricetta del «novellismo» di Alberto PapuzziSaverio Vertone

Diego, la ricetta del «novellismo» Diego, la ricetta del «novellismo» smo. E' l'antirampantismo. Detto in dialetto, dallo stesso Novelli, «pissa pi curt». Parlare come parla la gente che ti può votare - «non si possono mescolare le orchidee e i carciofi», a proposito di Castellani che prende voti a sinistra e al centro -, e vestire come negli ambienti popolari ci si aspetta vesta un sindaco comunista: macché casual alla Nicolini, gessati grigi con gilet, sia di giorno sia di sera. Così la gente vede che non ti travesti, che non diventi un altro solo perché sei un politico, assecondando in questo un carattere tipico della vecchia torinesità: il gusto per l'understatement, il fastidio per l'esibizione. «Sì, Novelli è tutto questo - riconosce Bruno Gambarotta, popolare tuttofare televisivo, che ha firmato un appello di intellettuali in favore del sindich rosso -. Esiste una Torino modernista, del Politecnico e del polo tecnologico, Torino come Lione, e così via. Ebbe, Novelli rappresenta il contrario di tutto questo: l'altra città. Sì, proprio quella dei ballatoi, dei proverbi e delle canzoni dialettali. In fondo è vicino a Farassino, il quale ha preso un'altra strada, però hanno un sacco di cose in comune, cominciando dall'avversione per i salotti, che poi magari frequentano». Finisce che le ragioni per cui Novelli è amato sono quasi le stesse per cui è detestato: «Una volta mi piaceva. Mi piaceva anche la sua retorica - confessa il filosofo Gianni Vattimo, che appoggia Castellani -, poi però il suo comunismo si è trasformato in una sorta di lamento diffidente di ogni rinnovamento. Non gli perdono di non essere diventato un grande leader del pds: avremmo potuto avere lui al posto di Occhetto. Invece è rimasto coerente con il passato, affezionato ai suoi schemi ideologico-sentimentali, mi sembra mio cognato che è rimasto sempre monarchico, perché aveva fatto il giuramento al re». Non tutti i sostenitori del «don Bosco laico» condividono queste letture del novellismo. «Le forze che appoggiano Castellani sono in netto declino, quelle che puntano su Novelli sono in prorompente ascesa - osserva lo storico Giovanni De Luna -: dunque i partiti in declino sono il nuovo e quelli in crescita sarebbero il vecchio? E' un bel paradosso. La verità è che in un momento in cui i politici so¬ no delegittimati, Novelli appare un vero leader. Può darsi che lui sia sempre lo stesso, ma tutto è cambiato intorno a lui. Non siamo più a dieci anni fa. La nostalgia non c'entra: Novelli è stato scelto per l'oggi». Cerco il politologo Saverio Vertone, amico di Novelli ai tempi di Nuovasocietà. Non gliele manda a dire. «E' la politica fatta coi proverbi, come Krusciov, può garantire il successo, ma non basta a risolvere i problemi. Poi c'è la combinazione del salesianesimo - cioè la salvezza attraverso le opere, che è la pappa della beneficenza, l'unguento del solidarismo - con l'organizzazione comunista del proletariato torinese: lui è il vedovo del vecchio pei. Ma ciò significa sostituire ai progetti economici e politici l'affettività cattolica. Con una concezione della città come ospedale, come lazzaretto». Ma chi ha seguito la campagna di Novelli giura che neanche una volta ha parlato di «tessuto connettivo» né ha citato il «pericolo della disgregasiùn». Alberto Papuzzi Gambarotta: l'opposto del modernismo Rappresenta la Torino solidale rossa per fede, torinista per tifo Diego Novelli (a destra). Da sinistra, il presentatore Bruno Gambarotta e il polemista Saverio Vertone

Luoghi citati: Lione, Torino