La leggenda dei Fenici crudeli di Sabatino Moscati

Un falso scoop archeologico Un falso scoop archeologico La leggenda dei Fenici crudeli Il UNIVERSITÀ' america/ na di Beirut annunzia: abbiamo scoperto a Tiro, I la più grande città dei Fe—LI nici, una vasta area sacra nella quale si effettuava il macabro rito dell'uccisione dei bambini in offerta alle divinità; nell'area sacra si trovano centinaia di urne con ossa bruciate, stele votive con immagini sacre e, sulle stele, iscrizioni dedicatorie. La notizia viene data in una conferenza stampa. Segue un'esposizione dei reperti alla Banca Nazionale del Libano, infine la pubblicazione scientifica dei reperti. Cosa si può volere di più? La notizia fa il giro del mondo, viene ripresa ampiamente dalla stampa. E a buon motivo: non è tanto e soltanto la scoperta in sé a interessare, quanto i suoi evidenti riflessi sulla conoscenza del mondo antico. Tutti sanno che Cartagine era accusata di quel rito macabro, tutti sanno che recentemente, abbiamo ritenuto di poter smantellare quel rito come un luogo comune della propaganda romana perché le ossa rinvenute appartengono in realtà, almeno nella maggior parte, a feti o a bambini nati morti. Ma ora, alla luce della scoperta americana, tutto sembra cambiare. I Fenici, si sa, sono i progenitori dei Punici, Tiro è la madrepatria di Cartagine. Se il rito esisteva a Tiro, è facile argomentare, certo esisteva anche a Cartagine; e dunque avevano ragione gli antichi storici. Diciamo subito che, da parte di qualche studioso che ha visto i reperti, i dubbi non sono mancati, suscitando l'acceso risentimento degli archeologi (o meglio delle archeologhe, perché si tratta di due studiose) che hanno annunziato il ritrovamento. Ma gli scettici segnalano la singolarità delle raffigurazioni sulle s tele, spesso senza precedenti e difformi tra loro; e segnalano soprattutto l'anomalia delle iscrizioni, i cui segni alfabetici hanno forme attestate in epoche diverse. La questione potrebbe fermarsi qui, perché una prova certa dell'autenticità non si può dare, come non si può dare della falsità. Si noti, tra l'altro, che i materiali scoperti vengono dal mercato clandestino, non da uno scavo regolare; e perciò mancano gli elementi per un giudizio definitivo. Insoddisfatti di una tale conclusione eventuale della polemica aperta, come del dubbio che essa comunque lascerebbe, abbiamo provato a esaminare il ritrovamento sotto due aspetti che, non sappiamo per quale motivo, nessuno ha considerato finora. Il primo è l'analisi delle ossa ritrovate, su cui i dati di scavo offrono alcuni elementi precisi; il secondo è il contenuto delle iscrizioni, perché può esservi in ciò un elemento di giudizio più valido di ogni altro. Esame delle ossa: gli archeologi americani le hanno fatte analizzare in laboratorio, per campioni, a Londra. Ebbene, sembra incredibile ma è vero: coloro stessi che credono nella dichiarata interpretazione della scoperta pubblicano un resoconto delle analisi da cui risulta che non vi è una sola testimonianza di ossa di bambini, che tutti i campioni esaminati sono di adulti! E allora, se non vi sono i bambini, come può esservi la loro uccisione? Della violenza subita, del resto, le ossa non recano alcun segno. Contenuto delle iscrizioni: sono tutti nomi propri, di persone e non di divinità. Ma allora, dove sono le dediche votive? E' un carattere costante delle iscrizioni sulle stele puniche trovate nei presunti luoghi sacrificali la dedica agli dèi (abitualmente Baal Hammon e Tanit) seguita dall'indicazione dell'offerta e da una frase che spiega il motivo di essa, per una grazia da ricevere o una grazia ricevuta. Ebbene, se non ci sono le dediche votive non c'è l'offerta, non c'è il rito, non c'è il sacrificio dei bambini. Ma allora, si chiederà il lettore stupito, quale è la natura dell'area sacra di Tiro, sempre ammesso che il ritrovamento sia autentico? La risposta è di una semplicità sconcertante: si tratta di un cimitero, o necropoli come si preferisce dire per il mondo antico; una necropoli a incinerazione, dove i defunti (fatto normalissimo) venivano bruciati e non inumati. L'area sacrificale, quella che con termine di origine biblica viene chiamata tofet e cioè «luogo di arsione», puramente e semplicemente non esiste. Dinnanzi all'entusiasmo di chi ha annunziato la scoperta, non vorremmo assumere un atteggiamento troppo severo. Ma almeno un punto è bene rilevare: nella loro appassionata ricostruzione, le archeologhe americane narrano che a un certo momento fu uno studente libanese, dopo aver visto alcune proiezioni sulle scoperte a Cartagine e in Sardegna, a esclamare per primo: «C'è un tofet a Tiro!». Ebbene, invece di seguirlo nell'entusiasmo, non potevano indirizzarlo agli autori di quelle scoperte? Noi, almeno, lo avremmo aiutato. Sabatino Moscati

Persone citate: Baal

Luoghi citati: Beirut, Londra, Sardegna