Firenze: quattro piste, nessuna verità

Ma un pentito in un esposto racconta: la strage è stata voluta dal cognato di Totò Runa Ma un pentito in un esposto racconta: la strage è stata voluta dal cognato di Totò Runa Firenze: quattro piste, nessuna verità Tra (giudici crescono i dubbi sulla matrice mafiosa FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO Esiste uno schema, nelle più tragiche vicende italiane, che tende a ripetersi come una terribile condanna. Bombe, stragi, dolore, indignazione, rabbia: poi, appena l'onda dell'emozione comincia a ritirarsi, ecco che dal fondo della palude riemerge la rete sfibrata delle supposizioni, pronta ad offrire fra le sue màglie qualche piccolo brandello di alga morta. E' uno schema secondo il quale mai un mistero può essere risolto: suggerisce piuttosto di scomporlo in una serie di piccole, possibili verità ciascuna delle quali, poi, è destinata a scolorire smontando via via l'originario quadro d'assieme. L'ultima, piccola, possibile «verità» sulla strage degli Uffizi emerge esattamente nel momento in cui fra i giudici si fa strada un desolato scetticismo di fondo. Ieri mattina, proprio mentre nella stanza accanto veniva ascoltato un nuovo testimone (per decenza, nessuno questa volta lo definisce «super») il procuratore aggiunto Francesco Fleury spiegava cortese: «Magari questa non doveva essere nemmeno una strage: pochi in realtà sapevano che nell'Accademia dei Georgofili abitava la famiglia dei custodi, a quell'ora il vicolo poteva apparire disabitato. Forse doveva essere solo un attentato contro gli Uffizi: e gli Uffizi, vi sembrano obiettivo tipico di Cosà Nostra?». Crederci è difficile, nonostante il giovanotto con l'aspetto del «clochard» che proprio mentre Fleury motivava il suo scetticismo stava consegnando un esposto al procuratore Vigna. Dal documento si possono ricavare precise convinzioni circa strategie e motivi di una strage che sarebbe dovuta a Leoluca Bagarella. Il cognato di Totò Riina, latitante da anni, dopo aver organizzato le uccisioni di Falcone e Borsellino, dopo aver inutilmente tentato di eliminare Giuseppe Ayala, avrebbe voluto anche l'attentato degli Uffizi. Il giovane, in passato, è stato coinvolto in piccole vicende mafiose, e adesso per dimostrarsi credibile dice di esser stato lui a salvare l'ex giudice di Palermo. La legge impone di indagare anche sulla sua ricostruzione. Si è indagato moltissimo, nelle ultime ore, su ogni possibile elemento, si sta cercando di sondare ogni ipotesi, con impegno costante ma i risultati via via sono sempre più deludenti. Dopo la «pista mafiosa», la «pista bosniaca», la «pista del biondo», quella del basista fiorentino, ecco emergere adesso una «pista ferroviaria» destinata a dipanarsi per qualche giorno ancora. Non poggia su alcun elemento certo, ma solo sull'idea che in teoria il «commando» degli attentatori potrebbe anche aver raggiunto Firenze con un biglietto di seconda classe. Il furgone usato per l'esplosione in effetti è stato rubato a due passi dalla stazione di Santa Maria Novella, in via della Scala. Ma fino a ieri non si sosteneva che qualcuno doveva aver seguito lungamente il suo proprietario? Rieccoci alla famosa scomposizione: potrebbe darsi, si argomenta, che il commando abbia contato su un nucleo locale e una pattuglia giunta all'ultimo momento da fuori. «In verità - spiega ancora il giudice Fleury - quel che ci manca del tutto sono le indicazioni sugli spostamenti del furgone fra il momento in cui è stato rubato e quello dell'esplosione». Quattro ore almeno. Un arco di tempo durante il quale l'auto deve aver raggiunto un luogo (un garage, un cortile, o anche solo un piazzale isolato) dove qualcuno ha caricato esplosivo ed innesco prima dell'ultimo spostamento verso via. Lambertesca. Hanno vagliato centinaia di segnalazioni, giudici e agenti di polizia, i fiorentini stanno collaborando come mai forse era accaduto in passato. Sono centinaia le persone che hanno raccontato di questo o quel dettaglio, che hanno portato in questura foto e filmati amatoriali vari. «Purtroppo - commenta il dottor Fleury - finora tutte le segnalazioni sono sfociate nel nulla». Pareva che una «Tipo» bianca notata a fari spenti nella zona di San Frediano potesse fornire una qualche traccia: è stata ritrovata vuota, l'avevano portata via tre tossicodi¬ pendenti. Sono stati battuti tutti i garage: ma anche qui neanche una traccia. L'ultimo, piccolo aggancio alla speranza resta collegato ad una «Renault» segnalata la sera di mercoledì su uno dei viali di circonvallazione. Era vicina ad un'altra auto. Se la segnalazione è esatta, mostrava una targa che non le sarebbe dovuta appartenere. E «il biondo»? Quel misterioso personaggio visto fuggire, dagli Uffizi dopo l'esplosione? L uomo del quale si è detto che in quanto chiaro di capelli, potrebbe perfino essere un bosniaco? «Col passare delle ore, riteniamo sempre meno probabile che avesse qualcosa a che fare con l'attentato», è la risposta. A Roma, quell'identikit che sembrava ricordare tanto uno degli uomini di via Fauro ai Parioli è stato fatto circolare in ambienti dell'estremismo politico e della delinquenza organizzata. Sembra possa richiamare alla mente un noto estremista «nero» ma, purtroppo, somiglia anche a una ventina di persone diverse. Giuseppe Zaccaria Gli stranieri si accalcano davanti al cratere degli Uffizi «Con chi è in guerra il vostro Paese?» Un gruppo tedesco «Quii terroristi da noi i naziskin» A destra, uno scorcio di piazza della Signoria e del piazzale degli Uffizi, con le transenne. Sotto, un Fiorino identico a quello parcheggiato in via dei Georgofili Sopra la Torre del Pulci, sventrata dall'esplosione di .mercoledì. Qui accanto l'identikit di un attentatore

Luoghi citati: Falcone, Firenze, Palermo, Roma