Di Canio fa il missionario di Fabio Vergnano

Il calcio sogna le vacanze, ma il bianconero rinuncia a un po' di relax a scopo umanitario Il calcio sogna le vacanze, ma il bianconero rinuncia a un po' di relax a scopo umanitario Di Canio fa il missionario Porterà aiuti al popolo albanese TORINO. E poi dicono che i calciatori vivono sempre lassù, su una nuvoletta dorata, da dove ogni tanto gettano uno sguardo distratto ai problemi del mondo. Invece gli esempi di giocatori impegnati nel sociale non mancano. Sono pochi, ma agguerriti. Da Malgioglio e Filippo Galli che si occupano dei bimbi handicappati, a Tacconi campione anche nel fare beneficenza. E da oggi entra di diritto nel gotha dei «cuori d'oro» anche Paolo Di Canio. Sì, proprio quel pazzerellone di Di Canio, il ragazzo dallo scherzo facile, dalla battuta pronta, l'eterno bambinone. Con un gruppo di amici di Terni, dal 16 al 23 giugno, Di Canio andrà in Albania in un piccolo paese vicino a Tirana per vivere in prima persona un'esperienza unica e per portare un concreto aiuto a chi soffre. Ricorda Di Canio: «Rimasi colpito da quelle scene di disperazione nel porto di Bari. Immagini allucinanti di fronte alle quali era impossibile restare indifferente. Così ho deciso che anch'io dovevo fare qualcosa, andando in Albania per capire cosa sia la miseria, la lotta quotidiana per la sopravvivenza». Detto e fatto. Di Canio e la moglie sacrificheranno una fetta di vacanze e prenderanno parte a questa piccola spedizione umanitaria, completamente autosufficiente. Infatti il convoglio comprenderà, oltre ad un furgone carico di medicinali, vestiario e generi alimentari, anche tutta l'attrezzatura per vivere, in tende da campo. Chi pensa che quello scelto da Di Canio sia un modo originale per vivere forti emozioni si sbaglia. Nessuna avventura alla Indiana Jones, soltanto la voglia di sentirsi, almeno per una volta, utile. Ma un briciolo di emozione c'è. Ammette: «Non è come andare nella ex Jugoslavia, però mi rendo conto che non sarà rieppure una vacanza. Dopo che noi li abbiamo ricacciati indietro, non so come ci accoglieranno gli albanesi. Adesso sono tranquillo. Magari al momento di salire in nave qualcosa sentirò, però la certezza di fare la cosa giusta cancellerà anche gli ultimi timori». E' la prima volta che Di Canio sceglie la strada dell'impegno sociale. Ne spiega le ragioni: «Non so, forse ho spalancato gli occhi sul mondo, mi sono soffermato a riflettere accorgendomi che vivendo sempre nell'ambiente del calcio si perde il contatto con la realtà. Invece, portare un po' di sollievo a chi soffre, ti fa apprezzare ancora di più quello che hai. Che è già moltissimo». Ai compagni non ha detto ancora nulla. Nello spogliatoio si fantastica di viaggi ai Caraibi e Di Canio quasi non ha voluto turbare con i suoi progetti il clima da ultimo giorno di scuola. Del resto la gran parte dei giocatori è refrattaria a ciò che non è mondano, o comunque calcistico in senso stretto. Spiega ancora Di Canio: «Con i compagni si parla poco dei problemi mondiali. In cinque anni di grande calcio non mi è mai successo. Soltanto quando accade un fatto grosso l'attenzione si sofferma sui titoloni dei giornali. Per noi calciatori l'unica vera sciagura sembra la violenza negli stadi. Ma anche in questo caso nessuno pensa che quei ragazzi si comportano così perché hanno grossi problemi». Si giustifica: «Non è un'accusa agli altri, io non mi permetto di giudicare nessuno, ma sempre più spesso si pensa soltanto al proprio orticello. Del resto, certe emozioni bisogna sentirle dentro. Non ne ho parlato con nessuno perché non cerco pub¬ blicità né consensi. Anzi, mi dà perfino fastidio che si venga a sapere. Adesso mi aspetto anche qualche battuta, ma so che poi tutti capiranno». Così in molti dovranno cambiare idea sul ragazzo di borgata: «Su di me sono state scritte tante cose superficiali. Ci si ferma sempre all'esteriorità. Sono un istintivo in campo, ma fa parte del mio carattere. Dovremmo imparare tutti a conoscere meglio le persone. Io vado in Albania proprio per capire». Ma non basta. Presto Di Caniq, che ha già una figlia di due anni, adotterà un bimbo o una bimba «a distanza», cioè si occuperà della crescita di un neonato in un Paese sottosviluppato e conoscerà il nuovo entrato in famiglia soltanto attraverso una fotografia che riceverà a casa. Ma qui l'esempio viene dai coniugi Galia che hanno già adottato due ragazzini in Eritrea e uno in Etiopia. Fabio Vergnano Di Canio: «Purtroppo nell'ambiente del calcio c'è molto egoismo; ma sono sicuro che la mia scelta è giusta»

Luoghi citati: Albania, Bari, Eritrea, Etiopia, Jugoslavia, Tirana, Torino