La morte felice del televincitore di Gabriele Romagnoli
La morte felice del televincitore Inseguiva un premio da 15 anni, la prima «risposta esatta» in tv gli ha causato un infarto La morte felice del televincitore BREVE la vita febee di Stefano Aluigi. Ha speso 15 dei suoi 70 anni a inseguire un momento di celebrità televisiva. L'ha raggiunto giovedì sera, conquistando la ribalta di un telequiz e un premio di tre milioni. La morte lo ha aspettato lì, in cima al suo trionfo. Se l'è portato via spaccandogli il cuore con un infarto mentre aveva appena finito di cantare, davanti alla moglie e alla platea di RaiDue, la sua canzone preferita di vecchio genovese: «Ma se ghe pensu». Diranno, in molti: «E' l'estrema beffa della vita, che non ti lascia godere nulla». Capiranno, in pochi, che Stefano Aluigi ha trionfato due volte: ha vinto e se ne è andato da vincitore, come i grandi giocatori sognano, come solo i campioni sanno fare. Non era un campione nato, Stefano Aluigi da Rivarolo, provincia di Genova. Ha passato una vita nell'ombra: operaio Italsider e poi pensionato, casa, famiglia, sogni modesti. Il più grande, quello capace di diventare un'ossessione, gli ha attraversato la mente 15 anni fa. Ascoltava un programma radiofonico di Michele Mirabella, «Tra Scilla e Cariddi», e desiderò partecipare, sentire la sua voce diffusa a miboni di persone. Non perse una sola delle trasmissioni condotte da Mirabella, sempre cercando di intervenire e sempre bloccato da quel destino beffardo e sospetto che regge le imperscrutabili sorti dei centralini Rai. Quindici anni sono tanti per inseguire un desiderio. Si dissolvono nel nulla, quando lo si raggiunge. Stefano Aluigi ci è riuscito giovedì scorso, durante il programma «Venti e venti» condotto da Mirabella e Garrani. Dopo due ore di attesa gb hanno comunicato: «Stia pronto per la diretta, sarà tra i concorrenti». Non ha sprecato la sua Grande Occasione. C'era sua mogbe a guardarlo, c'erano i vicini di casa, i conoscenti, gli ex colleghi, c'era tutta Rivarolo a sentirlo mentre, una dopo l'altra, inanellava risposte esatte. Gli chiedevano anche di cantare una canzone. E lui, perfetto nella parte: «Ma se ghe pensu, dedicata a Michele Mirabella». La voce s'incrina, il collegamento sfuma. A Rivarolo, lontano dai fasti della diretta, il neo campione Stefano Aluigi è stroncato dall'emozione. Mentre centinaia di persone muoino di malattie e violenze, lui se ne va, ucciso dalla febeità, accompagnato dall'eco della sua canzone. Non l'ha beffato, il destino. L'ha portato dove voleva arrivare e ce l'ha lasciato per sempre. Avesse continuato a vivere avrebbe magari scoperto che i vicini l'invidiavano, più che ammi¬ rarlo, che il premio sarebbe stato decurtato dalle tasse, avrebbe continuato a inseguire nuovi e improbabili collegamenti tv. Così no. Così si è portato via intatte le sue illusioni reabzzate. Tutti, ne abbiamo. A pochi è concesso coronarle. Quando accade, tutta la vita ci scoppia dentro in un istante, ci porta lontano da noi stessi e dal mondo, in un baleno di gloria dove può essere bello perdersi per sempre. Ci arriviamo urlando come Tardelb dopo il gol decisivo del mondiale di Spagna o sorridendo come Florence Griffith che sentiva già la vittoria nei 200 metri alle Olimpiadi molto prima del traguardo. Che sia per aver vinto un gioco (anche banale come quelli della tv), o per una guerra, quando cogliamo quell'attimo sappiamo che era l'unico per cui valesse la pena di vivere. E di morire. Grande la vita felice di Stefano Aluigi. Gabriele Romagnoli
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