E la bomba diventa un'attrazione di Renato Rizzo

Gli stranieri si accalcano davanti al cratere degli Uffizi «Con chi è in guerra il vostro Paese?» Un gruppo tedesco «Quii terroristi da noi i naziskin» E la bomba diventa un'attrazione Curiosità e solidarietà, in aumento i turisti IN COMITIVA ALL'ORRORE AFIRENZE bomb? What bomb?: Dirk Eyfrig e i suoi tre giovani amici dicono di arrivare da Monaco di Baviera, ma, più probabilmente, arrivano dall'altro mondo. Ciondolano sotto il sole di Piazza della Signoria, a poche centinaia di metri dal cratere della strage, e sgranano gli occhi davanti a chi gli domanda se sanno dell'attentato: «Quale bomba?». La Firenze che formicola di turisti con magliette di Roma, cappellini di Venezia e sandali di Capri ingoia, ih questi giorni, anche quelli come Dirk e compagni. Ma i quattro ragazzi che cercano l'Italia al fondo di una inesauribile lattina di birra, sono un'isoletta . di ignoranza in un mare di indignazione: tutti gli ospiti stranieri ed italiani che popolano questa Firenze ferita, portano dentro di sé una scintilla d'angoscia. E, anche, in certi casi, una piccola, quasi inconfessabile sensazione di privilegio: «Sono arrivata proprio la notte della bomba - ricorda Anne Migint, studentessa di Copenhaghen -. No, gli Uffizi non ho potuto vederli, purtroppo. Ma ero li davanti la mattina dopo, tra ambulanze, vigili del fuoco, pohzia». E' una scena che, ovviamente meno concitata, ancora si replica a ridosso del museo. E i turisti che s'accalcano all'ingresso di Palazzo Vecchio, prima di entrare nelle sale monumentali, si fermano sulla grande scala e rubano con il teleobiettivo uno scorcio di devastazione. Tajeb Zahed arriva dal Kuwait e, dentro la sua memoria, ha mille istantanee non molto diverse da quelle che, adesso, fa inghiottire alla sua macchina fotografica puntata sull'angolo di via Lambertesca. Dice tutto d'un fiato: «Da noi le bombe le gettavano, in guerra, i nemici. Chi sono i nemici dell'Italia? Che guerra c'è qui?». Difficile risponderle, mister Zahed, e non solo perché è arduo tradurre in inglese parole come «strategia della tensione» o «contro-Stato». Ed è difficile pure rispondere a tutti gli altri turisti che, quando gli domandi che cosa pensino di questo attentato, prima ti chiedono la tua opinione e poi ti dicono: «Che vergogna». Come fa Cesare Carraro, che vive a Neustadt, vicino a Norimberga, da 28 anni, e che quasi chiede scusa ai suoi compagni di viaggio per quanto è successo a Firenze. Allo sbocco di via De' Calzaiuoli nel gruppo di Neustadt si recita a soggetto: «Dai, Cesare, non te la prendere - dice Irmi Brenner anche noi dobbiamo vergognarci per quello che è successo l'altro giorno a Solingen dove i naziskin hanno bruciato vive quelle bambine. Tutto il mondo fa schifo». E' una solidarietà tra amici che diventa solidarietà tra Paesi: quasi una lezione, un po' affranta, di civiltà regalata in mezzo a una piazza italiana, senza la retorica di chi parla dal pulpito. Paura, in quest'Italia degli attentati? Monica Wollmann è di Bunde, una città non lontana da Amburgo, ed è atterrata l'altra sera a Firenze con il marito per un breve tour in Toscana: «Sì, ho un po' di paura - confessa ricordando di aver letto sui giornali tedeschi anche dell'autobomba di via Fauro a Roma -. Però mi consolo pensando che si fa l'abitudine anche alla violenza». Anni fa un settimanale tedesco pubblicò in copertina, come simbolo dell'Italia del terrore, l'immagine d'un piatto con una pistola affondata fra gli spaghetti: Herr Helmut Swartz, di Stoccarda, si stupirebbe se quel giornale la ripubblicasse oggi? «Sì, mi stupirei. Di problemi del genere ne abbiamo anche noi in Germania. E tanti». In base alle stime comunicate ieri, in una conferenza stampa affollata di addetti ai lavori, dall'assessore al Turismo Laura Sturlese, i visitatori di Firenze in queste ore sono 15-20 mila: media stagionale mantenuta nonostante la bomba. Può sembrare strano, ma da questa riunione in cui si respirava un'atmosfera di giustificata emergenza e di allarmato «lo spettacolo deve continuare nonostante tutto», sono emersi dati che parlano di trend di crescita dei flussi turistici: in altre parole, pare che l'esplosione degli Uffizi, invece di far diminuire le presenze dei visitatori, possa addirittura farla aumentare. Potere della solidarietà? O della curiosità? O di entrambi i sentimenti intrecciati? Perché scervellarsi a inda¬ gare? Bisogna dare un segnale che Firenze non si piega alla paura, e allora? E, allora, le agenzie turistiche diffondono 0 tam-tam delle iniziative destinate a non far rimpiangere troppo la chiusura del Museo nelle prossime settimane: mostre di pittura, di strumenti musicali e, cosa assai inconsueta, l'apertura al pubblico di grandi dimore patrizie che hanno sempre gelosamente precluso al turismo le loro sontuose collezioni d'arte e i loro giardini e i segni di una storia secolare. Paul Roy Parker ha 63 anni ed abita a New York. Gli Uffizi, non li vedrà mai e non vedrà neanche i palazzi misteriosi della nobiltà fiorentina perché lascerà la Toscana dopodomani. Il museo più importante del mondo lo ha visto solo sui giornali, sventrato dall'esplosione, accanto agli identikit che disegnano i tratti dei possibili criminali. Ricorda, Parker, «fatte le debite proporzioni, of course, l'attentato alle torri gemelle del Trade Center Building di qualche mese fa». Per dovere di ospitalità non sottolinea che la polizia newyorkese ha impiegato pochi giorni ad arrestare i colpevoli. Renato Rizzo

Persone citate: Anne Migint, Cesare Carraro, Dirk Eyfrig, Herr Helmut Swartz, Irmi Brenner, La Firenze, Laura Sturlese, Monica Wollmann, Paul Roy Parker