Norimberga II, quali giudici? di Sergio Romano

discussione. I dubbi sui processi contro i nazisti e le nuove assise per i crimini di guerra di oggi discussione. I dubbi sui processi contro i nazisti e le nuove assise per i crimini di guerra di oggi Norimberga II, quali giudici? Ex Jugoslavia: l'unico tribunale è l'Onu ABBIAMO un tribunale internazionale per i crimini di guerra che si commettono ogni giorno da quasi due anni nella vecchia Jugoslavia. Lo ha deciso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nella seduta del 25 maggio, dopo studi giuridici e negoziati diplomatici che si sono protratti per molti mesi. Avremo nuovi processi di Norimberga? Dovremo costruire nuove forche in qualche città neutrale dei Balcani per impiccare i condannati a morte? Dovremo distaccare marines, carabinieri e gendarmeria militare per vigilare, dopo la condanna, affinché un deputato non si sottragga al capestro, come Hermann Goering, con una capsula di cianuro? Dovremo riaprire il carcere di Spandau dove Rudolf Hess, già incapace d'intendere e volere al momento della condanna, dovette vivere più di quarant'anni, prima del suicidio, perché uno dei giudici, l'Urss, gli rifiutò un atto di clemenza? E quali sono i reati per cui condanneremo i criminali serbi? Gli stessi di cui si sono macchiati i francesi in Algeria, gli americani in Vietnam, gli israeliani in Libano, i sovietici a Budapest e in Afghanistan, i cinesi in Tibet, i vietnamiti in Cambogia, gli iracheni in Iran e in Kuwait? Ciascuno darà le proprie risposte, a seconda delle proprie convinzioni religiose, cultura politica, mentalità giuridica. Ma chiunque, nei prossimi mesi, voglia parlare di tribunali internazionali per crimini di guerra farà bene a leggere il grande libro di Telford Taylor, Anatomia dei processi di Norimberga, pubblicato da Rizzoli nella traduzione di Orsola Fenghi. Taylor era colonnello nei servizi segreti dell'esercito americano alla fine della guerra quando Robert H. Jackson, giudice della Corte suprema, gli chiese di unirsi al gruppo di avvocati dell'accusa in vista del grande processo che si sarebbe aperto a Norimberga il 20 novembre 1945 contro 21 imputati fra cui Goering, Hess, Ribbentrop, Doenitz, Franck, Keitel, Schacht, von Schirach, Speer e von Papen. Il processo era nell'aria da un paio d'anni e fu per molti aspetti l'inevitabile conclusione del carattere di crociata antinazista che il conflitto aveva assunto, soprattutto nella sua fase finale. Fu necessario accordarsi sulle leggi e sulle procedure che sarebbero state applicate nel corso del dibattimento. I vincitori tennero quindici sedute a Londra tra il giugno e il luglio del 1945 per redigere un codice che fu definito, con pragmatismo anglosassone, «Carta». Prevalsero le posizioni più radicali e moraleggianti. Fu deciso che il tribunale avrebbe giudicato, accanto ai crimini di guerra, i «reati contro la pace», cioè le «guerre d'aggressione», e che avrebbe contestato agli imputati anche il reato tipicamente anglosassone di «conspiracy» (complotto, congiura, associazione a delinquere). Tutto, o quasi, diventava in tal modo contestabile e punibile, dall'Anschluss con l'Austria nel marzo del 1938 alla guerra contro la Polonia nel settembre del 1939, dall'invasione del Belgio e dell'Olanda nel maggio del 1940 all'operazione Barbarossa nel giugno 1941. E se gli imputati avessero cercato di trincerarsi dietro la disciplina militare (un ordine è un ordine, come dicono i tedeschi) i giudici li avrebbero accusati di «conspiracy». Vi furono senza dubbio momenti nel corso del processo durante i quali la corte e gli avvocati occidentali dovettero provare un certo disagio. Molti sapevano quale trattamento Stalin avesse riservato ai kulaki all'epoca della collettivizzazione e ai propri avversari