Piovra Russa Fiori d'arancio con padrino

Documento: un videotape racconta l'incontro segreto dei boss riuniti da un matrimonio alla siciliana Documento: un videotape racconta l'incontro segreto dei boss riuniti da un matrimonio alla siciliana PIOVRA MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Komsomolsk sull'Amur, Estremo Oriente russo, ristorante Diomga, febbraio 1993, festa di nozze per Vitja Turbinka. La scena che ci appare in video è un po' buia, ma l'ambiente si indovina lo stesso. Lunghi tavoli, bottiglie incolonnate, gente vestita a festa che ride, che si parla, bicchieri che si alzano. La sala è quella tipica di un ristorantone sovietico di Stato. Alle pareti polverosi tendaggi viola eccessivamente drappeggiati da cordoni dorati e grandi lampadari di vetro colorato. La telecamera ondeggia e fatica nel passaggio stretto tra un tavolo e l'altro. Facce di donne, quasi tutte grasse, ma giovani; alcune belle, solo il trucco è un po' pesante. Facce di adolescenti, intimiditi per la circostanza, ma orgogliosi di esserci. Facce normali. Il padrino ha una cinquantina d'anni. Naturalmente, è un uomo di «pancia» che al momento del brindisi gli deborda incontenibile dallo stretto gilet di seta grigia. A quell'ora anche la cravatta è saltata da tempo e il grosso collo regge con qualche incertezza un testone coperto da un casco di capelli scuri. I lineamenti del viso sono rotondi e un po' fanciulleschi. La voce - data l'ora, le sigarette e i bicchieri - è roca. E' mezzanotte quando «Dzhem» prende la parola: «Adesso, cari amici, stiamo vivendo il momento più_ solenne, qui a Diomga, la nostra piccola grande Palermo: si sta sposando il nostro caro amico Vitja...». Dice proprio Palermo, Evghenj Vasin, il padrino Dzhem, o come lo chiamano i suoi ragazzi usando un modo di dire contadino, «batja». Siamo a 15 mila chilometri dalla Sicilia, ma i riti, i modi, le gerarchie, persino le facce che ci appaiono dal videotape sembrano le stesse. Al matrimonio di Vitja sono venuti in cinquecento, da tutte le Russie: Caucaso, Siberia, Cecenia, Tatarstan, Uzbekistan. Dzhem ripete «Palermo» cinque o sei volte benedicendo la «confraternita» e esaltando gli immortali legami di «fratellanza». Usa parole forse imparate dalla Piovra, trasmessa sei mesi fa dalla tv, e che potrebbero stare in bocca a Totò Riina, Ma i suoi ragazzi gli rispondono come veri uomini d'onore: «Batja, padre, questa è cosa nostra, non la lasceremo mai, questa è la nostra amicizia, il nostro amore...». Non è un telefilm. I dieci minuti di immagini e di suoni che ci mostra nel suo ufficio di Mosca il giovane capitano Aleksandr Sirotkin del dipartimento per la lotta contro la criminalità organizzata sono un documento autentico. Il videotape è stato girato da uno degli invitati al grande convegno della cupola mafiosa russa durante il matrimonio di Vitja Turbinka. In qualche modo - che il capitano non ci dice - il film è finito nelle mani della milizia. Su quel nastro magnetico ci sono le facce e le intimità famigliari di molti grandi capi della mafia russa. Servirà da archivio, forse a nient'altro: perché oggi, in Russia, la mafia è un potere invincibile. Dzhem, per esempio, padrino di Komsomolsk (315 mila abitanti) detto anche «principe delfa Siberia» e dell'Estremo Oriente, è già così forte nella sua città da aver sconfinato oltre i limiti dell'attività criminale in qualcosa che potrebbe definirsi «controllo sociale»: raduna i giovani, li organizza, dà loro un lavoro. Lì vicino, a Khabarovsk (5Q0 mila abitanti), l'altro padrino Vladimir Petrovic detto «Barboncino», già ora viene chiamato da tutti il «sindaco», anche se si candiderà so- lo tra un anno alle elezioni comunali. Per intanto risponde col tono dell'autorità alle lettere dei cittadini. La Komsomolskaja Pravda ne ha pubblicate due: quella di una vecchietta che gli chiedeva di far qualcosa contro la criminalità, l'altra di un uomo che gli domandava come poteva rendersi utile alla comunità. La milizia s'è risentita per la pubblicazione e pplemicamente ha risposto: «Ma noi che possiamo fare? Sono tre anni che non viene approvata una sola legge contro le orga¬ nizzazioni criminali». E intanto Barboncino (che nella sua vita ha trascorso 18 anni in galera) ha costituito un tribunale per conto suo nel quale esercita giustizia più velocemente e più equamente che nei tribunali