«Quelle bimbe devono farci piangere più di tutti i manoscritti perduti» di Daniela DanieleSergio Quinzio

«Quelle bimbe devono fard piangere più di tutti i manoscritti perduti» «Quelle bimbe devono fard piangere più di tutti i manoscritti perduti» ■ .......... ':v:::;;:;:;;::::::>:':;:;:::::;:::::::: I VALORI PER CUI SOFFRIRE IL mondo piange gli Uffizi. E due famiglie sgomente chiedono al mondo di starsene fuori, sul sagrato, mentre in chiesa si celebra il rito funebre. Ma sono l'irreparabile perdita di antichi manoscritti, i danni all'opera del Buontalenti e ai dipinti a riempire le prime pagine, soprattuto della stampa estera; il sangue versato è doloroso fatto di cronaca, uno dei tanti, cui si dedica meno spazio. Una frase che pronunciò Giovanni Testori - citata ora da più voci, indignate per la priorità nel dolore concessa all'arte - apre il dibattito: «La cappella Sistina non vale il pianto di un bambino». Chiamiamo alla riflessione scrittori e critici, per cercare di capire verso quale vetta s'innalzi la nostra scala di valori. Risponde per primo Sergio Quinzio: «Sì, anch'io ho notato che i cinque morti sono, per così dire, passati in secondo piano e la cosa, confesso, mi ha fatto male». Ma è il ritmo delle notizie che colpisce il nostro cervello, secondo il teologo, che finisce per schiacciare tutto il resto. «E gli Uffizi - commenta amaro - fanno notizia. Sono patrimonio mondiale. Le vittime, invece, purtroppo non sono diverse da quelle della Jugoslavia. La gente, bisogna riconoscerlo e lo si nota da certe reazioni, è ormai saturata dal pensiero della morte». La frase di Testori è giudicata «un po' troppo sentimentale» da Giorgio Saviane, che osserva: «Non so se distruggerei la cappella Sistina per il pianto di un bambino... Senza dubbio l'affermazione è un po' forte. Certo, a Firenze s'è trattato di ben altro che un pianto. Ed è anche vero che gli Uffizi appartengono a tutti. Sono un simbolo, a maggior ragione per gli stranieri che ne hanno conoscenza spesso soltanto dalle pubblicazioni, il mito cui è stato inferto un durissimo colpo. Comprendo appieno la co¬ sternazione del mondo. Certo, noi, qui a Firenze, ci sentiamo senza dubbio più vicini alle nostre vittime». Si dispera chi soffre per un libro antico andato perduto «di più o di meno» di chi non si dà pace per quei due corpicini straziati e per gli altri martiri? «Chi cerca di contrapporre due livelli che non sono tra di loro contraddittori, perché appartengono a realtà diverse sostiene Edoardo Sanguineti -, commette un errore». Siamo di fronte, insomma, a due tipi di valori che non possono essere messi in alternativa. Sanguineti continua: «Il mondo è una tragedia costan¬ te: morte e distruzione ovunque. La Terra è piena di persone che muoiono tragicamente. Da questo nasce una "differenza di evidenza". E i giornali non possono far altro che seguire la regola del "quello fa più notizia"». Quanto, a ripensarci, è stato detto e scritto, durante la guerra del Golfo, intorno ai favolosi tesori andati perduti sotto i bombardamenti nella mitica Bagdad? E quante parole, invece, sono state spese per la popolazione inerme che, forse, non aveva neppure capito perché piovesse morte dal cielo? «Si potrebbero fare altri esempi - propone il critico Ruggero Quintavalle -: pensiamo ai giudici uccisi. Vi pare che le loro vite, nella costernazione generale, siano messe sullo stesso piano di quelle degli agenti di scorta, morti allo stesso modo? E' antipatico rimarcarlo, lo so, forse crudele, ma guardiamoci dentro fino in fondo: spesso quei ragazzi sono citati quasi "per dovere"». Inoltre, sottolinea Quintavalle, «l'attentato di Firenze non cercava la strage (si sarebbe scelto un altro obiettivo), ma voleva ledere la dignità stessa dell'uomo, la sua memoria del passato. L'intenzione era il sommo vilipendio». E l'esplosivo ha portato la guerra in un luogo di pace: un museo è l'utopia in cui non esistono confini, né differenze di fede, di razza. E' davvero stato colpito un simbolo. Ma quei morti non possono essere considerati soltanto un «di più». Marcello Marchesi, nel suo «Diario futile di un signore di mezza età», scrive: «Un caso pietoso commuove, due anche, tre deprimono, dieci amareggiano, cento scocciano, mille rallegrano gli scampati». Se davvero è così, sarebbe bene rispondere con Eschilo: «Bisogna sputare e pulirsi la bocca». Daniela Daniele Quinzio: la gente è stufa di morte Sanguineti: il museo fa più notizia Il dolore per un quadro ,, '■ danneggiato non può essere paragonato a quello per le vittime. A sin. Giorgio Saviane e accanto Sergio Quinzio

Luoghi citati: Bagdad, Firenze, Jugoslavia