Processi e faccia a faccia urla e campane Uscirne non è facile ma qualcuno ci sta pensando di Stefania Miretti

Griffith, malore da stress Processi e faccia a faccia, urla e campane. Uscirne non è facile, ma qualcuno ci sta pensando Processi e faccia a faccia, urla e campane. Uscirne non è f USCIRE da Tangentopoli. Anche la televisione dovrà provarci, prima o dopo. Ma venirne fuori, al termine di un'annata di processi e campane, piazze e faccia a faccia, non è facile. Perché è chiaro che il genere «memorie del politico inquisito», ancora in voga per l'estate '93 nonostante una lieve flessione Auditel, non potrà piacere in eterno; ma è anche possibile che la stagione appena finita abbia segnato un punto di non ritorno. Persino sul fronte, per così dire, del puro svago, da troppi anni la tv pasticcia con soddisfazione tra lacrime e cadaveri perché qualcuno possa pensare di voltar pagina a cuor leggero. Eppure: la televisione può contribuire a ricostruire l'Italia? O, più modestamente: cosa trasmettere, di nuovo per il pubblico, di soddisfacente per lo sponsor, nella stagione che viene? Persino Pippo Baudo, questa volta, non lo sa. Pareva si fosse musso il cuore in pace: «Dieci milióni di telespettatori, ormai, li fa il giudice Di Pietro», sospirava qualche mese fa. Ora è di nuovo al lavoro, ma, dice, «al pensiero di come far sorridere gli italiani, oggi, mi tremano i polsi». Sta lavorando «per esclusione», scartando a priori, confessa, tutto ciò che ha fatto prima, durante la sua prima repubblica televisiva: «Nulla di ciò che andava bene prima può essere riproposto oggi. Chiunque si rende conto che un programma come "Luna di miele" è lontano mille miglia dal Paese reale, e personalmente vorrei conoscere ad uno ad uno gli spettatori della Corrida. Ma non si può vivere eternamente in conflitto». Televisione della ricostruzione? «Sì, bisogna assolutamente pensarci, se la tv vuole assolvere al suo compito di rappresentazione del sentimento comune», dice Giorgio Gori, giovane direttore di Canale 5, secondo cui il cambiamento di rotta sarebbe già iniziato, ed evidente in alcune trasmissioni, «per esempio il Maurizio Costanzo Show». «Stiamo lavorando», assicura Gori. Un po' con le idee chiare, un po' al buio. «Anch'io, come Baudo, sono colpito da come alcune formule d'intrattenimento siano improvvisamente invecchiate. Fino a pochi mesi avrei scommesso sul varietà: ora mi pare improvvisamente finito, e finto di fronte alla voglia di verità espressa dalla gente». Il fatto è, nota Baudo, che la ijente non ha solo voglia di verità, ma anche «di un buco della serratura attraverso cui guardare». E al ritorno del video-ottimismo, il conduttore ci crede fino a un certo punto: «Il premio della | bontà va bene per la notte di Natale. Bisogna invece trovare idee giornalisticamente forti». Vuol fare anche lei il talk-show d'attualità politica? «No. Trasmissioni come "Il rosso e il nero", o il "Costanzo Show", hanno svolto una funzione importantissima. Ma un'immagine mi ha profondamente colpito: Santoro e Costanzo che entrano nello studio televisivo scortati dalla polizia. Quell'immagine ha rappresentato l'incoronazione di un ge- nere, il momento massimo dell'impatto emotivo. Più in là di così, mi pare, è difficile andare». Difficile anche tornare indietro, però. Al di là delle buone intenzioni, Gori ammette che «la distruzione è un atto che più facilmente si esprime coi toni che la tv premia. Se non individuiamo i modi, i personaggi e i linguaggi propri della ricostruzione, rischiamo di fallire. Può darsi, per esempio, che i conduttori che han saputo assecondare bene la voglia di cambiamento non funzionino più nel momento in cui si tratterà di ricostruire». C'è poi il rischio, a peccare in ottimismo, di vedersi smentiti dagli eventi. Lo pensa Angelo Guglielmi, direttore di Raitre: «La tv uscirà da Tangentopoli», dice, «quando Tangentopoli sarà esaurita: e non mi pare, purtroppo, che quel momento sia vicino». Lui si regola così: «Per ora continuiamo a tenerci strettissimi a ciò che via via accade. Tutto questo è sicuramente il motore per delle novità: ma, al momento, non le conosciamo». E, intanto, la nuova trasmissione di Raitre, al via a fine giugno, sarà ancora un processo ai politici, curato e condotto da Corrado Augias. No, Guglielmi naturalmente non crede che la gente muoia dalla voglia di rivedere Andreotti o De Michelis in tv. Ma ciò che farà Augias, assicura, è ancora estremamente attuale: «Chiedere conto ad alcuni illustri protagonisti dell'ultimo ventennio di ciò che han fatto». Poi, «bisognerà portare in tv le facce nuove della politica. Ma, tranne alcune eccezioni, dove sono?». Ottimista ante litteram, alla tv della ricostruzione ci crede Paolo Guzzanti. La sua trasmissione dedicata «all'Italia che funziona» (titolo emblematico della difficoltà della causa: «L'avvocato del diavolo») avrebbe dovuto partire qualche settimana fa su Italia 1. E' stata rimandata a settembre. «Io, comunque, sono convinto che sia l'idea giusta, credo che si debba andare in una direzione calvinista ed europea, che sia importante rendere evidente ciò che funziona, e quanti, pure in quest'Italia dissestata, hanno saputo inventare qualcosa nel campo del fare». E i tempi, Guzzanti, son maturi? «Forse no. Oggi in tv prevale la logica del "teniamoci tutti uniti", anche se non è chiaro per andare dove. Ma qualcuno dovrà ben iniziare a nuotare controcorrente». Stefania Miretti nere, il momento massimo dell'impatto emotivo. Più in là di così, mi pare, è difficile andare». Difficile anche tornare indieRai, i nomi della Riforma

Luoghi citati: Italia, Tangentopoli