Uno xenofobo in casa Churchill di Fabio Galvano
Uno xenofobo in casa Churchill Uno xenofobo in casa Churchill 7/ nipote: restituiamo l'Inghilterra agli inglesi LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Manteniamo l'Inghilterra inglese». Come 25 anni fa, quando Enoch Powell denunciò gli eccessi dell'immigrazione e vaticinò «fiumi di sangue», l'Inghilterra è scossa da una violenta polemica che tocca il delicato tasto dei rapporti razziali. Al centro, questa volta, è il deputato conservatore Winston Churchill, nipote del grande statista. «Dobbiamo arrestare il continuo flusso di immigranti, soprattutto dal subcontinente indiano», egli ha detto in un discorso ai conservatori di Bolton: «La popolazione di molte nostre città del Nord è per oltre il 50 per cento d'immigrati. Bisogna dire basta, con urgenza, se si vuole mantenere un tipo di vita all'in\glese». Apriti cielo. Da ogni parte gli sono caduti addosso fulmini di condanna. «I suoi commenti sono ai limi¬ ti della follia», ha osservato Keith Vaz, deputato laburista di origine indiana: «La sua non è altro che vuota retorica alla Powell, dimostratasi del tutto sbagliata. In ogni caso non c'è nessuna città nel Nord dell'Inghilterra in cui la maggioranza della popolazione sia costituita da immigrati o figli d'immigrati». Ma al suo invito ad intervenire per denunciare le parole di Churchill, il primo ministro John Major ha preferito che fosse il ministro degli Interni Michael Howard, appena nominato in quella carica nel rimpasto di governo avvenuto due giorni fa, a prendere le distanze. «E' una tempesta in un bicchier d'acqua», ha detto Howard: «Finché manterremo uno stretto controllo sull'immigrazione, avremo nei rapporti interrazziali un primato di cui siamo giustamente orgogliosi». Ma pur dicendo di «condannare ogni intervento che possa danneggiare quei rapporti», Ho¬ ward non ha censurato esplicitamente Churchill. La polemica ha imperversato per tutta la giornata, alimentata anche dai tragici fatti di Solingen. Churchill è tornato alla carica, precisando di essere stato male interpretato. Ma poi ha insistito sulla storia del 50 poer cento, citando a esempio del dominio asiatico le città di Leeds e Bradford. Errore, lo hanno subito corretto: le statistiche ufficiali, basate sul censimento del 1991, precisano che la città con la maggior percentuale (17 per cento) di minoranze etniche è Londra, che soltanto il 6 per cento della popolazione è di origine non britannica. «Se non ci credete, venite a vedere», ha ribattuto lui. Ma la condanna è stata quasi generale. Un discorso destabilizzante, si è detto. «Niente affatto», ha replicato Churchill: «La cosa più preoccupante è che qualsiasi riferimento anche indiretto alla questione dell'immi¬ grazione provochi tante critiche. Anche se, in verità, le mie osservazioni erano rivolte soprattutto alla necessità di affrontare la delinquenza e la frode nel settore previdenziale». Secondo le statistiche più aggiornate, sono stati 50.900 gli immigrati nel 1992: soltanto 13.600 - il 27 per cento del totale - provenivano dal subcontinente indiano, mentre il 20 per cento venivano dal resto dell'Asia, il 17 dall'Africa, il 14 dalle Americhe, l'8 dall'Europa, il 4 dall'Australia. E' un livello inferiore di 2300 unità all'anno precedente, e poco più della metà rispetto ai flussi degli Anni Settanta (82 mila nel 1975). Si tratta, per lo più, di famigliari di immigrati che già risiedono in Inghilterra; ma è proprio l'afflusso delle famiglie, che sovente non si integrano con le popolazioni locali, a creare le maggiori preoccupazioni. Fabio Galvano
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