Sono politici o caldarroste? di Lietta Tornabuoni

Ajello e i volti del potere Ajello e i volti del potere Sono politici o caldarroste? ART1NAZZOLI, «la cara sfinge». Occhetto «è l'Inconoscibile. Non trova terreni di paragone nel panorama politico italiano, da Machiavelli in giù. Non può valersi di precedenti. Come Dio Padre nella Divina Commedia, fa rima soltanto con se stesso. Occhetto finge di non esistere. Il dibattito politico lo scavalca. I drammi del Paese lo ignorano. Nell'attuale congiuntura, egli è, un po' per tutti, il più sicuro punto di non riferimento». I maggiori leader, in crisi d'identità e d'insicurezza nell'anno fatale per la politica dei partiti, sono i primi bersagli di Nello Ajello in Italiani di fine regime (Garzanti), che raccoglie, come in un almanacco della partitocrazia o in un sillabario del «tramonto della prima Repubblica», corsivi, note satiriche, interventi apparsi dai primi mesi del 1992 ai primi di questo 1993 sul quotidiano la Repubblica. Articoli d'occasione, eppure capaci di restituire uno stile di satira diverso e sottile, nel quale spicca la definizione folgorante: Pietro Ingrao, «mausoleo della sinistra incorruttibile»; Giulio Andreotti, «la mammola del secolo» che a ogni accusa pare cadere dalle nuvole; Formigoni, «la prova ontologica dell'inesistenza di Dio»; Cristoforo «il più solerte ectoplasma della politica italiana»; Fabio Fabbri, «con quella sua aria opaca da esattore- • del gas1» j - altissimo; 1 «abbrèrizià'to1 conié una1 caldaiòst3n-^'.e)pquio procelloso e scoppiettante come un rubinetto intasato dal calcare». Insieme con le tragedie di uomini ridicoli, anche la condizione della politica italiana appare a Nello Ajello paradossale: «Forse senza neppure rendercene conto - prodigi della modestia! - noi italiani rischiamo di imprimere alla storia politica d'Europa una svolta (scriviamola, la parola disgustosa) epocale. Quelli che hanno prodotto lo sfascio vengono chiamati a sanarlo..Quelli che hanno dominato un'epoca si prenotano per comandare nella successiva. E' come se Napoleone avesse assunto la presidenza del Congresso di Vienna o se Mussolini, in nome della governabilità, fosse stato messo a capo del Comitato di Liberazione Nazionale. E' come se Catilina pretendesse di pronunziare la Catilinaria». Non stupisce allora di cogliere in queste pagine, al di là del para¬ dosso, allarme e malinconia; ma la satira politica di Ajello resta molto divertente. Si capisce che un periodo in cui la realtà supera l'immaginazione e il grottesco domina la cronaca, metta la satira nei guai: con l'aiuto dei media, ogni leader politico è il primo e miglior parodista di se stesso; la sparizione delle regole priva il satirico di quel termine di confronto senza il quale ogni trasgressione perde di senso; il coinvolgimento dei satirici (coinvolgimento critico, ma sempre coinvolgimento) nel mondo politico che va scomparendo elimina bersagli noti, tic sperimentati, terreni famigliari e nemici storici, popolando il nuovo deserto di personaggi forse precari, senza spessore, dall'identità indefinita; nel terremoto diventa quasi futile additare il tavolino che zoppica, nella virulenza verbale assunta come linguaggio quotidiano della politica L'insolenza satirica diventa impraticabile e a sua volta quasi risibile. Si capisce che le espressioni della satira politica abbiano accentuato adesso il loro carattere triste e torvo, che i satirici possano sentirsi spesso disarmati. Nello Ajello, no. Il suo stile d'ironia eredita lo scetticismo elegante di tanti napoletani come lui; l'intelligenza della critica di costume, lo snobismo supponente, l'interdisciplinarietà e solidità culturale dell'ambiente «liberal» e dei'giornali'«radicai» incuis'è fòrMtóiftbrdeSud, UMòtìdo, tfÈfpfieùo)? il gusto della definizione sardonica, gli «incipit» semplici é assoluti di Mario Melloni, il gran Fortebraccio per tanti anni corsivista quotidiano dell'Unità. Lo stile satirico di Ajello non presenta violenza vociante né turpiloquio né semplificazioni mistificanti, non prevede schieramenti ideologici né alterazioni propagandistiche né cupezza sistematica; si nutre piuttosto di indignazione civile, lucidità, disprezzo, d'un talento che rende le sue analisi illuminanti e insieme divertenti. Italiani di fine regime riscopre una maniera di fare satira che, manifestatasi dopo il fascismo col nascere della Repubblica e con la libertà di parola della democrazia, è forse la più contemporanea, la più adatta ad accompagnare, interpretare e criticare la seconda Repubblica virtuale. Lietta Tornabuoni

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