In rivolta contro Segni assenteista

Camera, approvato il testo base ma la riforma non decolla Camera, approvato il testo base ma la riforma non decolla In rivolta contro Segni assenteista ROMA. Sull'uscio della commissione Affari costituzionali, ecco apparire Guido Bodrato, uno dei gentlemen di Montecitorio: «Chi non ha idee - grida a sorpresa Bodrato - non può esprimerle...». Pausa. «Devono venire a difenderle, altro che...». Pausa. «Parla tanto di papocchi ed è il primo a produrne in serie!». Onorevole Bodrato - prova ad intromettersi il cronista - ma di chi sta parlando? «Ma lo sapete tutti: parlo del «vate» dei giornali!». Guido Bodrato ce l'ha con Mariotto Segni che, anche ieri, non era in commissione al momento del voto che ha accolto il progetto del democristiano Mattarella come testo-base per la riforma elettorale. E il tiro a segno su Segni è diventato in pochi attimi lo sport preferito da tutti i commissari. Il pidiessino Franco Bassanini: «Segni? Brilla per la sua assenza...». Il leghista Roberto Maroni: «Si direbbe che si stia buttando in braccio al pds». Il socialista Nicola Capria: «Ondivago e anche incomprensibile». Il comunista Lucio Magri ai cronisti: «Ma che ci fate qui? Tanto domani i giornali scriveranno quello che ha detto Segni fuori di qui...». Schiuma la rabbia contro Mariotto l'assenteista, ma ieri la commissione Affari Costituzionali ha prodotto soltanto un piccolo passo avanti e la riforma elettorale resta ancora un oggetto misterioso. Dopo mesi di dibattito inconcludente in Bicamerale e sui giornali, ieri la commissione era chiamata a recepire il testo del democristiano Sergio Mattarella e lo ha fatto con una votazione quasi plebiscitaria: a favore del progetto (che prevede tur- no unico, doppio voto, maggioritario al 70%, proporzionale al 30) de, psi, pannelliani, Lega; astenuti pds, msi, verdi, Rifondazione, pli, pri; contrario soltanto il socialista Labriola. Ma in quel voto apparentemente liberatorio c'è tutto e il contrario di tutto: il pds che continua a proclamarsi a favore del doppio turno, il pri che definisce «disgregante» la proposta Mattarella e c'è lo stesso Mattarella che arriva a dire: «Se in seno alla commissione emergesse un orientamento favorevole al doppio turno ne prenderei atto». In realtà i giochi sono ancora tutti aperti, la «melina» continua e la soluzione dell'enigma corre ancora sull'asse dcSegni-pds. Un asse in continua fibrillazione: l'epicentro delle oscillazioni è la Quercia, dove si agitano - come ormai da mesi - due posizioni. Quella di Occhetto, favorevole ad un'intesa con Segni, ad un sistema bipolare (da favorire còl doppio turno) e dunque ad un cartello elettorale pds-Alleanza democratica; e poi c'è la posizione più prudente di D'Alema, che non vede male il progetto Mattarella, un progetto destinato a favorire la nascita di 5-6 poli solitari, ma con una presenza ancora forte dei partiti, visto che i simboli comparirebbero nella parte sinistra della scheda,, quella che dovrebbe ripartire il 30% proporzionale. E che il progetto Mattarella per il doppio voto piaccia agli amici di D'Alema lo conferma indirettamente Franco Bassanini: «Mi fa piacere - diceva ieri il giurista della Quercia vicino a D'Alema - che il doppio voto piaccia a Pannella: vuol dire che i buoni argomenti penetrano anche nelle teste più dure. Anche se non ancora in quella di Segni, che evidentemente ha la testa più dura di tutti!». E proprio per stroncare la trama cordiale D'AlemaMattarella avviata dalla diplomazia segreta, due giorni fa Segni ha rilanciato, nella sorpresa generale, la proposta del pds: «Meglio il doppio turno della proposta Mattarella che serve a salvare pezzi di partiti». Dunque, Segni ha aperto al pds prima che il pds aprisse alla de. Un ginepraio quasi impenetrabile di mosse e contromosse sul quale spara a zero Marco Pannella: «Segni - dice il leader radicale - dopo aver sostenuto a parole la scelta, per la Camera, di una legge fotocopia rispetto al Senato, non ha fatto nemmeno finta di combattere: dinanzi alla persistente possibilità che il suo obiettivo fosse accettato lo ha abbandonato per passare alle tèsi improvvide dei giornali-partito». Ma la «melina» è destinata a durare poco: il calendario di Montecitorio prevede che entro il 24 giugno la Camera approvi il tanto sospirato testo di riforma elettorale. Fabio Martini Segni, leader di Alleanza democratica

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