Per l'estate un'orgia di deprimente banalità

r DISCHI Per Vestate un'orgia di deprìmente banalità RRIVA restante e la musica italiana si mette in caccia del successo da spiaggia. L'obiettivo è sempre uguale, ricorrente e nobile come una scappatella di Lady Diana: vendere canzoni come gelati, diventare colonna sonora di amori adolescenziali. Nulla di strano, di illecito, di riprovevole - ci mancherebbe, con tutto ciò che di tremendo e marcio sta emergendo in Italia - ma tutto molto provinciale. Esempio classico è «Un ragazzo souvenir» {Fonit Cetra, 1 Cd, Lp, Me) di Alessandro Canino. Rivelatosi a Sanremo fucina e specchio di questa Italia bottegaia - Canino è rimasto a quella originale, fresca storiella che è stata la canzone «Brutta». Ora, sotto una copertina che espone una sosia più giovane e meno siliconata di Alba Parietti, il simpatico cantante offre nove canzoncine di deprimente banalità, più una vers.one da balera del suo unico successo. Ecco alcuni esempi di testi. «Tu tu tu tu (sarebbe il telefono, ndr) tu sei così/ così vicino e lontano da qui/ e d'ora in poi non sarai più/ che un delicato pensiero a cucù»; «Ogni volta che arriva l'estate/ le ragazze non dormono più/ danno un taglio alle storie sbagliate/ e la gonna la tirano su/ e se d'inverno sembravano sante/ o cariatidi di compagnia/ ora girano senza mutande / è un'estate di fotografia». Concetti precisi di femminilità. Ma, Canino, che donne ha mai conosciuto finora? Poi fa il tenero nazional-popolare con un ritrattino degli inediti «Amori ribaltabili» e cerca di toccare il cuore con un pensiero alla mamma. Povero ragazzo, perché assassinare le sue qualità vocali, fargli cantare tante idiozie? Non se la passa meglio chi copia sui banchi rap dei ghetti americani, e viene fatto passare come rabbioso Robin Hood. Nel disco di Ramazzotti c'è un brano («Non c'è più fantasia») in cui si ironizza sulle vuote mode musicali, dai «riciclatori di blues» ai «santautori». In particolare c'è compassione per la musica e l'armonia «massacrate sotto i colpi di un rap». Come non dargli ragione. Basta prendere il ed «Italian Posse» (Crime Squad) e ci si demoralizza. Molti sono i seguaci di questa mania di aggredire verbalmente e a colpi di ipnotico reggae, brucianti hip hop, ripetitività rap, ma è un esercizio sterile. Pochi si salvano musicalmente (Africa Unite, Mau Mau), visto che maneggiano forme espressive di culture lontane. La musica è solo uno strumento senz'anima, usato per esprimere protesta, da grezzi «picconatori». Un contenitore di rabbie. Senza sbocchi, senza futuro. La situazione non è così buia deprimente. Basta prendere senze I La I e dej un nuovo gruppo, i «Viva» e divertirsi con il loro album omonimo (Virgin, 1 Cd, Lp, Me). E' l'esordio cu cinque ragazzi e tre ragazze (tutti i fiati: sax, trombone e tromba) che trasmettono freschezza ed entusiasmo. Niente di eccezionale, hanno ancora molto da perfezionare, ma già i testi sono raccontini sinceri e autentici di giovani. Le musiche, poi, offrono una bella serie di cromatismi (da idee jazz a brillanti rhythm fiblues), eseguiti con molta precisione e qualche rigidità. Però escono dal quadro delle furberie da discografici, con i soliti impasti elettronici copiati dalle ultime mode. Per un piacevole divertimento meglio andare su nomi collaudati. Ad esempio con Eugenio Finardi, che traccia un bilancio dei suoi primi 40 anni: Con ((Acustica» (Wea, 1 Cd, Lp, Me). Non avendo nessuno che gli offre di entrare nella collana «Unplugged», si è mosso da solo. E riaffronta in 15 canzoni i momenti di una carriera ventennale, gli amori e i modelli musicali. Inizia con la deliziosa «Le donne di Atene», ironica condanna del machismo di Chico Barque de Hollanda (tradotta insieme ad Alberto Camerini). Poi c'è la galleria in cui Finardi compare in veste di adolescente, marito, padre, musicista, politico, caricaturista, sognatore, italiano furbo, uomo sincero. Rende omaggio a Jimi Hendrix («The wind cries Mary»), Harry Belafonte («Jamaica farewell»), Stephen Stili («Four & Twenty»), al blues del Delta («Machine Gun Kelly»). Generoso come sempre, Finardi appare diverso in alcuni episodi, senza quel suo personale stile canoro singhiozzante. Un disco divertente, raffinato. Oppure riprovare con Mario Castelnuovo. Nel suo ultimo «Castelnuovo» (Fonit Cetra, 1 Cd, Lp. Me) ritroviamo il suo ambiente di buona provincia italiana, il suo uso del mondo infantile come metafora, la sua ironia e le sue ballate, la voce calda e profonda (un po' monocorde), il suo stile da menestrello. A volte assale un po' la noia. Nuova e molto bella, moderna, varia l'orchestrazione. «Vinci», «Domenica», «Cercami», «Milano vista da un romano» gli episodi più originali. Curioso, nella decisa accusa, il brano «Sorella mafia». Alessandro Rosa >sa |

Luoghi citati: Africa Unite, Atene, Italia, Jamaica, Milano, Sanremo