Christa Wolf «spia» assolta di Emanuele Novazio

Alla Fiera del libro di Lipsia Alla Fiera del libro di Lipsia Christa Wolf «spia» assolta BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La Fiera «del libro» di Lipsia assolve Christa Wolf per i suoi rapporti con la Stasi, la polizia politica del regime comunista. La presentazione del volume con gli «atti» che la riguardano come «collaboratrice informale» prima, come «osservata» e possibile inquisita poi - mette a tacere quanti avevano accolto le rivelazioni su di lei, nel gennaio scorso, come una bomba ad effetto ritardato ma ancora devastante. La lettura dell'intera documentazione, nota un editoriale della Frankfurter Rundschau, mostra che «le grida isteriche sul caso Wolf non hanno più ragione di esistere». Nel volume (Visione degli atti, specchio deformante e dialogo, Luchterhand Literaturverlag) la scrittice più famosa dell'Est tedesco ha raccolto i documenti degli archivi segreti di Berlino, assieme a lettere e altri materiali sui suoi anni «al di là del Muro». Il risultato è una conferma di quanto da lei stessa anticipato in un articolo per il Berliner Zeitung, sei mesi fa: prima di diventarne vittime, anche la scrittrice e il marito hanno avuto «contatti informali e regolari» con la Stasi. Scriveva allora Christa Wolf: ai tempi del regime poteva capitare a tutti di venire schedati nei registri della polizia segreta come «collaboratore non ufficiale». Bastava avere qualche contatto con dei «collaboratori regolari». Andò così anche a lei e al marito Gerhard, titolare di una casa editrice. Christa Wolf scoprì per caso il proprio nome nei registri della Stasi, l'anno scorso: li aveva consultati perché pensava di trovarci le prove sui pedinamenti ai quali era stata sottoposta dopo la sua rottura col partito, nel 1965. Ha trovato invece il suo nome in codice, «Margarete», e le note sulla sua «attività di collaboratrice», iniziata nel '59 e finita nel '62, quando fu avviata una «sistematica osservazione» di tutte le sue «attività private e pubbliche». Il suo nome in codice, nel frattempo, era stato cambiato in «Dopplerzùngler», pressappoco «lingua biforcuta». Ma anche negli anni della sua «attività segreta», mostrano i documenti pubblicati adesso, la scrittrice e suo marito non provocarono imbarazzi né danni a nessuno. Tutto quel che uscì dalle loro chiacchierate con agenti regolari erano «rapporti di carattere generale privi di valutazioni sui singoli casi», «recensioni letterarie», «indicazioni di progetti dell'Associazione degli scrittori di Berlino», «valutazioni sul profilo intellettuale e sul contesto sociale di colleghi noti». Nient'altro. Nel suo articolo, la scrittrice aveva detto di non aver mai firmato impegni e di non aver ricevuto compensi: chi non le aveva creduto, ha le prove che Christa Wolf diceva il vero. «Cosa rimane allora?», si chiedeva ieri la Rundschau. «Rimane un documento incontestabile contro le attività pubblicistiche dei moralisti. Si può riflettere sulla devozione dell'intelletto nei confronti del potere, ma ci si guardi dallo smontare una scrittrice che ha posto il suo decoro sulla bilancia della riunificazione culturale del Paese». Dopo la Svolta, Christa Wolf era già stata al centro di un'aspra polemica, negli ambienti letterari dell'Est tedesco. Per aver pubblicato soltanto nel 1990, un anno dopo la sua definitiva uscita dal partito, un racconto scritto undici anni prima, Was bleibt, Che cosa resta, in cui descrive i pedinamenti dei quali era stata oggetto. In una sua lettera a Gunter Grass raccolta nel volume si legge: «Ho sempre amato il mio Paese. Che fosse alla fine lo sapevo: perché non riusciva più a,integrare la gente migliore, perché esigeva sempre nuove vittime». Emanuele Novazio

Persone citate: Christa Wolf, Gunter Grass

Luoghi citati: Berlino