« Così è crollato Craxi »

IL FACTOTUM DI BETTINO « Così è crollato Craxi » L'ex segretario: colpa di una donna PERSONAGGIO IL FACTOTUM DI BETTINO "Sir""" MILANO JS prima vista non lo rico^WBmosci. L'uomo ha i cap"eln"pìù5 lunghi, più arruffati e più spruzzati di bianco rispetto ai bei tempi. Dopo un po', però, ti accorgi che quello strano personaggio in polo e pantaloni da lavoro blu, seduto davanti al banco della lista di attesa dell'aeroporto di Fiumicino domenica sera alle 22, non è altri che Cornelio Brandini, per 20 anni segretario ombra di Bettino Craxi. Sempre due passi dietro al presidente, Cornelio. L'unico che forse poteva entrare nella sua camera, in albergo, senza bussare. Più che un segretario un amico intimo, quasi una presenza familiare. Poi uscì di scena, improvvisamente, misteriosamente, alla fine degli Anni Ottanta, quando il «principale» era nel suo massimo fulgore. Ed è difficile resistere, nell'attesa della chiamata del volo, alla curiosità di parlare con lui degli anni che furono e del perché finirono. Lui, il personaggio, sta al gioco, forse perché ha voglia di sfogarsi, forse perché vuole occupare il tempo. E le prime parole che gli escono dalla bocca danno voce ad un orgoglio ferito chissà da quanto tempo. «Guardi che Bettino - dice, fissandoti negli occhi - l'ho lasciato io appena in tempo, ma quando era ancora in auge. Mi ero accorto che qualcosa non andava, non mi piaceva quello che succedeva». Mentre parla dall'espressione del viso trapela un moto di tristezza per un'esperienza finita davvero male e Brandini deve chiedere soccorso al passato, agli albori della sua storia con Craxi, per riprendersi. «Io - racconta - all'inizio ero un giovane anarchico. Ho avuto una borsa di studio e sono andato a vivere l'esperienza delle autogestioni in Jugoslavia, tornando profondamente deluso dal comunismo e dalla dottrina marxista. A Milano ho cominciato a frequentare i circoli socialisti, le manifestazioni del partito. Poi, una mattina, sono andato in Federazione per parlare con il segretario dei giovani socialisti e, invece, ho incontrato Bettino. Lui mi ha spiegato la differenza che c'era tra il psi e il pei. Da quel giorno sono rimasto con lui per quasi trent'anni». Sì, trent'anni. E mentre Brandini li ripercorre con la memoria, sembra felice, sembra che muoia dalla voglia di gridare, «formidabili quegli anni». Ma il presente ha cancellato tutte le pagine buone e nella mente rimangono solo i crucci, le delusioni. Così, saltando d'impeto le cose belle, si parla solo di quelle brutte. «Il rapporto tra me e Bettino ha cominciato a guastarsi - ricorda - mentre lui era a Palazzo Chigi. Una volta discutevamo, mi ascoltava. Poi ha cominciato ad arrabbiarsi e basta. E con il passare del tempo mi sono accorto che io e lui non eravamo d'accordo quasi su niente. Ad esempio, lasciato Palazzo Chigi, ha affidato il ministero degli Esteri interamente nelle mani di De Michelis e dei suoi uomini. Tutta gente legata alla lobby serba, che se n'è infischiata di quello che poteva accadere in quel Paese. E il tempo lo ha dimostrato...». Nell'aeroporto le chiamate dei voli si susseguono, le hostess danno le ultime indicazioni sulla lista d'attesa. Ma Brandini pensa ad altro, è troppo preso dal suo racconto. E ad un tratto i suoi occhi tradiscono un lampo d'odio. Ha sulla punta della lingua un argomento che gli duole, ma non sa se parlarne o no. Alla fine, però, con un filo di voce, cede alla tentazione: «La situazione è peggiorata quando è arrivata quella... Quell'animaletto...». Quella? Quando pronuncia quel nome, Anja Pieroni, solo le labbra si muovono, ma dalla bocca di Brandini non esce nessun