Ciampi grandi idee problemi spiccioli

^1 I NOSTRI SOLDI Ciampi, grandi idee problemi spiccioli L signor Aldo Rizzi di Chivasso (Torino) ricorda le parole con cui Ciampi, neU'ifiustrare il suo programma al Parlamento, ricordava «essere principio irrinunciabile che la natura sovrana del debitore Stato costituisce garanzia per il creditore, italiano o estero, e non motivo di arbitrio od occasione di spoliazione». Il passo si riferiva al debito pubblico e ai titoli di Stato con i quali il debito si è in gran parte trasferito, sotto forma di credito privato, presso i sottoscrittori. Dopo aver escluso che si potrebbero pareggiare stabilmente i conti dello Stato «con qualsivoglia misura forzosa», il presidente del Consiglio aggiungeva: «Ma con quale credibilità ci si potrebbe rivolgere ai risparmiatori, dopo averli puniti per la fiducia accordata al Tesoro? Ogni porta si chiuderebbe, il nome dell'Italia sarebbe ripudiato, i tassi d'interesse, lungi dal diminuire, salirebbero a livelli elevatissimi». Il lettore, a questo punto, «per un chiarimento d'interesse generale», mi chiede: «Come si concilia, se non ho capito male, con queste parole, l'istituzione per l'anno 1992 di un'imposta straordinaria sull'ammontare dei depositi bancari e postali e presso istituti e sezioni per il credito a medio termine..., tenuti ad operare una ritenuta del 6 per mille commisurata all'ammontare risultante dalle scritture contabili al 9 luglio '92?». Sorvolo, ovviamente, sulla vena d'ironia che scorre abbastanza palesemente nella peraltro garbatissima lettera del signor Rizzi e mi permetto di non trovare «mconciliabili» le parole di Ciampi con quell'imposta straordinaria del 1992, per almeno due buoni motivi. Il primo, del tutto lapalissiano, è che il decreto legge n. 133, convertito nella legge n. 359 dell'8 agosto '92, è anteriore di quasi un anno alle dichiarazioni programmatiche fatte da Ciampi al Parlamento, il 6 maggio '93, e che, quindi, non avevano alcun obbligo di essere «conciliabili» con ciò che era stato fatto in passato. Secondo motivo, più di sostanza del primo, è che quel prelievo del 6 per mille (pari allo 0,6%), non è stata una «spoliazione», e neppure una «misura forzosa», quale potrebb'essere un provvedimento che, congelando per un tempo indeterminato il risparmio, fiduciosamente affidato al Tesoro, costituirebbe, come lo stesso Ciampi lascia intendere, un vero e proprio «arbitrio», per il quale «il nome dell'Italia sarebbe ripudiato». E, al di là di ogni giudizio morale e di ogni decisione del «mercato», con queste parole il presidente del Consiglio ricorda i vincoli internazionali, dei quali oggi il nostro Paese deve tener conto. Detto questo, però, occorre ammettere che non tutti i primi passi del nuovo governo possono essere ritenuti «conciliabili» con le sue linee programmatiche, tra le quali c'è anche la vo1 lontà, come ha detto Ciampi, «di I accrescere l'equità fiscale tra le persone fisiche e le imprese», nonché di «combattere ogni degenerazione della spesa pubblica che, spesso, è pubblica solo per gli oneri, ma privata per i fini che soddisfa». Parlo, è chiaro, dell'obbligo per gli istituti di previdenza a gestione autonoma, almeno finora (dagli avvocati ai dirigenti d'azienda, dai notai ai giornalisti, e via elencando), di versare in un conto di Tesoreria il 15% delle risorse non impegnate nella gestione normale (in altre parole, disponibili per investimenti a mediolungo termine), nonché dell'imposizione fiscale del 27% per le collaborazioni, più o meno regolari, da parte di chi non sia già inquadrato in alcun sistema pensionistico. Due provvedimenti molto discutibili e molto discussi, perché non convincono nessuno. Niente a che fare, sarebbe inutile dirlo, con quell'altro «impegno di grande lena che travalica l'orizzonte temporale di vita di questo governo» (anche queste sono parole di Ciampi) e cioè: «La lotta all'evasione fiscale, un capitolo amaro per non pochi italiani, che richiede in primo luogo non solo un potenziamento rapido, ma anche una vera e propria rifondazione dell' amministrazione tributaria, alla quale, è intenzione dell'attuale governo, dare gli uomini, il sostegno e anche il rispetto che essa da tempo richiede». Una «rifondazione» richiesta, almeno, dal tempo in cui l'allora ministro delle Finanze, Bruno Visentim, nel 1975, presentò il suo «Libro Bianco» in cui affermava che «il ministero delle Finanze costituisce imo dei più importanti e più difficili complessi organizzativi tra quanti operano in un Paese moderno». Visentini aggiungeva che «affrontando la riforma tributaria occorre avere la consapevolezza che non soltanto si tratta di un problema legislativo e politico, ma anche di rifare, pressoché integralmente, la struttura e l'organizzazione amministrativa». E' interessante constatare come i propositi di un primo ministro, ex grande banchiere, si «conciliano», diciotto anni dopo, con le indicazioni di un ministro delle Finanze, grande esperto di problemi fiscali. Abbiamo, finalmente, un governo di «supertecnici» che può traghettarci dalle sabbie mobili della politica alle sponde solide di una finanza pubblica «equilibrata». Sarebbe una tragica delusione se, anziché preoccuparsi del «severo giudizio del mercato e dell'attenta valutazione della comunità internazionale», il nuovo governo si perdesse nel labirinto degli accomodamenti partitici e dei tamponamenti fiscali Mario Salvatorelli olii |

Persone citate: Aldo Rizzi, Bruno Visentim, Ciampi, Mario Salvatorelli, Visentini

Luoghi citati: Chivasso, Italia, Torino