In manette lo stato maggiore di Totò Riina

In manette lo stato maggiore di Tato Riina Presi anche 2 nipoti del numero uno di Cosa Nostra. Dietro il blitz, le rivelazioni del pentito Di Maggio In manette lo stato maggiore di Tato Riina Retata nel Corleonese, arrestati 23 fedelissimi del superboss PALERMO dal nostro corrispondente Un'altra mazzata per Totò Runa. I carabinieri hanno concluso con successo 1'«Operazione Corleonesi» e fra ieri notte e l'alba hanno arrestato 23 fedelissimi del boss dei boss catturato il 15 gennaio dopo 23 anni di latitanza. Sono stati ulteriormente scompaginati i clan più vicini alla «famiglia» di Corleone e le manette sono scattate anche ai polsi di due nipoti di Riina, molto affezionati allo zio, Giovanni e Irancesco Grizzafi, accusati dagli inquirenti di aver partecipato direttamente ad alcuni delitti. Sono figli di una sorella del capo di Cosa Nostra in Sicilia. Quando i carabinieri li hanno bloccati, non hanno neppure tentato di resistere. A quel livello, cioè di «alta mafia», è buona regola mantenere sempre un certo contegno: urla e scompostezze non sono per gente importante. Così i due hanno seguito i militari quasi senza batter ciglio. Altri colpi erano stati assestati nei mesi scorsi alle cosche ritenute più vicine a Riina e al centro nevralgico della mafia siciliana, tuttora localizzato nell'entroterra di Palermo, proprio nel comprensorio di Corleone. E in porto erano andate anche alcune inchieste sui gruppi emergenti in città. Stavolta i carabinieri del Ros e dei gruppi 1 e 2 di Palermo hanno agito in collaborazione con quelli di alcune fasce del Trapanese, anzitutto di Alcamo dove due anni fa in una faida che sembrava senza fine furono assassinate 35 persone in cinque mesi. Tre delle vittime furono operai dell'Azienda Regionale delle Foreste che da Alcamo e Castellammare del Golfo si erano spostati a Corleone per assistere a una gara di calcetto. La nuova operazione è stata resa possibile ancora dalle rivelazioni-fiume di Baldassare Di Maggio, detto «Balduccio», l'ex autista di Totò Riina. Di Maggio, pentendosi e rendendo possibile la sospirata cattura di Riina, parlò a lungo dei misfatti compiuti dal clan dei corleonesi e da quelli che gli erano più legati a Piana degli Albanesi, Monreale, Partinico e nello stesso San Giuseppe Jato e nel vicino Sancipirrello. Particolari che avrebbero ottenuto molti riscontri, come ha tenuto ieri a precisare il procuratore della Repubblica. Gian Carlo Caselli. Di Maggio, ad esempio ha rivelato che, quando poco prima delle elezioni del 1990 una potente carica di tritolo distrusse la villa dell'ex sindaco ancora de Elda Pucci, ora eurodeputata del pri, nelle campagne di Piana degli Albanesi a 35 chilometri da Palermo, l'attentato fu ordinato da Bernardo Brusca, influente consigliere della «cupola» e capo indiscusso a San Giuseppe Jato. «Però non so perché Brusca diede l'ordine», ha aggiunto Di Maggio, forse dimenticando per un momento che Elda Pucci per le sue ripetute denunce contro la mafia è da anni nemica dichiarata dei boss. Il giudice per le indagini preliminari Gioacchino Scaduto ha emesso complessivamente 60 ordini di custodia cautelare in carcere nei confronti di altrettanti mafiosi o presunti tali, compreso, oltre ai suoi due nipoti, lo stesso Riina. Gli arrestati sono 23, sedici che erano già in carcere hanno avuto notificato il provvedimento restrittivo, 21 non sono stati rintracciati e molti di loro sono latitanti da anni; c'è poi un sessantunesimo che è ufficialmente in stato di fermo. Gli ordini di custodia cautelare erano stati sollecitati al gip dal procuratore Caselli e dai sostituti Giuseppe Pignatone e Francesco Lo Voi. Le indagini hanno abbracciato nove anni di delitti firmati dalla mafia: dal 1981 al 1989, con 21 omicidi e un totale di 27 vittime. Antonio Ravidà Sono responsabili di nove anni di crimini efferati Sopra l'ex sindaco di Palermo Elda Pucci, a destra Totò Riina