ADDIO ROMA CORROTTA MI RITIRO A CAPRI

ADDIO ROMA CORROTTA MI RITIRO A CAPRI ADDIO ROMA CORROTTA MI RITIRO A CAPRI Le lettere di Tiberio «scritte» daMaiuri religione tanto da raccogliere intorno a sé gran turba di proseliti, e taumaturgo capace di gran prodigi e di guarigioni soprannaturali: dar la vista ai ciechi, l'udito ai sordi, risuscitare i morti». Questo inizio della lettera si riferisce fedelmente a un fatto attestato dagli antichi storici: Tiberio venne informato da Pilato del processo e della condanna di Gesù. Quanto al pensiero dell'imperatore sull'accaduto, non è certo lontano dal vero ciò che la lettera dice subito dopo: non appare dagli atti che Gesù si sia reso colpevole di alcun delitto verso la maestà dell'imperatore, né che sia venuto meno agli obblighi di un suddito, sicché la condanna sembra obbedire più alla volontà delle autorità religiose di Gerusalemme che alle leggi di Roma. Ma questa è solo una parentesi nella tematica dominante delle lettere: le congiure, le delazioni, i processi, gli assassini! che insanguinavano Roma e in cui l'imperatore veniva fatalmente coinvolto. Così Tiberio si appoggia al prefetto del pretorio Seiano contro gl'intrighi di Agrippina, scrivendogli: «Profittando della mia assenza da Roma e allegando la mia vecchiezza e la mia incapacità di governare senza il tuo aiuto, essa è ormai a capo di un partito forte e numeroso di nomi della nobiltà e della classe dei cavalieri...». Con il sostegno di Seiano, Agrippina viene esiliata e muore lontano da Roma. Ma poi Seiano stesso congiura contro l'imperatore, sicché questi si rivolge al Senato: «Elio Seiano, abusando della mia fiducia e dei poteri affidatigli, ha osato cospirare contro il suo imperatore ritenendosi predestinato egli, creato dal nulla, alla successione di Cesare. Le prove della sua folle ambizione sono davanti a voi documentate irrefragabili... Questa è la mia accusa, padri coscritti. A voi giudicare!». Seiano viene messo a morte, in un'esplosione di furore sanguinario che l'imperatore stesso, da lontano, condanna. Sarebbero andate allo stesso modo le cose, se avesse ripreso il suo posto a Roma? Ecco quanto non ci è dato sapere. Ma l'apice della tragedia si compie quando Apicata, moglie di Seiano, si dà la morte dopo aver rivelato a Tiberio che il figlio di lui Druso era stato avvelenato. Raramente gli intrighi di corte avevano raggiunto aspetti così foschi. Infine, muore lo stesso Tiberio; e questa volta la lettera è del procuratore della villa di Miseno a quello delle ville di Capri. L'imperatore era giunto a Miseno febbricitante, ma aveva voluto comunque riunire la sera gli amici, i notabili e le persone del seguito. «Al termine del convito, liberato bruscamente il braccio dalla mano del medico che tentava di tastargli il polso, sorse in piedi e, dritto con accanto il littore, ricevette, secondo l'uso patriarcale romano, il saluto di commiato di ciascuno dei commensali. Poi, stremato di forze, cadde di schianto». Portato nella sua stanza da letto, spirò all'alba. Chi origliava alla porta sentì il vecchio imperatore chiamare nel delirio il prefetto della flotta, affinché gli allestisse la sua trireme: voleva tornare a Capri e chiamare l'astrologo per consultare Sirio, la stella del destino. Così si chiude la vicenda dell'imperatore; e si chiudono le lettere, tutte sue meno l'ultima, che ne rievocano l'umana sorte. Amedeo Maiuri fu un grande maestro dell'archeologia. Compì scoperte grandiose, da Pompei a Ercolano e alla stessa Capri, di cui mise in luce le ville imperiali. Ma superò la sua disciplina nella straordinaria vena narrativa e poetica con cui fece rivivere le civiltà riscoperte. Le lettere di Tiberio da Capri sono una delle più affascinanti testimonianze di quell'ingegno eccezionale. Sabatino Moscati SOTTO il