Paura nel Palazzo deserto di Augusto Minzolini

Paura nel Palazzo deserto Paura nel Palazzo deserto Martelli: il terrore giova alle Leghe PARLAMENTO SOTTO CHOC QROMA UESTA bomba di Roma non è roba di mafia. E non lo era neanche quella agli Uffizi di Firenze». In una Camera vuota, Claudio Martelli, l'ex-ministro della Giustizia che volle Giovanni Falcone nel suo staff, scuote la testa più di una volta mentre manda all'aria tutte le tesi che vedono dietro alla strategia delle bombe la lunga mano di Cosa Nostra. La voce di Martelli quasi rimbomba nel Transatlantico deserto. A Montecitorio non c'è nessuno in questa giornata insieme storica e tragica: per la prima volta ad un centinaio di metri dai palazzi della politica, infatti, viene tentata una strage. Poco importa se si è trattato di un atto dimostrativo oppure di un attentato abortito. Quel che conta è che questa bomba al centro di Roma nel giorno della festa della Repubblica, è una vera sfida alle istituzioni. E questo Parlamento senz'anima e inerme, mortifica, suscita una bruttissima sensazione. E a nulla vale la scusa che questa settimana il Palazzo non lavora. In altri tempi si sarebbe riempito di botto, sarebbe stato presidiato dagli stessi parlamentari. Già, in altri tempi, prima di Tangentopoli. «Questo deserto è una brutta cosa», ammette lo stesso Martelli, prima di cimentarsi con le tante ipotesi e congetture che si fanno in queste settimane. «Io - spiega ho dei dubbi sulla pista mafiosa. Certo bisogna stare attenti a parlare, anche perché l'altra tesi, quella che vuole le bombe fighe di un disegno di stabilizzazione del vecchio, cioè un tentativo di Andreotti e Craxi di resistere, è figlia solo dell'imbecilUtà. Io dico che bisogna forse guardare all'estero, ai discorsi fatti su un disegno internazionele che punta alla destabilizzazione. Non mi riferisco a Stati stranieri, ma a qualche soggetto che mette insieme il potere finanziario derivante dal narcotraffico a dell'altro. So che polizia e carabinieri ne sono convinti». Martelli ci pensa un attimo e poi scende più nei particolari. «Andrei, ad esempio, a rivedere dice - la storia di quel Ciolini che l'anno scorso parlò di un piano di destabilizzazione contro l'Italia mettendolo in relazione con i traffici d'armi con la Jugoslavia. Vi ricordate? Scotti fece una circolare, Andreotti giudicò la cosa una patacca e neanch'io gli diedi credito, ma alla luce di quello che sta avvenendo ora approfondirei la cosa. In più cercherei di capire a chi giova questa situazione di confusionee, se dovessi dire la mia penserei alle Leghe, anche loro hanno dei collegamenti internazionali». Ipotesi, tesi, congetture. Non c'è nessuno dei rari visitatori di Montecitorio che non dica la sua sull'accaduto. Per non parlare del mare di dichiarazioni che ha inondato le agenzie di stampa non appena la notizia della bomba si è diffusa. C'è di tutto. Il segretario missino Gianfranco Fini parla addirittura di «una finta bomba» per «terrorizzare gli italiani». Leoluca Orlando, invece, teorizza che le bombe servono, di fatto, ad impedire le elezioni perché «i mafiosi e i coretti che hanno un amico in questo Parlamento vogliono continuare ad avere vantaggi e coperture». Achille Occhetto ripropone «la strategia della tensione», condotta da quelle forze «occulte» che non vogliono voltare pagina, e lancia l'idea di «un patto nazionale», «un patto tra le forze politiche per la democrazia dell'alternanza». Martinazzoli, invece, «non vede connessioni» tra la bomba di ieri e le altre delle settimane precedenti. Esattamente l'opposto di quello che pensa l'exministro della Difesa Salvo Andò, che parla di «trama eversiva unitaria e continuata». Insomma, tanti discorsi dove il tentativo di dare una spiegazione, di trovare una tesi convincente, si confonde con le esigenze di campagna elettorale che pone il voto amministrativo di domenica prossima. E in tanta confusione non mancano le polemiche. Il missino Tremaglia chiede le dimissioni del ministro dell'Interno, secondo lui incapace di far fronte alla situazione. Mancino gli risponde ironico, più che mai risentito: «Si mette a segno un attentato e te ne devi andare. Viene sventato un attentato e te ne devi andare lo stesso». E' difficile, però, capire in queste prese di posizioni dettate dalla propaganda e dalla polemica cosa pensino gli mquilini del Palazzo finito nel mirino e, soprattutto, qual è il loro stato d'animo. A sentire, però, le poche discussioni che si svolgono tra i divani del Transatlantico, tutte animate e tutte confuse, si scopre che il sentimento cqmune a tutti è la paura. Paura di tutto. Davanti all'ingresso di Montecitorio, ad esempio, tre deputati socialisti in procinto d'andarsene dal partito - Mauro Del Bue, Mauro Sanguinetti e Mario Raffaeli! -, paventano una situazione «sudamericana». «Queste cose spiega Del Bue - le fa chi vuole un colpo di Stato. Gente che vuole creare confusione per suscitare nella gente una gran voglia di ritorno all'ordine». «Sì - gli fa eco Raffaelli -, alla fine di questa strada possiamo trovare qualcuno con le mostrine. Ed io pongo una domanda: ma siamo sicuri davvero che Falcone e Borsellino li ha uccisi la mafia?». Sanguinetti, invece, sposa la tesi del «complotto del vecchio». «Ragazzi - domanda ai suoi interlocutori - ma come fate a pensare che gente come Andreotti, Craxi e Cossiga se ne va via così, senza tentare di resistere? Chi mette le bombe non vuole le elezioni e vuole una legge elettorale temperata». Discorsi, spesso per aria, che però svelano una grande preoccupazione, che diventa terrore quando ci si rende conto che è difficile vederci chiaro in quello che sta accadendo. E la scena si ripete un po' dappertutto a Montecitorio, in tutti gli angoli del palazzo. Il socialista Carmelo Conte parla di «pista internazionale». Il democristiano Sergio Mattarella torna alla mafia: «E' alle corde spiega - e colpendo sul continente tenta di far diminuire la pressione delle forze dell'ordine sull'isola. Siamo alla tipica tattica militare». Sì, tante disquisizioni, le più diverse. E se da un certo punto di vista ha ragione il pidiessino Petruccioli, quando consiglia di non andare troppo in là in questa disputa, dall'altro è anche vero che è difficile starsene zitti, senza porsi domande, aspettando la prossima bomba, in quel Transatlantico deserto. Augusto Minzolini E Achille Occhetto «Un patto contro la strategia della tensione» Nella foto grande l'auto che conteneva l'esplosivo. Sotto, da sinistra, Martelli e Occhetto

Luoghi citati: Firenze, Italia, Jugoslavia, Roma