Figlio di sarto pittore da re

Il 700 di Giaquinto a Bari Il 700 di Giaquinto a Bari Figlio di sarto pittore da re il BARI j un bel contrasto fra le dure, austere mura medievali del Castello Svevo I e i balletti dorati e celesti, blu lapislazzulo e rosso rubino di Corrado Giaquinto (1703-1766), pittore per eccellenza dell'«ancien regime»: Giaquinto. Capolavori dalle corti d'Europa si intitola infatti la mostra, a cura delle Soprintendenze della Puglia e di Roma, aperta fino a tutto agosto per poi passare a Palazzo Venezia a Roma. E sarebbe auspicabile un'ultima tappa a Torino. E' in effetti esemplare, nell'Europa della prima metà del '700 invasa e dominata dai decoratori italiani, la vicenda del figlio di un sarto di Molfetta, ventenne a Napoli, nel 1727 a Roma, dove eccellevano Trevisani e Conca e dove nello stesso anno arrivava Boucher da Parigi, chiamato negli Anni 30 da Juvarra alla corte torinese. Infine, nel 1752, fu chiamato a Madrid come miglior rappresentante della «escuela mista», ovvero del meglio della scuola napoletana e di quella romana, ospitato con ogni onore nella Casa del Tesoro dove aveva risieduto il suo predecessore Jacopo Amigoni e nominato direttore dell'Accademia di S. Fernando. Campeggiano, all'inizio della mostra, due grandi tele esemplari dei due volti, sacro e profano, di uno squisito, luminoso pittore di un immobile mondo alla stretta finale, immobile perché è troppo presto per sentire la stretta e inquietarsene. Claudio Strinati, nel saggio introduttivo Charta, lo Giaquinto, «Ritrdel catalogo caratterizza come campione di un'aurea, arcadica «medietas», «dominato dalle regole della saggezza e della convenienza»: dominato, ma anche dominatore, con suprema perizia in luminose dolcezze, ih delicatezze di sentimenti. La Madonna del Rosario, inviata da Roma nella patria Molfetta, come le altre due esposte accanto, la Madonna con il Bambino, L'arcangelo Raffaele e Tobiolo e la faticosa, colossale Assunta datata 1747 con tanto di stemma del committente vescovo Salemi, è un compassato sacro duetto, sfumato e grigiazzurro, fra un S. Domenico assai elegante e una Madonna regale. Ogni succo pittorico è concentrato sul rosso e rosa di un classico Angelo recante sul vassoio d'oro fiori un poco sfatti, degni dei grandi fioranti veneti, lombardi, napoletani dell'epoca. D'altronde, anche nell'altra Madonna col Bambino, il danzante, sontuoso protagonista è l'Arcangelo; e splendido, argenteo pezzo di pittura è la grande tto del Farinello» cernia in braccio a Tobiolo. In questa direzione, di assoluta prevalenza della ragione e del compiacimento pittorico su tutto, è esemplare il fatto che la Madonna della bella, notturna Natività inviata sempre da Roma all'Immacolata di Terlizzi, divenga senza sforzo, con qualche denudamento, qualche ornamento, qualche attributo di pratiche magiche, la Circe o Medea della Pinacoteca comunale di Montefortino, uno dei vertici pittorici di Giaquinto. Il lascito ottocentesco del pittore Fortunato Duranti alla Pinacoteca marchigiana di Montefortino, con la sua ricca serie di bozzetti e di quadri da cavalletto del Giaquinto (vi è anche quello, bellissimo, per l'Immacolata Concezione inviata da Roma al Carmine di Torino nel 1741), è uno dei punti di forza della mostra, assieme ad analoghe opere d'una delle più belle collezioni del '600 e '700 romano, quella di Fabrizio Lemme, e ai bozzetti di opere spagnole inviati dalla Casita del Principe dell'Escoriai. La seconda opera esemplare, sul versante laico e «melodrammatico», è il Ritratto del tenore Carlo Broschi detto Farinello del Civico Museo Musicale di Bologna. Il grande «virtuoso» - con le sue tre ottave di estensione vinse un duello con la tromba -, trionfante dall'Inghilterra alla Spagna, intrinseco del Metastasi, splende nella veste di gran lusso e stivali alti, avvolto nel mantello bianco dell'ordine di Calatrava, di cui reca sul petto la placca, la sinistra appoggiata su un sontuoso clavicembalo barocco. E' forse quello regalatogli dai reali di Spagna, il cui doppio ritratto svelato da putti è alle sue spalle, mentre a destra compare l'autoritratto del pittore. E' un trionfo metastasiano, cioè morbido, equilibrato, della gloria, delle arti, del mecenatismo regale, barocco sul versante dei simboli e della regalità, nobilmente e razionalmente compreso di sé e del proprio ruolo sul versante dei due ritratti d'artista. E' lo stesso tono di Arcadia preziosa, delicatamente variopinta, di momenti e sentimenti anche drammatici smorzati in balletto e idillio, che presiede alle sei Storie di Enea dal Quirinale, approdatevi con i Savoia da una sede torinese non ancora identificata. Esse illustrano al massimo della preziosità l'arte senza drammi ma anche senza turgori del Giaquinto; altrettanto quanto il grande modello della Pinacoteca di Bari per il Trionfo di Giuseppe nel Castello di Aranjuez. Marco Rosei Giaquinto, «Ritratto del Farinello»