suono. «Sapete - spiega, con il tono del maestro di vita - quando si perde la testa a cinquant'anni si diventa bambini. Con lei Bettino ha cominciato a frequentare i salotti del "genero- ne" romano, tutti ambienti che portavano a sfruttare il suo nome. Io non mi ci trovavo e da lì è cominciato il distacco. Nói, gli amici, ci siamo abituati a vederlo solo a pranzo, mentre la sera lo vedeva lei. Alla fine ho lasciato anche il Raphael. Me ne sono andato prima a via del Corso e poi hello studio a via Monti della Farina. E i nostri rapporti si sono diradati. Lo seguivo, di fatto, solo nei viaggi all'estero. L'ultima litigata con lui è avvenuta in aereo, proprio sulla Jugo¬ slavia. Io criticavo la posizione filoserba di De Michelis e lui la difendeva». Finora quello di Brandini è stato un racconto in prima persona, interrotto solo dalle sue pause e dai suoi pensieri. Ma viene anche la voglia di fargli qualche domanda, di mettergli sotto il naso tutte le congetture che si sono fatte sulla sua uscita di scena, come quella che lo voleva cacciato da Craxi, infuriato perché Brandini aveva acquistato in Toscana una casa di campagna troppo lussuosa. «Ma siamo matti! - insorge - Io quella casa l'ho comprata insieme con altri dièci amici e adesso'rischio anche di doverla vendere, visto che dopo la rottura con Craxi sono spariti tutti. La verità è che da un ambiente di quel tipo non te ne puoi andare. Se te ne vai quelli che restano non perdono l'occasione per spararti contro». L'aria si è fatta pesante. Per rompere l'atmosfera bisogna fare una domanda meno impegnativa: ma davvero lei era l'uomo che all'occorrenza faceva anche le iniezioni a Craxi? Lui scoppia a ridere e risponde: «Ma come vi viene in mente una cosa del genere. Io ho paura degli aghi e del sangue». Quel momento di sollievo, però, dura solo un attimo. Aleggia un'aria di tragedia intorno e Brandini, malgrado sia lontano da Craxi ormai da quattro anni, sente di farne parte. Così, senza accorgersene, per l'inerzia a cui conduce la tristezza, il personaggio riprende il suo racconto: «Dopo quell'ultima litigata sull'aereo non l'ho più visto per anni. Solo in quest'ultimo anno, quello del tracollo, ho risentito Bettino. Due volte. Mi ha chiamato lui. Quando l'ho incontrato stava proprio giù, aveva gli occhi lucidi. Ripeteva: "Tutti mi hanno tradito". E' stato qualche mese fa, in una riunione dell'assemblea nazionale. Voleva che votassi il suo documento. Io ho preferito non votare e me ne sono andato». Finora si è parlato di Bettino, ma lui, Brandini, non ha avuto paura di Tangentopoli? «Dieci giorni fa - svela il personaggio - sono andato a parlare con il giudice Colombo. Sa, De Toma è mio cugino, Larini lo conoscevo. La segretaria di Craxi mi dava dei soldi per il Centro internazionale di Brera, Balzamo me ne dava altri, visto che ero e sono ancora un dipendente del partito. Così sono andato dal giudice e ho raccontato quello che dovevo raccontare». Si è fatto tardi. L'altoparlante dell'aeroporto si fa sentire. E' l'ora dell'aereo per Milano. Ma c'è tempo per un'altra domanda: ma lei, Brandini, adesso che fa? «Dopo che ho lasciato Craxi ho avuto il tempo di sposarmi e di avere un figlio che ora ha quattro anni. Lavoro, faccio su e giù tra Roma e Milano, per guadagnarmi da vivere. O, meglio, per pagare i debiti». Augusto Minzolini -nu te Grandini racconta «Dieci giorni fa sono stato dal giudice Colombo. Perché? De Toma è mio cugino Larini un amico Balzamo mi dava soldi Ho detto cosa sapevo» Bettino Craxi. L'ex leader del psi all'uscita dell'Hotel Raphael Cornelio Brandini per venti anni segretario di Craxi

Luoghi citati: Jugoslavia, Milano, Roma, Toscana