di Stato. Dissoltosi nel nulla lo Stato comunista e la sua rete di istituzioni, svanite le organizzazioni sociali, dai pionieri al Komsomol, sulla tabula rasa della società civile ex sovietica è emersa la trama della vecchia criminalità, la massoneria dei «ladri in legge» che anche in tempi staliniani aveva coniato un suo modello di estraneità al sistema e che proprio come la mafia siciliana ha le sue regole di «confraternita». Da queste parti non usa il giuramento pronunciato tenendo in mano il santino della Madonna dell'Annunziata in fiamme, ma anche qui esiste una bibbia non scritta dell'organizzazione. I comandamenti: non lavorare, non riconoscere lo Stato, non avere tra i parenti dipendenti dello Stato, non essere mai stati iscritti al partito. In altre parole essere un'altra cosa, una «cosa nostra». Come a Palermo, molte vecchie regole sono saltate, ma la confraternita resiste. E il capitano Sirotkin ci spiega che la cupola caucasica la mafia vincente - si è appoggiata sulla rete dei «ladri in legge» per estendere il suo dominio in tutta l'ex Urss. Sono dei padrini, dei «capi zona», degli uomini d'onore, di pace e di affari. Secondo l'archivio centrale della milizia, i «ladri» sarebbero 214 in tutta l'ex Urss. Li chiamano il «politburò» del mondo criminale. Sono i rispettati mediatori tra il mondo delle pistole e quello degli affari. Affari pesanti, controllo del territorio, racket, esportazione di materie prime, ovviamente droga. Ma anche gestione ordinaria del passaggio dalla proprietà statale a quella privata. E' cominciato tutto - ci informa il capitano Sirotkin - con la perestrojka, la nascita delle cooperative e le prime imprese private. Adesso non c'è affare che non passi dalla rete dei ladri: si paga per una partita di legname come per una di diamanti, si paga anche ad uscire con la Zhigidì nuova dallo stabilimento di Togliatti sulla strada che porta verso Mosca dove gruppi di «ragazzi» fermano le auto e chiedono il pizzo. I giovani, qui, sono la speranza della vecchia mafia di perpetuarsi in un potere che ormai è già istituzionale. Seguiamo Dzhem nel suo brindisi alla Diomga, mentre cammina benedicente tra i tavoli: «Ecco, questi sono i nostri giovani, molto bravi, gente che ama e rispetta la nostra fratellanza. Sono ragazzi d'oro: quando cresceranno, vedrete». E ancora: «Questo è Seriozha, uno dei nostri migliori ragazzi: per quanto i musorà (significa «spazzatura» ed è un modo di chiamare i miliziani, ndr) abbiano provato ad incastrarlo non ci sono mai riusciti». Dzhem sorride, accarezza le teste, prende1 per mano, sottobraccio, abbraccia le ragazze che ridono: «Questa è Tatiana, la moglie del nostro amico Gherman: bella coppia. Ecco la ragazza più bella, è buio, ma la vedete tutti, no?». E' paterno: «Qui ci sono i rappresentanti della Cecenia... avevamo litigato, ma ora è tutto a posto, tutto va bene nella nostra Diomga, la nostra piccola Palermo». Anzi, Dzhem sembra informato di come vanno le cose in Sicilia, e aggiunge: «Siamo addirittura meglio di Palermo, perché qui a Diomga nessuno tradisce nessuno. Noi siamo la fratellanza e ci fidiamo l'uno dell'altro». E rivolto a tutti: «Cos'è che ci unisce?». Risposta dai tavoli: «L'amicizia». Ancora Dzhem: «Giusto. I giornali ci accusano di allevare una riserva di ladri. Ma non è vero. Qualcuno di noi vi ha mai insegnato a rubare? No, nessu no. Io dico: se sapete rubare, rubate; se sapete picchiare, picchiate. Quello che conta è la nostra amicizia, la fede che se succede qualcosa, tutti si aiutano e si difendono a vicenda. Vi chiedo una sola cosa: se qualcuno di voi inciampa, venga a dirmelo. Nessuno sarà abbandonato. Beviamo alla vostra felicità e alla nostra amicizia». Il brindisi del padrino è finito. Si alza una donna con un vestito azzurro e la voce squillante: «Compagni, sono molto felice perché oggi qui c'è molta gente. Vorrei esprimere tutta la mia gratitudine per quello che ha fatto Evghenj Vasin, voglio bere alla sua salute e all'amicizia che lui ha- organizzato: beviamo per Dzhem». Tutti si alzano in piedi. Cesare Martinetti E' caucasica la mafia vincente. «Siamo meglio che a Palermo, qui nessuno tradisce nessuno» PIOVRA ! Malavita russa e, nella foto grande, un matrimonio nel centro di Mosca

Persone citate: Aleksandr Sirotkin, Cesare Martinetti, Gherman, Sirotkin, Togliatti, Totò Riina, Vladimir Petrovic