cielo di Roma c'è la cupola di Michelangelo. Sotto la cupola, il baldacchino di Bernini, e poi la confessione di Maderno, le Grotte vaticane, e la tomba di Pietro fatta costruire dall'imperatore Costantino. Iperprotetta da tanto cospicue stratificazioni della storia, lì c'è una parete: il «muro g». Fu costruito nel III secolo d.C, e poi venne incavato per accogliere le ossa di Pietro. Agli archeologi che nel 1941 lo scoprirono, il muro g si presentò ricoperto di un fitto brulicare di segni e graffiti, un enigma vasto ramificato. Gli esperti incaricati di interrogare quelle arcaiche scritte murali identificarono alcune sigle indubbiamente cristiane, alcuni nomi di persona, alcune invocazioni e nient'altro. Nel 1953, dodici anni dopo la prima scoperta, Margherita Guarducci iniziò a studiare il muro g, a cui avrebbe finito per consacrare una parte eminente della sua lunga carriera di archeologa ed epigrafista. Il libro che pubblica oggi {Misteri dell'alfabeto. Enigmistica degli antichi Cristiani, Rusconi, pp. 106, L. 25.000) riassume per il grande pubblico i risultati di quarant'anni di decifrazioni, polemiche, congetture. Sembra il diario di una solutrice di cruciverba: e l'analogia proviene dalla stessa Guarducci, che parla esplicitamente di enigmistica degli antichi Cristiani. L'ipotesi che sin dai tempi della loro comparsa i graffiti rispondano a una logica crittografica è il nodo centrale nell'argomentazione dell'archeologa, e non è un nodo da poco. Per capire, bisogna pensare a cosa abbiano rappresentato l'alfabeto e il gusto per i misteri a esso legati nelle epoche che hanno preceduto la cristiana. Con rapidi tocchi, il libro di Margherita Guarducci disegna una storia che porta dagli acrostici e le omofonie reperiti negli scavi di Ebla (III millennio a.C.) fino al «quadrato magico» trovato a Pompei (I sec. d.C), passando per giochi geroglifici nell'Egitto farao- porta poi la Guarducci a restringere la datazione al quinquennio 315320. C'è una differenza tra il monogramma di Pietro, che è ancora semplice e quasi lineare, e i graffiti del muro g: è una differenza quantitativa. Un simbolo dovrebbe vivere del suo isolamento, epifania sbocciata nel silenzio: ma il muro g ricorda più una foresta che un deserto. Nei graffiti che lo affollano la parola non ha più una sola dimensione: ogni lettera, e ogni parte di ogni lettera, può essere collegata a un'altra, può fare germogliare caratteri inediti, invadere righe precedenti o successive. Da ideale foglio di scrittura, il muro g è diventato una mappa di connessioni, che rimanda al solo, grande significato della salvezza. E' enigmistica? Sarebbe preferibile riservare una parola come «enigmistica» (nata solo negli ultimi anni dello scorso secolo) a un campo di giochi del tutto spogliato da intenzioni simboliche. Ma indubbiamente la suggestione resta: e indubbiamente l'enigmistica, la nostra enigmistica, è anche il prodotto di tradizioni enigmatiche, simboliche (e cabalistiche) che dai secoli più lontani sono state raccolte e rilanciate nell'età ellenistica, hanno rimbalzato sul Medioevo cristiano, per poi produrre manierismi, giochi di corte e poi di salotto, di società e, infine, di solitudine. E' un percorso stravagante, ma era già segnato: Margherita Guarducci racconta che il monogramma di Pietro è presente non solo nei graffiti vaticani e su varie lapidi sepolcrali romane ma anche, come buon augurio superstizioso, su lucernette, monete e tavole da gioco. E peraltro il «quadrato magico» (SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS), del cui eventuale simbolismo cristiano potremmo discutere all'infinito, dopo il Medioevo veniva usato come formula magica, e poi scritto sui foglietti delle riffe e su pezzi di pane che venivano dati ai cani, come rimedio contro l'idrofobia.