«Andate, poi una raffica alle spalle»

Gli italiani scampati al massacro: due dei nostri sono rimasti sulla strada, i corpi erano gelidi Gli italiani scampati al massacro: due dei nostri sono rimasti sulla strada, i corpi erano gelidi «Andate, poi una raffica alle spalle» Un superstite: mi sono salvato gettandomi nel bosco BRESCIA DAL NOSTRO INVIATO «Quando hanno cominciato a sparare ho solo pensato che dovevo correre. Sono saltato via dalla strada e mi sono buttato nei boschi. Sentivo le pallottolle, il cuore / ' -coppiava. Ho visto un fossato, mi sono lanciato. Sono rimasto li fino a notte: niente più rumori, solo il vento, il freddo, la paura. Poi ho cominciato la risalita, sono arrivato sino alla strada che era appena appena bianca nel buio. Ho visto due sagome per terra, le ho toccate, erario ghiacciate. No il terzo corpo non l'ho visto. Sono rientrato nei boschi. Per due giorni e due notti ho camminato senza orientamento. Sapevo solo di essere vivo». La voce di Cristian Penocchio, 29 anni, fotografo, arriva debole dal telefono satellitare: «Mi hanno salvato, sono vivo. Nessuna ferita, molta stanchezza, molto spavento». Sono le 12,30 di ieri e Cristian sta chiamando casa, qui a Brescia, dal campo dell'Unprofor di Gornij Vakuf, insediamento della forze di dissuasione Cee. Elena, la moglie, quasi piange, ripete: «Cristian, stai bene? Stai bene?». E lui: «Sì adesso i problemi sono finiti, almeno per me e Agostino Zanotti». Solo loro due, dei cinque italiani partiti giovedì scorso in missione di pace nel mattatoio della Bosnia, si sono salvati. Gli altri tre pacifisti, Fabio Moreno, 40 anni, imprenditore di Cremona, Sergio Lana, 20 anni, di Gussago (Brescia) e Guido Puletti, 40 anni, giornalista, sono morti fucilati da una banda di irregolari bosniaci, anche se ufficialmente vengono ancora considerati dispersi. E rimarranno tali, nei molti comunicati che in queste ore si intrecciano tra la Farnesina e gli avamposti Cee in Bosnia, fino a che non verranno ritrovati i loro corpi. Cristian li ha .visti cadere i suoi .tre compagni, quando la banda di armati che sabato pomeriggio li ha sequestrati -.epoi-spogliati, insultati," derubati, su una "strada di montagna - ha aperto il fuoco per uccidere. Racconta Cristian": «E' successo a metà strada tra Spalato e Zavidovici». Quando? «Era pomeriggio: la strada saliva àr tornanti, il furgone e la jeep andavano su piano. Eravamo in vista della sella di un passo, a 1300 metri, credo. Intorno solo boschi, niente paesi, niente case». Era tutto tranquillo, non sentivate colpi, nulla che vi mettesse in allarme? «No, eravamo tranquilli. Avevamo i lasciapassare da Spalato e le insegne della Caritas erano bene in vista». Erano partiti quattro ore prima da Spalato e altrettante ne mancavano per Zavidovici, il paese dove li aspettavano 64 profughi - 22 donne, 42 bambini che una ventina di famiglie del bresciano erano pronte ad accogliere per tre mesi. Un viaggio preparato con ostinazione dai pacifisti di qui, gruppi di volontari che si appoggiano alla Caritas, ragazzi che nel nulla delle iniziative ufficiali si inventano piccoli gesti concreti «di solidarietà e di amore». Ci hanno lavorato un mese intero all'operazione Zavidovici. Sono riusciti a coinvolgere una decina di sindaci dei paesi qui intorno, hanno raccolto viveri, medicinali, vestiti. Quattrocento quintali di generi di prima necessità, più i soldi per imbarcare i profughi. Guido Puletti, questo giornalista free lance scappato dall'Argentina dei colonnelli, viaggiatore solitario sui fronti di guerra, motore di questa operazione, era un veterano della ex Jugolslavia. «Ci è stato almeno trenta volta in questo ultimo anno e mezzo», dice Francesco, capelli grigi, occhi rossi, uno dei cinquanta militanti che qui a Brescia stanno cercando di capire quello che è successo. «L'unica cosa che faremo per ricordare i nostri compagni è portare a termine la nostra operazione». Operazione interrotta da una vera e propria azione di guerra «fuori da ogni regola» dicono i comunicati ufficiali, come se le guerre avessero regole. E' ancora Cristian che racconta: «Dalla strada sono sbucati gli armati. Avevano divise bosniache, con loro c'era una donna. Erano sicuramente una banda di irregolari, trenta, forse quaranta, annatissimi. Si sono piazzati in mezzo alla strada». Cosa vi hanno detto? «Ci hanno detto di scendere e di metterci in fila. Noi abbiamo fatto vedere i lasciapassare. Ma loro non li hanno nemmeno guardati, ci hanno spinto via». Poi hanno aperto il furgone? «Sì hanno controllato quello che stavamo trasportando». Vi parlavano in inglese? «No. Ci spingevano e basta e poi ci tenevano sotto il tiro delle armi. Ci hanno fatto segno di spogliarci». Vi hanno rubato tutto? «Tutto. I dieci milioni per l'imbarco dei profughi, i nostri soldi, i documenti, le macchine fotografiche. Anche le catenine d'oro, anche i pantaloni». Poi cosa è successo?: «Sono sali¬ ti sui nostri furgoni, ci hanno rimesso in fila e ci hanno fatto segno di camminare». Voi davanti e loro dietro? «Sì. Ci stavano dietro con i mitra». Avete camminato a lungo? «Un ora, un'ora e mezzo. Senza una direzione precisa. Anzi io avevo l'impressione che volessero farci perdere l'orientamento per poi lasciarci andare». Con loro c'era una donna in divisa? «Sì». E' possibile che fosse la formazione di Hanfija Priajic, detto Paraga, l'ultranazionalista? «E' possibUe, anche se non lo si può dire con sicurezza. Al campo mi hanno detto che quella è la sua zona». Dunque avete camminato... «Non sempre, a un certo punto di hanno fatto salire su un carro trainato da un trattore. Poi di nuovo ci hanno fatto scendere». Così tutto il pomeriggio, fino al tramonto? «Sì, fino al tramonto. Quando è successo il massacro era appena scesa la sera». | Com'è succesfHHH so? «Non lo so... A un certo punto hanno cominciato a parlare tra loro a voce alta, quasi un litigio. Poi ci hanno bloccato ed è a quel punto che ci hanno fatto segno di andare via. Via subito. Abbiamo appena avuto il tempo di voltarci... Ho cominciato a sentire i mitra, prima una scarica a tenra, poi un'altra. Mi sono messo a correre...». Hai visto i tuo compagni cadere? «Sì, tre di noi sono caduti subito e per im ■y i ' ■ ■« attimo ho visto Agostino che tagliava la strada e si buttava in mezzo al bosco. Io ho fattola stessa cosa».- «i <«t. Agostino Zanotti si è salvato così, correndo tra gli alberi e poi fno a un ruscello: «Ci si è rotolato dentro - racconta il padre Elia nella sua casa di Roncadelle, provincia di Brescia -. Ho sentito mio figlio ieri mattina. Mi ha detto che sta bene. Ha i piedi gonfi e feriti, ma sta bene. Ha passato la notte nei boschi. Quelli dell'esercito bosniaco lo hanno trovato all'alba, verso le cinque, e a metà mattina era già al sicuro nel campo della Cee». Per Cristian Penocchio la fuga è stata più lunga, l'attesa estenuante: «Sono rimasto nel fosso per non so quante ore. Poco prima dell'alba sono ritornato sulla strada, ho visto i corpi». Solo due o tutti e tre? «No, solo due, ma non so dire chi fossero». Il terzo potrebbe essere ancora vivo? «Non lo so. Vorrei crederlo...». Sei scappato subito dalla strada? «Sì, non mi fidavo, avevo paura. Sono rientrato nei boschi e ho camminato sempre». Quando ti hanno trovato? «Due giorni dopo, verso sera. Ho visto degli uomini in divisa, ho capito che erano regolari, che stavano cercando me». PinoCorrias «Era una banda di irregolari, c'era una donna Ci hanno preso i vestiti, insultati e derubati» Sotto Fabio Moreno e Agostino-Zanotti, a destra Cristian Penocchio, nella foto più grande Sergio Lana (con la madre) e in basso Guido Puletti | fHHH Siamo stati costretti a marciare per un'ora Alla fine si sono messi a litigare e hanno aperto il fuoco «Era una banda di irregolari, c'era una donna Ci hanno preso i vestiti, insultati e derubati» Sotto Fabio Moreno e Agostino-Zanotti, a destra Cristian Penocchio, nella foto più grande Sergio Lana (con la madre) e in basso Guido Puletti