durante le grandi purghe della seconda metà degli Anni Trenta. Tutti ricordavano che l'Unione Sovietica aveva firmato un patto con la Germania nazista nell'agosto del 1939 e che se n'era servita per prendersi una larga parte del- l'Europa centrorientale, dal Baltico alla Bessarabia. Nessuno ignorava quale sorte fosse stata riservata ai russi e ai croati che gli inglesi avevano consegnato alle forze sovietiche e ai partigiani di Tito nella primavera del 1945. Non era un reato contro la pace la guerra d'aggressione che l'Urss aveva scatenato contro la Finlandia nel novembre del 1939? Non era un crimine di guerra il massacro degli ufficiali polacchi nella foresta di Katyn, di cui i sovietici, a Norimberga, si ostinarono ad accusare i tedeschi, con grande imbarazzo dei loro colleghi occidentali? Vi furono altri motivi d'imbarazzo: il ricordo delle bombe al fosforo con cui «Bomber Harris», maresciallo della Raf, aveva distrutto Dresda negli ultimi otto mesi della guerra, e quello delle bombe atomiche con cui gli americani avevano concluso la guerra in Asia. E quando l'ammiraglio Raeder si difese dall'accusa di «conspiracy» per l'aggressione alla Norvegia sostenendo che gli inglesi si apprestavano a fare altrettanto, l'Ammiragliato britannico rifiutò di fornire la documentazione richiesta. Il processo di Norimberga fu certamente, dall'inizio alla fine, il processo dei vincitori e venne celebrato con le leggi, le regole e le eccezioni che i vincitori decisero d'imporre. Fu anche ingiusto? Dopo essere stato uno degli accusatori di Norimberga, Telford Taylor è costretto ad assumere, verso la fine del suo libro, la parte del difensore. Degli argomenti a cui ricorrere per giustificare il processo uno mi è parso particolarmente valido. I delitti commessi dal regime hitleriano e le aggressioni subite da tanti popoli europei richiedevano una forma di giustizia ordinaria. Occorreva, come ammise un giurista tedesco, «scaricare la tensione tra vincitori e vinti», rimettere a zero, almeno formalmente, la contabilità della storia. L'altra soluzione - lasciare che i singoli vincitori passassero per le armi i gerarchi na2isti dopo un giudizio sommario - sarebbe parsa al tempo stesso iniqua e insufficiente. Norimberga fu quindi un grande rito liberatorio. Sbagliò tuttavia chi credette che il processo avrebbe aperto una nuova fase storica e che ogni membro della comunità internazionale, da allora, avrebbe risposto dei propri atti di fronte a una grande istanza mondiale. Negli anni seguenti ciascuno, nella migliore delle ipotesi, ricominciò a fare giustizia da sé, a casa sua, secondo le proprie regole. Israele processò Eichmann, gli americani processarono William Calley e Ernest Medina per i massacri nel Vietnam, la Francia processò Klaus Barbie. Ricominciarono puntualmente i «reati contro la pace», dall'invasione della Corea del Sud a quella del Kuwait passando per minori «operazioni di polizia» a Grenada e a Panama. Considerato in una prospettiva storica il processo di Norimberga non è una rivoluzione giuridica, ma semplicemente un modo solenne per sistemare i conti della seconda guerra mondiale. Adesso, a quanto pare, si volta pagina. I serbi non saranno processati dai vincitori, ma da un organo indipendente, costituito dalle Nazioni Unite. E' questo, finalmente, l'anno I della giustizia internazionale? Ci crederò quando il tribunale avrà dimostrato di poter processare con eguale imparzialità i vinti e i vincitori, i grandi e i piccoli, i briganti balcanici e le grandi potenze in colletto bianco. Sino ad allora credo che convenga riservare il proprio giudizio. Sergio Romano A sinistra: immagini di un campo di concentramento serbo nell'ex Jugoslavia. Sopra: imputati alla sbarra durante il processo di Norimberga per i crimini nazisti